Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

 

 Attualità

I portali di Stato e l'informazione dimenticata
di Giovanni Virga* - 16.03.2000

Ogni volta che leggo le dichiarazioni rilasciate dai nostri politici sui mezzi per sviluppare Internet, mi sorge il dubbio che i politici in questione non abbiano mai navigato di persona nel web (eccezion fatta per qualche estemporanea ed esaltante esperienza, sotto la guida magari di un solerte funzionario o del proprio figlioletto smanettone).
In particolare, le recenti dichiarazioni del Primo ministro D'Alema, nonché del Ministro dell'industria Letta e del Ministro delle finanze Visco (riportate nell'articolo di M. Cammarata, Una proposta sbagliata da ritirare subito) secondo cui sarebbe necessario creare un "portale statale" per promuovere le attività delle aziende italiane, oltre che dirigiste, sembrano tradire una assoluta ignoranza della attuale situazione in cui si trova il web italiano.

Lasciando da parte per un attimo la convinzione, espressa in un precedente intervento dello scrivente in questa rivista, circa la assoluta necessità di aiutare le iniziative culturali e di informazioni presenti nel web, piuttosto che incentivare uno sviluppo meramente commerciale di Internet, rimane il fatto che qualsiasi azienda italiana in atto non incontra alcun problema (né economico, né tecnico) per registrare un dominio Internet ed aprire una vetrina rivolta al mondo intero.
Né comunque esiste l'esigenza di realizzare un "portale statale" nel quale raggruppare le varie vetrine commerciali delle aziende italiane, dato che i numerosissimi portali privati che affollano il web italiano in gran parte già offrono tale servizio e, comunque, si stanno organizzando in tal senso.

Il commercio elettronico, per decollare, non ha certo bisogno di sussidi statali, dato che dietro di esso si muovono, con evidenza, solide aziende che sono in grado di affrontare, senza l'assistenza dello Stato, le spese per la realizzazione di siti web o di portali che raggruppano i vari siti commerciali.
Stupisce invece che non una parola venga spesa e, soprattutto, non una iniziativa sia intrapresa per uno sviluppo culturale (e non meramente commerciale) del web.
Il disinteresse dei politici è particolarmente evidente nel campo che meglio conosco, che è quello dell'informazione giuridica (ma analoghe considerazioni possono essere svolte in genere per tutti i siti che si occupano di informazione e di aggiornamento).

A parte alcuni siti istituzionali particolarmente utili (principalmente quelli del Parlamento italiano e del Ministero della giustizia), il settore dell'informazione giuridica è in atto diviso a metà: da un lato i siti curati dai quotidiani di informazione nazionali (i quali godono delle provvidenze statali previste per l'editoria cartacea ed in atto negate alla editoria elettronica); dall'altro, siti curati da privati, i quali spesso non riescono a decollare a causa non soltanto dei costi, ma anche dell'impegno continuo che comporta l'attività di aggiornamento.

Una cosa è infatti creare una tantum una elegante vetrina per la promozione di prodotti commerciali, altro è il continuo impegno che comporta la gestione di un sito dedicato all'informazione ed all'aggiornamento. Tale impegno, se è agevolmente affrontabile dai quotidiani nazionali, i quali non hanno alcuna difficoltà a dedicare un completo staff redazionale per l'aggiornamento dei siti web di informazione di loro proprietà (magari per poi sviluppare - come sta già avvenendo in qualche caso - collaterali iniziative di e-commerce), è particolarmente arduo per coloro che, non disponendo neanche minimamente delle strutture dei grandi quotidiani, sono costretti personalmente e con non lieve sacrificio ad aggiornare le proprie webzine.

Il paradosso, tutto italiano e del quale quasi nessuno sembra occuparsi, è che, mentre i siti di informazione (giuridica e non) gestiti dai quotidiani nazionali si avvalgono non solo delle strutture ma anche - indirettamente - delle generose provvidenze previste per l'editoria cartacea, gli altri siti di informazione presenti nel web non solo, come già sottolineato, non si avvalgono di alcuna struttura e si reggono sul sacrificio personale dei loro curatori, ma (con palese disparità di trattamento) non godono di alcun aiuto. Con buona pace della tutela del pluralismo dell'informazione e della diffusione della cultura, che ancora oggi dovrebbero costituire valori costituzionalmente protetti.

Altro emblema del disinteresse è costituito dalla recente risoluzione con la quale il Ministero delle finanze (direzione per gli affari giuridici e il contenzioso) ha affermato che "la nozione di pubblicazione è limitata ai prodotti cartacei" ai fini del trattamento fiscale, di guisa che mentre i quotidiani cartacei sono assoggettati ad un regime IVA molto favorevole, nei confronti dei quotidiani elettronici si applica l'aliquota standard del 20%.

Se è vero - come ha scritto in questa rivista il dottor Fornari, direttore dell'ufficio per l'informazione del contribuente del Ministero delle finanze (Il Fisco non rema contro l'innovazione) - che "sostenere oggi che il concetto di pubblicazione riguardi solo il documento cartaceo significa negare non solo l'evoluzione tecnologica (siamo alle porte della rivoluzione dell'e-book) ma anche l'importante processo che ha portato negli ultimi anni ad equiparare in modo completo il documento digitale a quello informatico" - la recente risoluzione del Ministero delle finanze è a dir poco anacronistica.
Tale risoluzione (così come il proposito di sviluppare il commercio elettronico mediante un portale statale, la concessione ad alcune categorie di aziende di contributi statali per l'e-commerce e l'assenza totale di aiuti per ciò che concerne lo sviluppo dell'editoria elettronica, con palese disparità di trattamento rispetto a quella cartacea), suona peraltro offensiva per coloro che cercano coraggiosamente di impiegare Internet come uno strumento di attiva crescita culturale e non come uno mezzo di facile consumo.

Alla fine di questo breve intervento, tuttavia, mi sorge un dubbio: può essere che la disattenzione dei politici nostrani nei confronti delle webzine non sia frutto di una mera svista o di una scarsa conoscenza del web, ma derivi piuttosto dal consapevole timore di vedere crescere una informazione non legata ai grandi gruppi che possiedono i mezzi di informazione e, quindi, più difficile da controllare?

* http://www.giust.it 

Ultim'ora. Il Governo ha presentato al Parlamento il 15 marzo un disegno di legge di riforma dell'editoria, nel quale l'informazione telematica troverebbe finalmente diritto di cittadinanza. Maggiori (ma ancora insufficienti) informazioni sul sito de Il Sole 24 Ore. (M. C.)