I portali di Stato e l'informazione
dimenticata
di Giovanni Virga* -
16.03.2000
Ogni volta che leggo le
dichiarazioni rilasciate dai nostri politici sui mezzi per sviluppare Internet,
mi sorge il dubbio che i politici in questione non abbiano mai navigato di
persona nel web (eccezion fatta per qualche estemporanea ed esaltante
esperienza, sotto la guida magari di un solerte funzionario o del proprio
figlioletto smanettone).
In particolare, le recenti dichiarazioni del Primo ministro D'Alema, nonché
del Ministro dell'industria Letta e del Ministro delle finanze Visco
(riportate nell'articolo di M. Cammarata, Una proposta
sbagliata da ritirare subito) secondo cui sarebbe necessario creare un
"portale statale" per promuovere le attività delle aziende italiane,
oltre che dirigiste, sembrano tradire una assoluta ignoranza della attuale
situazione in cui si trova il web italiano.
Lasciando da parte per un attimo la
convinzione, espressa in un precedente intervento dello
scrivente in questa rivista, circa la assoluta necessità di aiutare le
iniziative culturali e di informazioni presenti nel web, piuttosto che
incentivare uno sviluppo meramente commerciale di Internet, rimane il fatto che
qualsiasi azienda italiana in atto non incontra alcun problema (né economico,
né tecnico) per registrare un dominio Internet ed aprire una vetrina rivolta al
mondo intero.
Né comunque esiste l'esigenza di realizzare un "portale statale"
nel quale raggruppare le varie vetrine commerciali delle aziende italiane, dato
che i numerosissimi portali privati che affollano il web italiano in gran parte
già offrono tale servizio e, comunque, si stanno organizzando in tal senso.
Il commercio elettronico, per
decollare, non ha certo bisogno di sussidi statali, dato che dietro di esso si
muovono, con evidenza, solide aziende che sono in grado di affrontare, senza l'assistenza
dello Stato, le spese per la realizzazione di siti web o di portali che
raggruppano i vari siti commerciali.
Stupisce invece che non una parola venga spesa e, soprattutto, non una
iniziativa sia intrapresa per uno sviluppo culturale (e non meramente
commerciale) del web.
Il disinteresse dei politici è particolarmente evidente nel campo che meglio
conosco, che è quello dell'informazione giuridica (ma analoghe considerazioni
possono essere svolte in genere per tutti i siti che si occupano di informazione
e di aggiornamento).
A parte alcuni siti istituzionali
particolarmente utili (principalmente quelli del Parlamento italiano e del
Ministero della giustizia), il settore dell'informazione giuridica è in atto
diviso a metà: da un lato i siti curati dai quotidiani di informazione
nazionali (i quali godono delle provvidenze statali previste per l'editoria
cartacea ed in atto negate alla editoria elettronica); dall'altro, siti curati
da privati, i quali spesso non riescono a decollare a causa non soltanto dei
costi, ma anche dell'impegno continuo che comporta l'attività di
aggiornamento.
Una cosa è infatti creare una
tantum una elegante vetrina per la promozione di prodotti commerciali, altro
è il continuo impegno che comporta la gestione di un sito dedicato all'informazione
ed all'aggiornamento. Tale impegno, se è agevolmente affrontabile dai
quotidiani nazionali, i quali non hanno alcuna difficoltà a dedicare un
completo staff redazionale per l'aggiornamento dei siti web di informazione di
loro proprietà (magari per poi sviluppare - come sta già avvenendo in qualche
caso - collaterali iniziative di e-commerce), è particolarmente arduo per
coloro che, non disponendo neanche minimamente delle strutture dei grandi
quotidiani, sono costretti personalmente e con non lieve sacrificio ad
aggiornare le proprie webzine.
Il paradosso, tutto italiano e del
quale quasi nessuno sembra occuparsi, è che, mentre i siti di informazione
(giuridica e non) gestiti dai quotidiani nazionali si avvalgono non solo delle
strutture ma anche - indirettamente - delle generose provvidenze previste per l'editoria
cartacea, gli altri siti di informazione presenti nel web non solo, come già
sottolineato, non si avvalgono di alcuna struttura e si reggono sul sacrificio
personale dei loro curatori, ma (con palese disparità di trattamento) non
godono di alcun aiuto. Con buona pace della tutela del pluralismo dell'informazione
e della diffusione della cultura, che ancora oggi dovrebbero costituire valori
costituzionalmente protetti.
Altro emblema del disinteresse è
costituito dalla recente risoluzione con la
quale il Ministero delle finanze (direzione per gli affari giuridici e il
contenzioso) ha affermato che "la nozione di pubblicazione è limitata ai
prodotti cartacei" ai fini del trattamento fiscale, di guisa che mentre i
quotidiani cartacei sono assoggettati ad un regime IVA molto favorevole, nei
confronti dei quotidiani elettronici si applica l'aliquota standard del 20%.
Se è vero - come ha scritto in
questa rivista il dottor Fornari, direttore dell'ufficio per l'informazione
del contribuente del Ministero delle finanze (Il Fisco
non rema contro l'innovazione) - che "sostenere oggi che il
concetto di pubblicazione riguardi solo il documento cartaceo significa negare
non solo l'evoluzione tecnologica (siamo alle porte della rivoluzione dell'e-book)
ma anche l'importante processo che ha portato negli ultimi anni ad equiparare
in modo completo il documento digitale a quello informatico" - la recente
risoluzione del Ministero delle finanze è a dir poco anacronistica.
Tale risoluzione (così come il proposito di sviluppare il commercio elettronico
mediante un portale statale, la concessione ad alcune categorie di aziende di
contributi statali per l'e-commerce e l'assenza totale di aiuti per
ciò che concerne lo sviluppo dell'editoria elettronica, con palese disparità
di trattamento rispetto a quella cartacea), suona peraltro offensiva per coloro
che cercano coraggiosamente di impiegare Internet come uno strumento di attiva
crescita culturale e non come uno mezzo di facile consumo.
Alla fine di questo breve
intervento, tuttavia, mi sorge un dubbio: può essere che la disattenzione dei
politici nostrani nei confronti delle webzine non sia frutto di una mera
svista o di una scarsa conoscenza del web, ma derivi piuttosto dal consapevole
timore di vedere crescere una informazione non legata ai grandi gruppi che
possiedono i mezzi di informazione e, quindi, più difficile da controllare?
* http://www.giust.it
Ultim'ora.
Il Governo ha presentato al Parlamento il 15 marzo un disegno di legge di
riforma dell'editoria, nel quale l'informazione telematica troverebbe finalmente
diritto di cittadinanza. Maggiori (ma ancora insufficienti) informazioni sul
sito de Il
Sole 24 Ore. (M. C.) |