In attesa delle nuove regole tecniche, suscita qualche dubbio una novità del
Codice dell'amministrazione digitale, che esonera il privato dall'obbligo di
conservare documenti già conservati per legge da una PA.
L'art. 43, comma 1-bis, del CAD
afferma:
Se il documento informatico è conservato per legge da uno dei soggetti di
cui all'articolo 2, comma 2, cessa l'obbligo di conservazione a carico dei
cittadini e delle imprese che possono in ogni momento richiedere accesso al
documento stesso.
Questo fulmine a ciel sereno sembrerebbe anche innocuo, ma, se riflettiamo,
la questione non è così banale. Ecco alcune domande:
1. Il cittadino deve essere informato dei tempi di conservazione dei
documenti e delle modalità?
2. È sostenibile questo articolo senza un intervento che garantisca
il cittadino/impresa da eventuali eventi che scaturiscano da un eccesso di
fiducia nel disposto "cessa l'obbligo di conservazione a carico dei
cittadini e delle imprese"?
3. Per i documenti dove vi è un contenzioso, il conservatore dovrebbe
essere "terzo" rispetto a PA e cittadino?
4. Ma soprattutto: richiedere l'accesso?
Queste domande nascono come potenziali conseguenze di quanto normato nel
comma citato. Per esempio, l'ultima domanda sollecita una particolare
attenzione, cioè se questo comma vada esaminato all'interno della dinamica del
diritto all'accesso così come disciplinato dalla legge 241 del 1990, e quindi
sia un diritto soggettivo, così come viene interpretato oggi alla luce
dell'art.117, comma 2 della Costituzione.
Se fosse così, allora il cittadino probabilmente dovrebbe essere informato,
o poter venire a conoscenza di tutta quella attività, più interna almeno
all'apparenza, che è la conservazione e le disposizioni secondo il DPCM 3 dicembre 2013.
Per esempio, il cittadino dovrebbe venire a conoscenza del manuale di
conservazione concordato tra produttore e conservatore, con particolare
attenzione ai tempi dello scarto di ogni singola tipologia di documenti.
Lo scarto è fondamentale perché il cittadino dovrà sapere se e quando i
suoi documenti potranno o verranno scartati. Aggiungiamo che, sulla base di
quanto affermato dal comma 1-bis, si presume che i documenti, salvo diversa
indicazione, siano conservati dalla PA.
E ancora. Sulla base dell'art. 44, 1-bis che afferma Almeno una volta
all'anno il responsabile della gestione dei documenti informatici provvede a
trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli e le serie documentarie
anche relative a procedimenti conclusi, si può presumere che il cittadino,
ma anche l'impresa, debbano conoscere, anche grazie a una semplice verifica
nella sezione "trasparenza" del sito web dell'ente, di sapere se i
propri documenti sono stati mandati in conservazione.
Inoltre se il comma afferma che (cittadini e imprese) possono in
ogni momento richiedere accesso al documento stesso, la domanda sul ruolo
della PA rispetto al cittadino si articola in più aspetti: dalla PA come service
alla disponibilità stessi dei documenti, cioè come il cittadino o l'impresa
possono accedervi, e le tempistiche. Pensiamo solo che, se conservati in
"casa", l'accesso è immediato.
Ma nel caso di contenzioso con la PA, chi garantisce la terzietà della
conservazione se la stessa conserva in house come opzione suggerita dal
DPCM? Ma un’altra domanda, strettamente legata al Piano triennale per l’informatica
nella pubblica amministrazione, è connessa alla sezione riguardante il cloud
e il ruolo che i poli strategici nazionali (PSN), giocheranno nello
"stoccaggio" ed eventualmente nella conservazione dei documenti e
fascicoli della PA. L’accesso ai documenti conservati secondo il comma 1-bis
come può avvenire se si presume che questi centri saranno soggetti a specifiche
norme e procedure di sicurezza?
A fronte di tutte queste domande e collegamenti con altre norme del nostro
ordinamento, si possono fare alcune considerazioni. Innanzitutto l'art. 43 comma
1-bis si può considerare un azzardo, visti i ritardi nella informatizzazione
della PA con cui è inevitabilmente collegato. Ancora di più se pensiamo al
ritardo nell'emanazione dei regolamenti tecnici.
È vero che già esistono applicativi, come per esempio il SUAP, che
consentono al cittadino di accedere ai propri documenti conservati presso il
sistema informatico, ma in quale modalità e se tutto ciò avviene secondo i
modelli di conservazione ormai acquisiti con il DPCM del 2013 è difficile
dirlo.
Si potrebbe pensare a un obbligo di informativa, per esempio nella
comunicazione di avvio di procedimento, indicando dove, come e quando saranno
conservati i documenti e per quanto tempo. Ancor più necessario, per chi
scrive, al momento della conclusione del procedimento amministrativo.
E si può sperare che con l'introduzione di SPID e soprattutto dell'Anagrafe
nazionale si riescano ad abbattere le barriere di accesso agli atti.
In pratica una disposizione normativa dalle mille implicazioni e anche, va
riconosciuto, dalle mille potenzialità.
* Consulente ICT
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