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Pubblica amministrazione

Amministrazione digitale: leggiamo il Codice - 1

di Carmelo Giurdanella e Elio Guarnaccia* - 25.11.04

 
Nasce il diritto amministrativo dell'informatica: luci e ombre sul Codice dell'amministrazione digitale

Circa un mese fa, in occasione di un recente convegno diretto a Cagliari dal Prof. Giovanni Duni, un componente dell'ufficio legislativo del ministro Stanca, delineando i tratti essenziali del codice dell'amministrazione digitale, affermava: "se questo decreto legislativo verrà approvato, il buon andamento dell'azione amministrativa dovrà essere innanzitutto perseguito attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie".

Ed in effetti, ad una prima lettura dello schema di decreto legislativo è confermata la sensazione del fortissimo impatto che questo provvedimento potrà avere nella attività della amministrazione pubblica italiana, ed in particolare nel suo rapporto con il cittadino e l'impresa.
Ma una norma "codicistica", di principio, non soltanto godrà dei favori di tecnici e giuristi, che certamente merita. Essa presta inevitabilmente il fianco a numerose osservazioni critiche.

Iniziamo la nostra analisi da alcune precisazioni su origini e natura di questo codice. Si tratta della attuazione di una delle deleghe di riassetto normativo contenute nella legge 29 luglio 2003, n. 229 (legge di semplificazione 2001), la stessa legge, peraltro, contenente all'art. 7 la delega al Governo per l'adozione di un altro codice, che molto farà discutere nelle prossime settimane: il "Codice dei consumatori", approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 28 ottobre scorso.

Ma torniamo al codice dell'informatica amministrativa. L'art. 10 della suddetta legge 229/03 sanciva che il Governo avrebbe dovuto adottare "uno o più decreti legislativi su proposta del Ministro per l'innovazione e le tecnologie e dei ministri competenti per materia, per il coordinamento ed il riassetto delle norme in materia di società dell'informazione", decreti aventi ad oggetto, in particolare, "il documento informatico, la firma elettronica e la firma digitale; i procedimenti amministrativi informatici; le modalità di accesso informatico ai documenti e alle banche dati di competenza delle amministrazioni".

Posto ciò, con riferimento al suo inquadramento nella gerarchia delle fonti, ci troviamo di fronte ad una norma di natura legislativa, in cui da un lato rifluiranno le norme legislative del testo unico sulla
documentazione amministrativa relative al documento informatico ed ai sistemi di gestione informatica dei documenti (Capi II e IV, DPR 445/2000), dall'altro lato le norme regolamentari che il legislatore riterrà degne del rango primario. Saranno, invece, abrogate tutte quelle norme che potranno essere poi riproposte in semplici decreti ministeriali.

E' questa una nuova tecnica legislativa, totalmente diversa da quella utilizzata dal 1997 dalle leggi "Bassanini", e poi seguita nelle successive fasi di semplificazione della attività amministrativa. Non vi è più una legge che fissa i principi generali, ed un gran numero - a dirla tutta, troppo grande - di decreti legislativi e regolamenti di attuazione (ne costituisce un esempio il DPR 513/97 in materia di documento informatico e firma digitale), adottati ex artt. 14 e 17, legge 400/88, e pertanto caratterizzati da complesse procedure di adozione che vedono come protagonisti numerosi attori, quali il Consiglio di Stato e la Conferenza Stato-Regioni.

Il nuovo schema legislativo prevede una legge che si limita a delegare il riassetto dei principi per materia; un unico decreto delegato che fissa tali principi, ovviamente soltanto con norme di natura legislativa, non regolamentare (ed in questo il Codice si distingue nettamente anche dal DPR 445/2000); una serie di Decreti del Ministro competente che pongono le regole tecniche ed applicative. Ed in effetti il Decreto Ministeriale è uno strumento estremamente elastico, velocemente adottabile e altrettanto velocemente sostituibile, che peraltro ben si adegua alla velocità dell'evoluzione tecnologica, che inevitabilmente condizionerà l'applicazione concreta dei principi del Codice de quo.
Qualche ombra, che dovrà essere dissolta dal Governo, sulla inevitabile necessità di adottare, in una fascia intermedia, alcuni regolamenti attuativi. Bisognerà, infatti, capire meglio in quali materie, e di che entità saranno i ritardi di cogenza del Codice che ne deriveranno.

Veniamo adesso a una breve analisi di alcune norme di principio, contenute nel Capo I.
Il nostro ordinamento già riconosceva validità e rilevanza giuridica alla attività amministrativa in forma elettronica e le dirompenti conseguenze che tale riconoscimento avrebbe determinato (vedi, in particolare, art. 9, DPR 445/2000; art. 22, comma 2, legge 241/90; TAR Lazio, III-Ter, 8 marzo 2004, n. 2159; su questi aspetti si rinvia ad ulteriore specifico approfondimento che verrà pubblicato nei prossimi numeri).

Oggi, però le preesistenti statuizioni normative e giurisprudenziali vengono rilette, raccolte insieme e riaffermate con forza dal codice dell'amministrazione digitale, ma in un'ottica nuova, molto più consapevole, con il chiaro intento di dare organicità e sistematicità ad una materia a cui ancora non era stata riconosciuta una identità propria. In definitiva, siamo di fronte alla nascita di una legislazione specifica in materia di diritto amministrativo e nuove tecnologie, una legislazione che, peraltro, viene alla luce con una serie di norme "cardine", programmatiche e di principio, che costruiscono - e costituiranno - le fondamenta di ogni modifica o innovazione. Fondamenta, peraltro, che da un lato trovano ispirazione nei più generali principi di democrazia e partecipazione della nostra Repubblica, e dall'altro acquisiscono dignità di strumenti primari per il perseguimento degli obiettivi della pubblica amministrazione: efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, semplificazione.

La disposizione che più di tutte manifesta l'intento programmatico ed informatore di questo nuovo codice è senza dubbio l'art. 3, che - ci pare proprio il caso di riportarla per intero - statuisce: "I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei rapporti con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente decreto", così definendo un nuovo diritto soggettivo, definito in rubrica "diritto all'uso delle tecnologie".

Una previsione dirompente, che indirettamente istituirebbe un vero e proprio controllo giurisdizionale sull'uso del ICT da parte delle amministrazioni, ovviamente nei limiti di quanto previsto dal codice stesso, e semprecchè venga riconosciuta a tali norme la natura di norme di relazione, e quindi la loro applicabilità diretta ai rapporti tra cittadino ed amministrazione (ma anche su questo si rinvia ad un prossimo commento ad hoc).

L'art. 7 riempie di contenuto tale posizione giuridica, rendendola concreta ed attuale indipendentemente dalla applicazioni di specifici istituti codicistici; il diritto all'uso delle tecnologie potrebbe, infatti, considerarsi azionabile in qualsiasi momento, essendo sufficiente che le pubbliche amministrazioni centrali non provvedano periodicamente alla riorganizzazione ed all'aggiornamento dei servizi resi, o non sviluppino l'uso dell'ICT sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese.

Si tratti di disposizioni che, a prima vista, confermerebbero lo squilibrio che negli ultimi anni ha visto l'informatizzazione della pubblica amministrazione non con come mezzo, ma come fine, vetrina per amministratori e politici in carriera. In realtà non è così. Anzi. Il provvedimento opera un rafforzamento ed una sistematizzazione giuridica dei processi di digitalizzazione, ma tenendo sempre presenti le finalità tradizionali della attività amministrativa, ed in particolare del procedimento amministrativo, sancite fin dalla legge 241. Ne è conferma l'articolo 10, che chiude il cerchio, riconducendo ed inglobando tale nuovo diritto nell'alveo delle finalità tradizionali dell'agire pubblico: "le pubbliche amministrazioni utilizzano le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza e semplificazione".

Altri due articoli vanno, a nostro avviso, citati prima di altri in questa sede, in quanto tradiscono il ruolo cruciale di due momenti applicativi di questo nuovo codice: l'art. 4, relativo all'informatizzazione del procedimento amministrativo, e l'art. 6, sulla posta elettronica certificata, come strumento tecnico e giuridico (entrambi debitamente approfonditi nei prossimi numeri).

Certamente qualcuno storcerà il naso di fronte a statuizioni che meglio sarebbero state contenute in un testo costituzionale, come, ad esempio, l'articolo 10, comma 4 (La Repubblica promuove la realizzazione e l'utilizzo di reti telematiche come strumento di interazione tra le pubbliche amministrazioni ed i privati), disposizioni che, aldilà dell'indubbio valore sistematico e programmatico, di cui è peraltro vestito l'intero impianto del codice, in concreto determineranno disagi e perplessità, ed in particolare per molti legislatori regionali, perplessità che presumibilmente si tramuteranno in impugnazioni alla Corte costituzionale per eccesso di delega.

Sopra tutte, la Regione Toscana che, forte della sua legge n. 1 del 26 gennaio 2004, anch'essa di natura programmatica e di principio, si troverà, non senza difficoltà, a dover coordinare la propria norma con l'emanando codice. E forse proprio questo "scontro costituzionale" fornirà alla Corte costituzionale la migliore occasione per riempire di significato la famosa lettera r, dell'art. 117, comma 2, della Costituzione.
In conclusione, ciò che al momento ci pare abbastanza prevedibile è che all'indomani della sua entrata in vigore, il codice - se verrà mantenuto il testo attuale - frequenterà da protagonista le aule della Consulta, con non indifferenti, ed imprevedibili, dilazioni della sua concreta applicazione.

(Continua sul n. 305)
 

* Avvocati, studio legale Giurdanella, Catania

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