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Pubblica amministrazione

Amministrazione digitale: leggiamo il Codice - 2

di Carmelo Giurdanella e Elio Guarnaccia* - 09.12.04

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L' innovazione strutturale e il problema del coordinamento informatico stato-regioni

Lo schema di codice dell'amministrazione digitale oggi approda alla Conferenza stato-regioni e quindi passerà al Consiglio di Stato, prima dell'esame da parte delle commissioni parlamentari. Continuando questa prima analisi del testo, pare utile soffermarci su quelle disposizioni con cui il Dipartimento per innovazione e le tecnologie ha voluto porre le basi per una solida "ricostruzione digitale" della cosa pubblica.
In effetti, l'art. 13 pone in particolare rilievo la riorganizzazione strutturale (la digitalizzazione vera e propria), e la affianca, sullo stesso livello strategico e funzionale, alla riorganizzazione gestionale (il procedimento amministrativo elettronico, di cui si dirà nel prossimo numero).

Pare significativo, peraltro, che proprio in questa sezione III del capo I, il codice prenda posizione sul problema della ripartizione di competenze legislative in materia informatica tra Stato, regioni ed enti locali.
Per quanto riguarda più specificamente gli strumenti tecnici, il codice dell'amministrazione digitale prende avvio proprio da dove si era fermato il legislatore con il testo unico sulla documentazione amministrativa (firma digitale, protocollo informatico, sistemi di gestione informatica dei documenti), ma lo fa ancora una volta in maniera più consapevole, in un'ottica di programmazione e sistematizzazione. Infatti, alcune delle norme di principio contenute nel capo I, sono specificamente dedicate proprio alle infrastrutture digitali della PA.

Inoltre digitalizzazione strutturale non significa solo "reingegnerizzazione dei procedimenti". Essa non può riguardare solo le cose, ma anche, e soprattutto, le risorse umane. Accanto alle strutture, va dunque rinnovata la cultura informatica, anche per mezzo di lunghi e non agevoli percorsi di alfabetizzazione all'interno delle amministrazioni. Ed ecco l'obbligo per le PA di prevedere, nell'ambito delle attività di gestione delle risorse umane e di predisposizione dei piani formativi ex art. 7-bis, D.Lgs 165/2001, precise politiche di formazione informatica del personale (art. 11).

Altre previsioni programmatiche risultano in questa sede degne di nota per la loro valenza sociale e democratica: i pagamenti con modalità informatiche (art. 5), e la partecipazione democratica elettronica (art. 8), che lo Stato deve incentivare, favorendo ogni forma di uso delle nuove tecnologie per una maggiore partecipazione dei cittadini al processo democratico e all'esercizio dei diritti politici e civili.
Ma veniamo a quello che, nella stesura attuale, a nostro avviso costituisce uno dei punti deboli del codice: il coordinamento informatico.
Il codice lo prevede innanzi tutto verso l'alto: la digitalizzazione, afferma il comma 3 dell'art. 10, deve essere operata garantendo comunque la partecipazione dell'Italia alla costruzione di reti transeuropee per lo scambio fra le amministrazioni dei Paesi della Unione europea. E fin qui nulla quaestio.

Luci ed ombre, invece, sul problema del coordinamento informatico interno, tra Stato e regioni, questione di particolare rilevanza perché attinente alla recente riforma del Titolo V della Costituzione ed alle sue concrete ricadute. Il codice, ad una prima veloce lettura, sembrerebbe discostarsi dalle posizioni recentemente adottate dalla giurisprudenza costituzionale, che per la verità si è occupata del problema solo due volte, con le sentenze del 16 gennaio 2004 n. 17, e del 21 ottobre 2004 n. 307. Il codice, infatti, opera all'art. 12 una interpretazione che sembrerebbe più restrittiva, da alcuni letta come non conforme ai suddetti pronunciamenti costituzionali, attribuendo allo Stato il compito di dettare solo le norme necessarie per garantire la sicurezza e l'interoperabilità dei sistemi informatici, al precipuo fine di una completa ed efficiente circolazione e scambio dei dati, nonché il compito di favorire intese e accordi con le regioni e gli enti locali utili per realizzare "un processo di digitalizzazione dell'azione amministrativa coordinato e condiviso".

Ma ad una breve analisi delle due citate sentenze ci si accorge che l'art. 12, in verità, non fa altro che allinearsi ad esse.
Con la prima decisione, la 17/2004, la Consulta si è espressa sul ricorso che le Regioni Marche, Toscana e Basilicata avevano proposto in via principale avverso l'art. 29, comma 7, lett. a) della legge 448/2001, il quale prevede che il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, al fine di migliorare la qualità dei servizi e la razionalizzazione della spesa per informatica, debba definire indirizzi per l'impiego ottimale dell'informatizzazione nelle pubbliche amministrazioni, sentita la conferenza unificata Stato-Regioni-Città-Autonomie. La Corte decideva per la infondatezza di tale questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 5, 114, ed in particolare, al controverso art. 117 Cost., in quanto, secondo i giudici, il potere di coordinamento attribuito al ministro per l'innnovazione è di natura meramente tecnica, atto ad assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, e quindi a garantire la piena cooperazione operativa fra tutti i soggetti pubblici operanti sul territorio nazionale.

In altri termini, lo Stato può - rectius: potrebbe - solo dettare le regole tecniche e gli standard tecnologici necessari a garantire gli scambi di informazioni tra le varie amministrazioni, ma per ogni altra questione informatica (ad esempio, modelli operativi e gestionali e scelta dei vari software) vige la potestà legislativa ed organizzativa residuale delle regioni.

Non si discosta troppo da queste conclusioni la sentenza 307/2004. La Regione Emilia-Romagna denunciava l'incostituzionalità delle norme statali istitutive di fondi speciali destinati ad incentivare l'acquisto di personal computer da parte di giovani o di soggetti aventi determinati requisiti reddituali, mediante l'erogazione di contributi economici (progetti "PC ai giovani" e "PC alle famiglie"). La Corte decideva anche questa volta per il rigetto del ricorso regionale, affermando che lo Stato può prevedere incentivi all'uso del computer senza invadere la sfera di competenza delle regioni: "lo sviluppo della cultura, anche attraverso l'uso dello strumento informatico, è previsto dall'art. 9 della Costituzione, e prescinde dal riparto di competenze Stato-Regioni di cui all'art. 117 Cost.". Ancora una volta una larga interpretazione della espressione "coordinamento informatico", che sembra riconoscere allo Stato ampi spazi di movimento.

Ora, a ben vedere, lo schema di decreto governativo non ha fatto altro che "riempire" di significato la lett. r), dell'art. 117, comma 2, e lo ha fatto proprio ispirandosi a le due suddette decisioni. Desta qualche perplessità il fatto che la lettera della norma, così come astrattamente prevista, affermi un potere statale di coordinamento informatico "debole", di natura meramente tecnica, quando la Corte costituzionale, partendo dalla stessa posizione astratta - di fatto rifluita coscientemente nello schema del codice - ha già, in sostanza, respinto due ricorsi regionali in materia, riconoscendo indirettamente un importante potere di coordinamento centralizzato.

Tale potere "forte", peraltro, appare pure giustificabile per più considerazioni. Da un lato, i criteri tecnico-informatici sovente finiscono con diventare veri e propri standard, a cui vengono di conseguenza sottese inevitabili scelte di natura politica e, più in generale, ideologica, tutt'altro che tecnica. Si pensi, in particolare allo "scontro" dogmatico tra i fautori dell'open source e quelli del software proprietario (vedi, sul punto D. Marongiu, "Spunti di riflessione sul coordinamento dell'informatica pubblica", su Telejus).
Da altro punto di vista, la possibilità di ingerire nelle strutture organizzative degli enti, e di prevedere anche per esse l'adozione di determinati moduli organizzativi o di determinate piattaforme tecnologiche, potrebbe essere anche auspicabile in ossequio al principio di buona amministrazione sancito dall'art. 97 Cost.

Peraltro, alcune ingerenze statali possono comunque essere considerate legittime in ossequio ad altri principi costituzionali, non riconducibili all'art. 117 Cost., come è già accaduto nell'ipotesi affrontata dalla Corte costituzionale con sentenza 307/2004, che ha tutelato le scelte governative richiamando lo "sviluppo della cultura", fissato dall'art. 9, perseguibile anche attraverso l'uso dello strumento informatico. E ciò proprio per la loro natura, spesso politica.
Concludendo, pare evidente come questa disposizione codicistica nulla aggiunga ai dati normativi e giurisprudenziali che avevamo già, e nulla chiarisce in ordine all'interpretazione di quella lettera r), che pure è di enorme importanza per lo sviluppo "dialogato" dell'attività amministrativa informatizzata.

E', tuttavia, altrettanto evidente, come si è avuto già modo di dire nel commento della settimana scorsa, che, anche alla luce dell'appena commentato art. 12 del Codice, non tarderanno a presentarsi ai giudici costituzionali le occasioni per affrontare e dirimere una volta per tutte la questione.

(Continua sul prossimo numero)

* Avvocati, studio legale Giurdanella, Catania

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