Il regolamento europeo sulla protezione dei dati nelle comunicazioni elettroniche, in
fase di approvazione, sancisce un divieto secco del trattamento dei contenuti delle
comunicazioni. Se resta così, la privacy fa un bel passo avanti.
Il testo della
proposta, che porta la data del 10 gennaio 2017, deve ora ottenere
l'approvazione del Parlamento e del Consiglio. Questi potranno introdurre
modifiche, tenendo conto del parere dell'European Data Protection Supervisor.
Parere che non dovrebbe presentare sorprese tali da alterare la sostanza delle
disposizioni più importanti.
Che non sono poche. La proposta affronta le
diverse forme di aggressione alla privacy degli utenti, imponendo una serie di
misure che dovrebbero rendere più trasparente la fase di informativa-consenso
e più immediate le misure che gli utenti finali possono adottare per difendersi
dal trattamento indiscriminato dei dati.
Oggi sono sotto gli occhi di tutti le informative sui cookie, spesso
menzognere, che compaiono su quasi tutti i siti web, con scarse possibilità di
opposizione da parte dell'utente finale. Il nuovo regolamento fissa regole
chiare che dovrebbero risolvere molte questioni. Fra le altre, la distinzione
fra gli innocui cookie tecnici e quelli che raccolgono dati personali.
Meno evidenti per un utente non molto accorto, ma anche più
pericolose, sono le "autorizzazioni" imposte con le app per i dispositivi
mobili (vedi Il telefonino mi spia. E spia anche i miei
amici, Ecco
le "autorizzazioni" di Kaspersky sui dispositivi Android
e Microsoft e WhatsApp: leggere bene le avvertenze).
Ci vuole poco per capire che questi trattamenti sono illegittimi anche alla
luce della normativa vigente. Infatti in molti casi si tratta di raccolta di
dati non necessaria ai fini del servizio erogato (perché l'app "torcia
elettrica" deve conoscere la mia posizione?) e di conseguenza la raccolta
del dato dovrebbe essere soggetta a un consenso separato e facoltativo. Ma non
lo è. Quindi è contraria alla legge.
Ancora. Tante app (per non dire tutte) sono "autorizzate" a leggere
il contenuto delle email e l'elenco dei contatti. Ma, ammesso che l'utente
dell'apparecchio abbia espresso un consenso valido, messaggi e rubrica
contengono dati dei suoi corrispondenti, che il consenso non l'hanno espresso.
E allora merita attenzione l'articolo 5 della proposta di
regolamento, che afferma:
I dati delle comunicazioni elettroniche sono riservati. Sono vietate tutte le
interferenze con i dati delle comunicazioni elettroniche, quali ascolto,
registrazione, conservazione, monitoraggio, scansione o altri tipi di
intercettazione, sorveglianza o trattamento dei dati delle comunicazioni
elettroniche, da parte di persone diverse dagli utenti finali, salvo ove
consentito dal presente regolamento.
Ecco, dirà qualcuno, le solite eccezioni che rendono vana la regola. Invece
no. Le sole eccezioni al divieto di trattamento dei contenuti sono (o sembrano,
alla prima lettura) solo quelle previste dall'articolo 6, comma 3:
I fornitori di servizi di comunicazione elettronica possono
trattare il contenuto delle comunicazioni elettroniche solo:
(a) a fini di erogazione di un servizio specifico a un utente finale, se l’utente
finale o gli utenti finali hanno prestato il loro consenso al trattamento del
contenuto delle loro comunicazioni e l’erogazione del servizio non può essere
realizzata senza il trattamento di tale contenuto; oppure
(b) se tutti gli utenti finali interessati hanno prestato il loro consenso al
trattamento del contenuto delle loro comunicazioni elettroniche per uno o più
fini specificati che non possono essere realizzati mediante il trattamento
anonimizzato delle informazioni e il fornitore ha consultato l’autorità di
controllo.
Il riferimento ai contenuti è chiarissimo, anche perché nell'art. 6
(e in tutta la proposta di regolamento) è netta la distinzione tra metadati
e contenuti nell'insieme dei dati delle comunicazioni elettroniche.
Dunque il trattamento è consentito se ne sono specificati i fini, se tutti
gli interessati hanno prestato il consenso e se il fornitore (di servizi di
comunicazione elettronica) ha consultato l'autorità di controllo.
Autorità di controllo (leggi, in Italia, il Garante) che a questo punto non
potrà esimersi dal valutare la legittimità delle
"autorizzazioni" delle app. Con buona pace dei profilatori, ai quali
queste disposizioni non dovrebbero piacere affatto.
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