L'ordinanza del
Tribunale di Milano, in materia di "eredità dei dati personali",
può essere letta sotto diversi punti di vista. L'articolo di Paolo Ricchiuto
sottolinea la prospettiva del "testamento digitale", ma c'è un altro
aspetto che deve essere valutato: il rapporto tra la normativa sui dati
personali e il diritto delle successioni regolato dal codice civile. Un rapporto
che potrebbe anche essere un conflitto, alla luce del principio che la
volontà espressa del defunto è il cardine dell'interpretazione delle
disposizioni testamentarie.
Nella pronuncia dello scorso 10 febbraio, il Tribunale milanese applica le
disposizioni del GDPR e del confusamente novellato Codice italiano sui dati
personali. Stabilisce che l'erede ha il diritto di conoscere i
"segreti" del de cuius se questi non lo ha espressamente
vietato. Potremmo definirla una scelta di opt out, contrapposta a un
ipotetico opt in nel caso di espressa volontà di far conoscere certe
informazioni.
Qualcuno potrebbe avanzare un'obiezione, a prima vista fondata: l'erede
subentra in tutte le attività del defunto, diventa proprietario di tutti i suoi
beni, quindi anche del telefonino e del suo contenuto. Poche storie, dice
l'erede, non c'è una questione di riservatezza dei dati; l'apparecchio è mio e
ho il diritto di sapere che cosa c'è dentro.
Ma, attenzione: il principio di tutto il diritto delle successioni è il
rispetto assoluto della volontà del defunto. Ed è facile immaginare che il
defunto in molti casi non abbia desiderato una rivelazione dei suoi segreti (il
caso di scuola del marito fedifrago o, perché no? della moglie).
Nel dubbio ho chiesto lumi a un grande esperto della materia, l'amico notaio
Enrico Maccarone. Per Maccarone la questione è interessante e merita un
approfondimento (che ha promesso in un prossimo articolo per InterLex). Una
prima, provvisoria ipotesi porta a una conclusione diversa da quella del giudice
di Milano, senza chiamare in causa la protezione dei dati personali..
Dice il notaio: l'erede subentra al defunto nei rapporti patrimoniali,
acquisendo attività e passività materiali. Esiste la sfera patrimoniale
garantita, della quale si occupa il codice civile, contrapposta alla sfera dei
sentimenti e di quanto, per pudore o per altro motivo, non desideriamo di far
conoscere al prossimo. Ognuno di noi ha una sfera personalissima di sentimenti e
segreti che desidera restino tali e nulla giustifica che vengano rivelati a
chicchessia, eredi compresi, a meno che non ci sia l'espressa volontà contraria
(o si possa desumere da fatti concludenti).
L'ipotesi di Maccarone è interessante e merita un futuro approfondimento,
anche perché la questione, posta in questi termini, fa intravedere un sottile
conflitto tra il codice civile da una parte e GDPR e "codice privacy"
dall'altra.
In ogni caso, emerge la considerazione che, ancora una volta, le pletoriche
disposizioni in materia di protezione dei dati personali sono inutili, perché
le norme già presenti nell'ordinamento bastano a regolare la maggior parte
delle questioni.
Questo è un solo esempio di come l'impostazione legislativa
"totalizzante" della protezione dei dati personali possa creare più
problemi di quanti ne risolva. A partire dall'ormai storica direttiva europea
del 1995, molte norme in questa materia non sono altro che l'applicazione in
chiave burocratica di principi già consolidati negli ordinamenti nazionali e
nei trattati europei. E le leggi inutili sono spesso dannose.
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