Italia, 20 marzo 2020. E' una sequenza agghiacciante: camion militari che trasportano
verso i
forni crematori le salme dei caduti nella guerra del Coronavirus.
Il
numero dei morti nel nostro Paese ha superato quello delle Twin Towers l'11 settembre
2001. Allora il tragico evento si concluse in un pugno di ore. Poi fu, ed è
ancora, il "dopo l'11 settembre".
L'emergenza Covid-19 sembra infinita: il 31 gennaio il Governo
ha deliberato uno stato di emergenza di sei mesi e già si parla di settembre
per la riapertura delle scuole. Il "dopo pandemia" non è ancora
incominciato, ma non c'è dubbio che cambierà le nostre vite più dell'11
settembre.
Fino a ieri – prima di questa emergenza – ci eravamo abituati a camminare per strade
presidiate da militari con il mitra imbracciato ed essere inquadrati da
telecamere di sicurezza, in qualche caso con sistemi di riconoscimento facciale.
Accettavamo le file per prendere un aereo, sottoponendoci a indagini e
perquisizioni della persona e dei bagagli. Precauzioni necessarie? Forse, ma sono limitazioni della nostra libertà.
Oggi ci sono misure ancora più invasive. Ci misurano la temperatura
corporea, ci vietano di uscire di casa, tracciano i nostri spostamenti
rivelati dai GPS dei furbofoni. Certo, è meglio essere tracciati da istituzioni
pubbliche che cercano di proteggere la nostra salute che dai padroni dei big
data a caccia delle nostre informazioni più intime.
In tutto questo siamo avviluppati da una ragnatela di norme che regolano ogni
nostro comportamento. Non mi riferisco solo ai (per ora) quattordici
"decreti Coronavirus", elencati nell'apposita pagina della Gazzetta Ufficiale, ma alle novantamila parole
delle disposizioni di rango legislativo sulla protezione dei dati personali –
senza calcolare la valanga di disposizioni del Garante. E a una miriade di altre
norme, come quelle sull'ordine pubblico, o alle "grida" di manzoniana
memoria di cosiddetti "governatori" e sindaci.
L'articolo di Paolo Ricchiuto sull'uso dei
termoscanner nelle aziende è illuminante. Per chiunque è ovvio che un
controllo come questo è necessario. Va fatto e basta, perché siamo in una
situazione di allarme senza precedenti nell'era delle tecnologie. E allora mi
chiedo: tutto questo è necessario? Non basta lo stato di emergenza, non bastano
le disposizioni sulla sicurezza sul lavoro del decreto legislativo 81/2008 (più di mille pagine, sul sito dell'Ispettorato nazionale del
lavoro)?
Dunque c'è anche un'epidemia normativa, destinata a espandersi forse più di
quella del Covid-19. Norme tassative che prima elencano i tre soli motivi –
più uno – per i quali si può uscire di casa, poi dicono che si possono
svolgere "attività motorie" all'aperto, per le quali è ovvio che si
deve uscire di casa. Ma non si capisce se il salvacondotto sia limitato agli
atleti "tesserati", o se chiunque può fare una corsa nel giardino
pubblico o andare in giro in bicicletta.
E così vediamo una quantità di imbecilli che scorrazzano nei parchi o nelle
strade, come se l'interpretazione estensiva di una disposizione di legge possa
evitare il contagio. Mentre le "autorità "competenti" temono
l'esplosione dell'epidemia a Milano, ma lasciano che la gente si accalchi nei
vagoni della metropolitana.
Sgomento, IO RESTO A CASA.
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