Il GDPR assegna anche al Garante il potere di certificare la conformità dei
trattamenti. Nel decreto di armonizzazione, quel potere sembra perdere pezzi. Ma
forse è solo un’impressione...
Una delle più importanti novità contenute nel GDPR, consiste nella scelta
operata dal legislatore europeo di disegnare l’importantissimo meccanismo
della certificazione in un modo estremamente equilibrato: il titolare del
trattamento che intenda presentarsi sul mercato con un (non decisivo, ma
rilevante) "bollino blu" , vede davanti a sé aprirsi un duplice
binario, e accanto agli ambiti squisitamente commerciali propri degli organismi
di certificazione (che della certificazione fanno un legittimissimo business),
è prevista una via alternativa, presumibilmente gratuita o quasi, e
cristallinamente terza, costituita dalla possibilità che a rilasciare la
certificazione sia direttamente il Garante.
Questo è quanto prevede l’art.
42 par. 4 e 5 (nel combinato disposto con l’art. 58 par. 3) del GDPR.
Ora, rispetto a questo chiarissimo scenario, appare a dir poco incomprensibile
la disposizione del decreto 101 che introduce nel Codice privacy l’art. 2-septiesdecies.
La norma dopo aver chiarito quello che era già perfettamente arguibile dal
tessuto normativo esistente (e cioè che nel nostro Paese il certificatore dei
certificatori – ente unico di accreditamento - era ed è Accredia), così
recita:
fatto salvo il potere del Garante di assumere direttamente, con
deliberazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e in
caso di grave inadempimento dei suoi compiti da parte dell'Ente unico nazionale
di accreditamento, l'esercizio di tali funzioni, anche con riferimento a una o
più categorie di trattamenti
Che vuol dire ? Di certo la norma non limita al caso indicato la possibilità
che il Garante svolga direttamente attività di certificazione: in tale
eventualità, la disposizione sarebbe ovviamente illegittima per evidente
contrasto con quanto previsto nel GDPR.
La dinamica descritta dal legislatore della armonizzazione, allora, non si
può che interpretare in questo modo: il Garante svolge una funzione di
"supplenza condizionata", che lo farebbe intervenire in presenza di un
"grave inadempimento" da parte di Accredia, facendo assumere all’Autorità
in tal caso anche il ruolo di certificatore dei certificatori. Al di là della
fumosità della disposizione (quand’è che si concretizza un "grave
inadempimento" da parte di Accredia ? Chi lo verifica e lo accerta?),
quello che è evidente è che a carico del Garante si disegna un compito a dir
poco gravoso, se non, diciamo la verità, del tutto ingestibile.
Per accorgersene, basta considerare il fatto che, a distanza di ormai cinque
mesi dal famigerato 25 maggio 2018, il Garante non ha ancora emanato nemmeno i
"criteri" cui si deve ispirare il rilascio della certificazione (così
come previsto dall’art. 42 comma
5 GDPR), determinando la sostanziale impossibilità, sia per l’Autorità che
per gli organismi di certificazione, di svolgere la propria funzione (si veda il
comunicato
stampa congiunto Accredia-Garante), e lasciando quindi il mercato in una
situazione di sostanziale paralisi, nella quale sguazzano venditori di finte
certificazioni full GDPR compliant, che in realtà non possono in nessun
modo esser ricondotte alle certificazioni spendibili a norma di Regolamento.
Se il Garante, quindi, non ha evidentemente le risorse e le energie nemmeno
per dettare i criteri, come potrà mai svolgere anche il ruolo di supplente del
certificatore dei certificatori?
Siamo quindi di fronte ad una norma incomprensibile nei presupposti e inutile negli effetti.
* Avvocato in Roma
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