Per la sicurezza della Rete si deve
vietare l'anonimato totale
di Manlio Cammarata - 11.06.98
I giornali di ieri hanno dato la
notizia che rischia la reclusione da uno a cinque anni chi diffonde su Internet
materiale pornografico con soggetti minori. Notizia inesatta per diversi motivi:
primo, perché il Senato ha introdotto alcune modifiche nel testo già approvato
dalla Camera, ed è quindi necessario un nuovo voto di Montecitorio affinché il
testo diventi legge dello Stato; secondo, perché la norma punisce la diffusione
di questo tipo di materiale "anche per via telematica". Insomma, come
è giusto e logico, mandare in giro contenuti che offendono i minori è punito
indipendentemente dal mezzo e l'inciso "anche per via telematica" non
ha senso dal punto di vista del diritto. Ma, come ha ripetutamente spiegato il
legislatore, è stato inserito per sottolineare la presunta particolare
pericolosità di Internet nei confronti dei minori.
Tralasciamo, per il momento, di
riprendere la polemica sulla falsità di questa affermazione. Prendiamola per
buona e chiediamoci in che modo si possa rendere Internet "meno
pericolosa". Un emendamento introdotto dal Senato nel disegno di legge
prevede che la polizia delle telecomunicazioni compia azioni mirate, anche con
"indicazioni di copertura anche per attivare siti nelle reti, realizzare o
gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per
partecipare ad esse" (ne parleremo in un prossimo articolo, appena sarà
disponibile il nuovo testo completo).
I legislatori hanno però trascurato
un particolare importante: l'azione della polizia telematica può essere più
efficace se c'è la possibilità di risalire all'identità di chi ha inviato un
messaggio, attraverso una richiesta al provider dal cui sistema proviene il
messaggio stesso. Ma, se alla domanda su chi sia l'utente che si presenta come
"Alex", il provider risponde "Balsamo Giuseppe, detto Cagliostro
Alessandro, nato a Palermo il 2 giugno 1743", c'è poco da fare...
Perché questo è quello che può accadere nell'attuale situazione regolamentare
di Internet, con molti operatori che non compiono la minima verifica sulla reale
identità di chi si abbona (vedi Se
Dino Sauro attacca il dinosauro).
La realtà è che gli Internet
provider non hanno l'obbligo di chiedere l'esibizione di un documento ai nuovi
abbonati, o comunque di identificarli con altri mezzi che offrano un ragionevole
grado di sicurezza. La sola disposizione che siamo riusciti a rintracciare su
questo argomento riguarda le carte prepagate per i telefoni cellulari, una norma
speciale che non può essere estesa a situazioni diverse.
Dunque i provider che non richiedono l'esibizione di un documento personale al
nuovo abbonato, o che non ne verificano l'identità attraverso la carta di
credito, non commettono un atto illecito, sempre che il venir meno di una misura
di sicurezza precedentemente adottata non ricada nella previsione del terzo
comma dell'articolo
41 della legge 675/96. Ma in questo caso
si verificherebbe un paradosso: chi non ha mai identificato gli abbonati è in
regola, chi ha smesso di identificarli non lo è!
Eppure la possibilità di risalire
al nome di chi ha immesso un messaggio di contenuto illecito è uno strumento
importante per assicurare il rispetto delle leggi. Naturalmente nessuno si
illude che una norma in questo senso, emessa da un singolo stato, possa da un
giorno all'altro far sparire da Internet truffatori, pederasti, trafficanti di
droga e altri poco raccomandabili soggetti. Fino a quando non ci sarà una
regolamentazione internazionale di Internet, aggirare le norme statali sarà
sempre troppo facile. Ma sarà sempre meglio che mantenere l'attuale assenza di
regole.
Non vale l'obiezione che le reti
telefoniche digitali consentono sempre di risalire al numero dal quale è
originata una chiamata. A parte il fatto che non sempre un'indagine di questo
tipo è praticabile , la conoscenza del numero non porta automaticamente
all'identificazione dell'abbonato (vedi Ma
i "log" non bastano per rintracciare i presunti malfattori
di Paolo Nuti).
E non regge l'argomentazione di chi paventa la fine della libertà di Internet
nel momento in cui fosse obbligatoria l'identificazione degli abbonati.
L'obbligo di associare a uno pseudonimo (per chi lo richieda) al nome reale non
comporta la scomparsa della "identità telematica", cioè
dell'anonimato sulla Rete. Si possono e di devono stabilire regole che
proteggano la riservatezza individuale senza compromettere le esigenze della
giustizia: il cosiddetto "anonimato protetto", per il quale il
provider possa rivelare l'identità di un abbonato solo in osservanza di una
disposizione dell'autorità giudiziaria.
Ricordiamo ancora le parole del
ministro Flick, pronunciate un mese fa al convegno "Internet
e privacy": ...si tratta di
assicurare la identificabilità di coloro che contribuiscono al sito...
L'attuale vuoto normativo giova solo ai provider meno attenti alla
sicurezza della Rete, perché rende molto più semplice e immediata la procedura
di abbonamento, e danneggia quelli più seri e scrupolosi.
E' necessario porre rimedio a questa situazione, emanando opportune norme di
legge o regolamentari. Che potrebbero essere inserite nel regolamento sulla
sicurezza dei dati personali previsto dall'articolo
15 della 675/96 (sempre annunciato come
imminente...), o nel decreto legislativo sulla protezione dei dati personali nei
"servizi di comunicazione e di informazione offerti per via
telematica", previsto dalla legge
676/96.
L'importante è che si faccia presto.
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