A chi fa male la tecnologia?
di Manlio Cammarata - 25.06.98
Recentissime. "L' unico
commercio che la rete Internet ha fatto decollare finora è quello di materiale
pedopornografico''. Questa affermazione è attribuita da una notizia
ANSA a un funzionario della Polizia di
Stato ed è stata pronunciata in un recente seminario organizzato da ARCI ed
ECPAT sul tema "Una rete a misura di bambino". Nella stessa sede è
stato detto (cito sempre l'ANSA) che i carabinieri del nucleo operativo di Roma
hanno censito in pochi mesi cinquecentomila foto pornografiche, per un' indagine
che ha portato a nove arresti per associazione a delinquere. ''I responsabili
del traffico - ha detto un alto ufficiale - grazie ad Internet erano riusciti a
istituire collegamenti con ben 56 Stati stranieri".
Ancora. Secondo una ricerca condotta
dall'Istituto italiano di Medicina sociale, l'uso prolungato del computer
provocherebbe "difficoltà di respiro, tachicardia. E nel casi in cui la
situazione sia più favorevole, nausea, crampi, vertigini, torpore,
sonnolenza" (cito da Il Messaggero di ieri, 24 giugno). Non
parliamo dei problemi del manager, che "alla fine, rischia di soccombere
più degli altri... fino a rischiare l'infarto o l'emorragia cerebrale".
C'è un legame tra queste due
notizie. Per trovarlo basta rileggere Per
punire i colpevoli si criminalizza la Rete,
pubblicato la settimana scorsa, e il terzo comma dell'articolo 3 del disegno di
legge S2625
contro la pedofilia, approvato dal Senato due settimane fa. E basta sfogliare le
collezioni di qualsiasi quotidiano, o di qualsiasi settimanale degli ultimi tre
o quattro anni, per trovare una quantità di notizie infamanti su Internet e
sulle tecnologie dell'informazione in generale. Per fortuna molti hanno la
memoria corta e forse nessuno ricorda il "caso" scoppiato un paio
d'anni fa a proposito del cosiddetto Internet Addiction Disorder (IAD),
una presunta malattia mentale generata da Internet, alla quale il Corriere
della Sera dedicò addirittura la copertina del suo supplemento di
medicina.
Sono trovate fin troppo facili da contestare. Per quanto riguarda lo sviluppo
del commercio pedopornografico, l'affermazione citata richiama altre
informazioni che la stampa ci offre spesso, come "La sosta vietata è
l'infrazione che gli automobilisti commettono più di frequente".
Affermazione inesatta. per non dire falsa, perché il dato è ricavato dalle
statistiche delle contravvenzioni. La notizia vera è che "il divieto di
sosta è l'infrazione più punita", e ha un significato completamente
diverso.
Forse, se alla polizia si ordinasse di indagare a tappeto sui traffici
telematici di droga o di armi, le statistiche sul... commercio on line sarebbero
diverse.
E' difficile nascondere la delusione
di fronte all'altra notizia: dopo mesi di indagini su un'enorme quantità di
materiale, sono stati arrestati solo nove presunti mascalzoni, non i novanta o
novecento o novemila che l'allarme generato dalla telepedofilia lascia
immaginare. Come ci lascia indifferenti il numero delle nazioni coinvolte (la
nostra rivista è seguita da utenti che risiedono in una quarantina di paesi, e
sembra che il diritto delle tecnologie desti molto meno interesse della
pedofilia).
Chi conosce la Rete sa che le notizie sui pericoli di Internet sono
assolutamente esagerate. Che il mondo telematico sia frequentato anche da
malfattori di ogni risma è normale, come è normale che i mafiosi comunichino
anche per telefono. Ma, quando un mafioso viene arrestato in seguito a
intercettazioni telefoniche, nessuno organizza convegno per denunciare la
pericolosità del telefono e nessuno si alza in un'aula parlamentare per
chiedere che venga punito il presidente della telecom (o, perché no? il
Ministro delle comunicazioni).
Si dirà che per la pedofilia il discorso è diverso, che ne vanno di mezzo i
bambini. Giusto. Ma perché non si leva un allarme ancora più forte per i
milioni di adolescenti che mettono a repentaglio la loro vita e quella degli
altri cavalcando il motorino senza indossare il casco, serpeggiando
incoscientemente nel traffico, passando sistematicamente col rosso? Tra i due
rischi, incontrare un pedofilo sul video del PC e spaccarsi la testa contro lo
spigolo di un marciapiede, qual è il più concreto e il più probabile?
Anche la cronaca, a leggerla senza pregiudizi, dimostra che i casi di pedofilia
che vengono alla luce si verificano in ambienti assai poco "virtuali",
per lo più in ambiti di sottosviluppo economico e culturale, dove Internet è
sconosciuta (come ha ricordato di recente anche Stefano Rodotà). E in ogni caso
il parental control e l'azione della scuola possono essere molto più
efficaci di tutti i rimedi che vengono di volta in volta proposti, dalle censure
dei contenuti agli anni di galera previsti anche a carico chi non c'entra per
niente.
Diverso è il discorso che riguarda
i traffici di bambini, lo sfruttamento economico dei minori ad opera di veri
delinquenti, che speculano sulla penosa condizione di soggetti che, nella
maggior parte dei casi, avrebbero bisogno degli psicologi piuttosto che dei
gendarmi. Questa sì che è una questione di polizia, di repressione del
crimine, come il traffico di stupefacenti o altre attività illegali e
pericolose. Ed è quindi opportuno che si diano agli inquirenti tutti i mezzi
utili per le indagini e che si adottino strumenti normativi che rendano meno
difficile l'individuazione dei colpevoli, come il divieto dell'anonimato totale
sulla Rete.
Di Internet si continua a parlare
sempre male, e quasi sempre a sproposito, e non si fa nulla per sfruttare le
opportunità che offre. Pensiamo, per fare un solo esempio, a quali vantaggi
può portare un serio sviluppo del telelavoro: invece lo si scoraggia con
tariffe telefoniche insostenibili per l'utente e con costi di interconnessione
da capogiro e tasse esorbitanti per i fornitori. Mentre si insiste con la
diffusa e martellante cattiva informazione sui rischi di Internet e delle
tecnologie nel loro insieme, fino a generalizzare rischi limitati, come
l'infarto o i disordini mentali da abuso di bit (rischi che, è bene ricordarlo,
non sono né diversi né più pericolosi da quelli che derivano dall'abuso di
droga, di alcol o di musica techno).
Che cosa c'è all'origine di questa
visione distruttiva così diffusa? Al primo posto metterei il disorientamento,
il timore diffuso, il sospetto, che si concentrano su una materia nuova,
incontrollabile per chi non la conosce. E soprattutto pericolosa, perché mette
a rischio le organizzazioni tradizionali, i poteri consolidati, i rassicuranti
schemi mentali di un mondo che sente avvicinarsi la fine. Tutto questo genera un
atteggiamento di rifiuto che si potrebbe definire "Internetfobia",
quasi un delirio persecutorio che ha come sbocco l'aggressione. Ecco un tema
nuovo, da segnalare agli studiosi, altro che Internet Addiction Disorder
o emorragie cerebrali!
E poi c'è qualcosa di ancora più
preoccupante. "Il rischio è che con la scusa di metterci il bavaglino
finiscano col metterci il bavaglio", scrive Giancarlo Livraghi in Cassandra:
una serie di riflessioni che vi suggerisco di leggere con attenzione, perché
Livraghi è uno che la sa lunga in materia di telematica e di comunicazione.
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