Pericolo: sequestratori in agguato
di Giancarlo
Livraghi - 29.06.98
Il recente sequestro di un server a
Bologna, disposto da un magistrato di Vicenza, tale Dott. Paolo Pecori, è un
episodio molto grave in sé; ma soprattutto è un sintomo assai preoccupante
della violenza e dei soprusi di cui sono capaci le nostre autorità quando si
tratta dell'internet.
Vorrei fare due premesse. La prima
è che mi avventuro con un po' di imbarazzo in un sito frequentato da persone
competenti in giurisprudenza, materia in cui ho una scarsissima preparazione; mi
esprimo qui come cittadino, non come esperto di legge, e spero di essere
perdonato per qualche imperfezione tecnica. La seconda è che nelle estese e
spesso strumentali polemiche che circondano la giustizia in Italia non sono
affatto ostile alla magistratura; anzi considero fondamentale il suo compito nel
combattere i gravi problemi che affliggono il nostro paese, dalla corruzione
alla criminalità organizzata. Ma proprio per questo mi indigna e mi addolora
vedere magistrati e forze dell'ordine svolgere così male il loro ruolo.
L'Italia è tristemente famosa in
tutto il mondo per il crackdown del 1994: considerato dagli esperti
internazionali la più massiccia operazione persecutoria contro le reti
telematiche mai avvenuta in un paese democratico. Se allora l'elemento
scatenante fu una caccia al software non registrato (che un'assurda legge
considera un atto criminale perseguibile d'ufficio, anche se alcune sentenze
più recenti ne danno un'interpretazione più ragionevole) in altre occasioni
i pretesti furono di altra specie. Le attività investigative continuarono,
spesso con episodi tragicomici (come il sequestro di computer che alcune
persone, del tutto estranee all'indagine in corso, avevano lasciato in un
negozio per farli riparare) ma alcuni magistrati si resero conto dell'inutilità
dei sequestri. Ci sono infatti casi esemplari di indagini condotte senza alcuna
inutile persecuzione di innocenti e senza alcun sequestro, semplicemente facendo
copia del materiale di cui gli inquirenti volevano disporre.
Ma i sequestri continuano; talvolta
perché è il magistrato a darne disposizione, talaltra (se sono esatte le
informazioni che ho avuto su alcuni casi) per un errore - non è facile capire
se intenzionale o no - delle "forze dell'ordine" che male
interpretano le istruzioni ricevute. Uno dei problemi è che spesso le vittime
si rifiutano di dare documentazione perché temono ritorsioni - e anche questo
è un sintomo piuttosto preoccupante della situazione sociale e culturale in cui
viviamo.
Il sequestro di un server il 27
giugno 1998 a Bologna non è un caso isolato. Ma è un tipico esempio di quanto
gravi possano essere le conseguenze dell'ignoranza (voglio essere
"ottimista" e sperare che non si tratti di intenzionale persecuzione).
Senza entrare nel tema specifico di quali leggi e norme istituzionali siano
trasgredite, è chiaro che si tratta di violazioni gravi di alcuni fondamentali
diritti dell'uomo, fa cui quello di esprimere liberamente le proprie opinioni
e quello di disporre di strumenti di comunicazione e di lavoro.
Anche a costo di ripetere cose che
molti (fra cui io) hanno già detto e scritto, ecco alcuni dei motivi per cui
queste azioni sono intollerabili.
Ogni indagato è innocente fino a quando è dimostrata la sua colpevolezza.
Privarlo di un computer (si sono avuti non pochi esempi del sequestro anche di
"periferiche", come stampanti e altre attrezzature) equivale a
togliergli la possibilità di lavorare, di accedere alle informazioni di cui ha
bisogno, di comunicare con il mondo.
Nel momento in cui si sequestra un computer (specialmente se è un server o
comunque è utilizzato per dare un qualsiasi servizio ad altre persone) si
danneggiano automaticamente persone e organizzazioni del tutto estranee all'oggetto
dell'indagine. Immaginiamo, per estremo, che si metta fuori uso la
documentazione di un medico o di un ospedale: quali potrebbero essere le
conseguenze per i pazienti? Sarebbe possibile, in quel caso, perseguire
magistrati e polizia per tentato omicidio o lesioni gravi? Ma anche senza
arrivare a ipotesi così estreme, è sempre grave che qualcuno possa essere
improvvisamente, e senza alcun motivo, privato del suo indirizzo postale, del
suo sistema di comunicazione, delle sue relazioni di vita e di lavoro solo
perché transitano su una macchina appartenente a qualcuno che è incappato nel
meccanismo di un'indagine.
La cosa è aggravata dal fatto che chi ordina o effettua il sequestro non sa,
né si preoccupa di sapere, quanti "estranei" colpisce nei loro
diritti fondamentali. Se non è ammessa l'ignoranza della legge, a maggior
ragione mi sembra che non possa essere ammessa l'ignoranza, da parte di chi
esercita potere, delle conseguenze dei suoi atti; specialmente quando saperlo è
molto facile - basta chiedere consiglio a un buon tecnico o a qualsiasi
persona esperta della rete.
Inoltre, sono molti i casi (come
quello del 27 giugno a Bologna) in cui si usa un bazooka per uccidere una
zanzara. Qualcuno considera "diffamatorio" un messaggio (solo a
processo avvenuto si potrà capire se c'era davvero diffamazione o no). Viene
messo fuori uso l'intero ambiente in cui quel messaggio è comparso, insieme a
migliaia di altri. Non mi risulta che alcun magistrato abbia mai disposto il
sequestro di un giornale solo perché qualcuno si considerava
"diffamato" da una lettera di un lettore. Ma in questo caso è ancora
peggio: è come se si mettessero sotto sequestro le rotative del giornale e dell'intera
casa editrice, o di qualsiasi altra testata che abbia la sfortuna di essere
stampata in quella tipografia. "Fatto salvo", naturalmente, il fatto
che un internet provider non è un editore, né il direttore di un giornale, e
non può essere in alcun modo ritenuto responsabile dei contenuti che altri
mettono in rete tramite il suo servizio.
È anche come se,
contemporaneamente, si sequestrasse un ufficio di smistamento postale e si
sottraesse ai destinatari tutta la posta in partenza da quell'ufficio e tutta
la posta in arrivo in quel settore (compresi vaglia, versamenti in conto
corrente postale, eccetera) tenendo poi bloccato "a tempo
indeterminato" l'intero servizio postale in quella zona... e magari si
"iscrivessero al registro degli indagati" i postini e gli impiegati o
dirigenti dell'ufficio. E tutto ciò perché da quella sede postale è
transitata una cartolina in cui si esprimono opinioni che qualcuno considera
offensive; e quando l'unico "corpo di reato" (la cartolina) è già
nelle mani degli inquirenti.
Oltretutto, questi interventi sono piuttosto stupidi, perché fanno danni gravi
agli innocenti (che non hanno alcun motivo di prevedere un sequestro) e
difficilmente ledono chi si aspetta un provvedimento del genere e può con
discreta facilità predisporre quanto necessario per avere in altra sede un
duplicato di tutto ciò che gli viene sottratto.
Non so, cari amici esperti in legge,
come posso far valere i miei diritti di "cittadino della rete", visto
che (per mia fortuna) non sono direttamente toccato né dall'incredibile caso
di Bologna né da altri dei molti episodi del genere; ma poiché uso la rete
tutti i giorni non posso non sentirmi minacciato. Mi sembrano molto più
pericolose le autorità italiane (magistrati, polizia, politici, legislatori e
pubblica amministrazione) di qualsiasi virus o del più astuto malfattore. Se
potessi, citerei per violenza, intimidazione, abuso di potere e lesione dei
diritti civili il dottor Paolo Pecori di Vicenza e tutti i suoi simili. Comunque
non perderò occasioni per denunciarli davanti al tribunale della pubblica
opinione, in Italia e nel mondo.
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