(Vedi anche COVID-19, decreti e confusione dell'informazione)
Il quadro normativo delle misure per arginare il contagio da COVID-19 va visto
attraverso la lente della gestione emergenziale, che non è solo una questione di
protezione civile, ma anche di ordine e sicurezza pubblica.
Si tratta di una materia molto complessa, ma per i fini di questo articolo è
sufficiente ricordare che è regolata sia a livello costituzionale, sia a
livello di legge ordinaria, pur con svariati problemi di coerenza derivanti dai
diversi momenti storici e politici nei quali sono state emanate le singole
norme, dal periodo fascista, a quello della Costituente, a quello che ha portato
alla riforma del Titolo V della Costituzione (responsabile, detto per inciso,
della dialettica marasmatica nella gestione dell'emergenza da parte di Stato,
Regioni e Comuni).
Dice la Costituzione:
Art.13. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente
dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti
provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità
giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si
intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte
del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via
generale per motivi di sanità o di sicurezza.
Art. 17. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle
autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica.
Per quanto riguarda i rapporti con gli enti locali:
Art.120. Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città
metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme
e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave
per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela
dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
A livello di legge ordinaria va ricordato quantomeno l'art. 214 e seguenti del Testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza, che conferisce al Ministro degli interni il
potere di dichiarare lo stato di pericolo pubblico, disporre le relative misure
di restrizione delle libertà individuali e utilizzare anche le forze armate. E
la possibilità di emanare "ordinanze contigibili e urgenti" dotate di
esecutorietà immediata.
In sintesi, il tratto comune della gestione emergenziale è la prevalenza
dell'interesse pubblico e collettivo sulle posizioni giuridiche soggettive
individuali che possono e devono essere limitate sulla base del potere
autoritativo dello Stato.
Fatta questa premessa, è evidente che la ratio del divieto di allontanarsi da
casa - o dell'obbligo di rimanerci - previsto dal combinato disposto dell'art.1
DPCM 9 marzo 2020 che richiama l'art. 1 DPCM 8 marzo 2020 e che non è stata
cambiata dal DPCM 11 marzo 2020 è chiara ed è duplice: da un lato i
provvedimenti sono finalizzati a limitare il contagio, sulla base della scelta
politica di non privilegiare l'opzione "immunità di gregge" (come
invece sta facendo il Regno Unito), e dall'altro intendono limitare la
possibilità che lo stato di tensione innescato dall'emergenza si traduca in
disordini potenzialmente incontrollabili (dei quali gli assalti ai supermercati
o alla Stazione Centrale di Milano sono una drammatica anticipazione).
Discende da quanto sopra che qualsiasi interpretazione o applicazione delle
norme emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sui limiti alla
libertà di circolazione dovrà avere, come presupposto, la verifica della
sussistenza di almeno uno dei tre casi previsti: necessità improrogabile,
lavoro e salute.
Dal che discende che sono vietate le "passeggiate" o
attività motorie e sportive non necessitate da ragioni professionali (atleta
che deve mantenere i livelli prestazionali in funzione di competizioni prossime
venture) o di salute (persona affetta da patologie certificate, il cui
trattamento richiede attività in spazi aperti).
Questa lettura è confermata anche dai "chiarimenti" pubblicati sul
sito della Presidenza del Consiglio che alla domanda "Sono previste nuove
limitazioni o regole riguardo agli spostamenti personali?" rispondono "No,
il decreto non cambia nulla di quanto già previsto da quelli precedenti in
merito agli spostamenti". Dunque, si applica integralmente l'art. 8 comma 1
DPCM 8 marzo 2020 che appunto, considera l'uscire di casa come un evento
eccezionale.
In questo senso va letta, quindi, l'ulteriore risposta alla domanda "È consentito fare attività motoria?" secondo la quale "Sì, l'attività
motoria all'aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli
assembramenti."
Anche se i "chiarimenti" non sono fonte di diritto e non eliminano la
responsabilità, per evitare i numerosissimi fraintendimenti, amplificati anche
dai mezzi di informazione, sarebbe stato opportuno riportare anche in questa
risposta il "ferme restando le ragioni che consentono di uscire".
Non averlo fatto, ha reso meno chiari i chiarimenti, ha aumentato la confusione
e - probabilmente - anche il numero delle sanzioni.
C'è solo da sperare, infine, che la percezione di poter circolare liberamente
solo perché si ha un paio di scarpe da ginnastica ai piedi non dia origine a
ulteriori disordini, a seguito dei quali la diffusione del virus potrebbe non
essere più l'unica emergenza della quale preoccuparsi.
* Avvocato cassazionista, professore incaricato di diritto
dell'Ordine e della sicurezza pubblica nell'Università di Chieti-Pescara
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