Una grande banca invita i dipendenti a lavorare da casa, ma la procedura per abilitare
il computer domestico è molto complicata e soprattutto scritta in maniera terribilmente ostica. Un manuale pieno di sigle di difficile comprensione anche per un
informatico come me. Ho avuto modo di leggere uno di questi manuali, ho capito la logica, corretta nella sostanza, ma tentare di realizzare quanto scritto non
è semplice nemmeno per un tecnico, (c'è chi ci ha provato per alcune ore poi ha rinunciato!) figuriamoci un impiegato bancario che di informatica capisce poco. Con l'emergenza sanitaria di queste settimane improvvisamente molte aziende italiane hanno scoperto il telelavoro
(uso questa parola per indicare, in generale, il "lavoro agile",
strana traduzione nella nostra normativa dell'inglese smart working). Sono decenni che noi tecnici lo proponiamo alle aziende come soluzione per contenere costi, e non solo, ma ci siamo spesso scontrati con diffidenze sia dei datori di lavoro
sia dei sindacati.
Ora che è l'unico modo per non fermare completamente l'azienda tutti corrono e cercano di dare l'accesso remoto ai propri collaboratori da casa.
Alcune grandi aziende da tempo hanno iniziato a curare la sicurezza interna in vari modi, con gli strumenti disponibili,
a volte con lavori egregi. Altre hanno già previsto la possibilità per i collaboratori di accedere da remoto, ma sono riuscite a mettere in piedi dei
sistemi talmente complessi da essere praticamente inutilizzabili.
Vediamo alcuni problemi che il telelavoro messo in piedi in fretta e furia si porta dietro.
Il primo è un problema sociale: le persone a casa non hanno la possibilità di confrontarsi con il collega della scrivania accanto o eseguire in due un lavoro particolarmente complesso e delicato. Ecco allora che si supplisce con telefonate continue, o si mettono in piedi videoconferenze con strumenti
vari,l'importante è che siano gratuiti (visti i problemi economici del momento).
L'uso di applicazioni sullo smartphone, o meglio il furbofono, o tablet, per chattare, telefonare, inviare foto e documenti
è divenuto normale e probabilmente lo resterà, perché una volta scoperto un sistema comodo per comunicare perché abbandonarlo a emergenza terminata?
In questo momento di emergenza nessuno si preoccupa del fatto che tutti i dati finiscono nelle mani dei grandi
player dell'informatica (quasi tutti americani), gli Over the Top, in quanto usando servizi gratuiti di fatto si
è accettato un baratto dei dati (aziendali e non solo), con la comodità e rapidità con cui
si mette in piedi un servizio. E lasciamo correre i problemi legati al GDPR per l'invio di dati personali, anche particolari, fuori della EU.
C'è poi il problema di crearsi in casa uno spazio con un minimo di tranquillità per poter lavorare. In questi giorni molti
mi telefonano per chiedere supporto e spesso è difficile capirsi per via dei rumori dei figli, presenti nella stessa stanza che giocano, guardano TV, chiedono aiuto per i compiti o altro.
Un secondo problema, ben più pericoloso, è che la maggior parte delle piccole aziende,
di cui l'Italia è piena, nulla sanno sulla sicurezza dei dispositivi che i collaboratori
usano da casa. Personal computer, tablet, furbofoni, smart TV, ecc. sono dispositivi di cui l'azienda nulla sa sulla sicurezza degli stessi.
Quello che noi tecnici sappiamo è che esistono milioni di dispositivi violati dalla pirateria informatica
e usati per ottenere dati da rivendere nei modi più disparati. Sto parlando dei cosiddetti
zombie, dispositivi che vengono inseriti in reti gestiti dalla pirateria per gli scopi più disparati. Da quello
che si sa, sono appunto milioni. Ecco allora che, concedendo ad un collaboratore di lavorare da casa, l'azienda rischia, senza rendersene neppure conto, di avere aperto una
o più porte o più di una alla pirateria informatica.
C'è poi il problema della velocità della rete che collega le abitazioni alle aziende. In questi giorni il traffico
è cresciuto a dismisura. Vodafone, ad esempio, ha dichiarato un aumento del 50% in queste settimane a livello europeo e ha chiesto ad uno degli operatori di TV via internet di diminuire la banda per permettere a tutti di navigare.
L'Italia sta pagando un ritardo di alcuni decenni (ved Coronavirus e norme nella società vulnerabile). Per poter lavorare da remoto serve una linea soprattutto stabile
e che abbia una velocità decente. Questo a oggi è possibile nelle città, ma appena si esce e ci si trova in periferia o un po' più lontano, la velocità cala drasticamente e spesso ci sono rallentamenti tali da rendere inutilizzabile il collegamento. Ecco allora che chi si trova a casa rischia di trovarsi bloccato, con una parte del lavoro che va perso e quindi rifatto, o con una lentezza esasperante, soprattutto se i dati sono tutti
nel cloud, la famosa "nuvola".
Al problema della velocità hanno cercato di supplire gli operatori telefonici innescando un altro problema. Se mi connetto tramite un operatore telefonico che mi regala (o meglio mi fa pagare a rate uno smartphone o un tablet) perché mai comprare un PC? Ecco che in molte famiglie i
PC non esistono e lavorare usando un tablet non è la stessa cosa che usare un PC con uno schermo di dimensioni adeguate.
Il "lavoro agile" andrebbe progettato con calma, valutando diversi aspetti, per evitare di fare danni nel tentativo di risolvere un problema.
Va valutato chi deve accedere, a quali risorse (e non a tutte), come spesso accade in questi giorni per via della fretta. I dati andrebbero cifrati fra la
postazione del collaboratore e l'azienda (VPN), ma soprattutto va messo in sicurezza il dispositivo utilizzato a casa, a cominciare da un valido antivirus, ma non solo.
Andrebbe poi valutato per bene quali altri strumenti utilizzare per le teleconferenze, lo scambio di dati ecc, in modo da ridurre il rischio di barattare i propri dati con gli Over The Top.
Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di dotare i collaboratori di dispositivi forniti dall'azienda, configurati con tutta la sicurezza necessaria e chiusi, utilizzabili solo per lavorare
e non per fare altro. Può sembrare un costo elevato, ma se si considerano i risparmi possibili con dipendenti a casa, non lo
è.
Il "lavoro agile" può dare grandi vantaggi alle aziende, e anche all'ambiente, con meno spostamenti, meno traffico nelle città ecc., ma andava organizzato e progettato con calma, prima dell'emergenza, anche da un punto di vista normativo. Ora si adottano soluzioni che rischiano di creare nel medio o lungo termine più problemi che benefici.
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