Pubblica amministrazione e commercio elettronico,
il futuro non è dietro l'angolo
di Manlio Cammarata - 08.10.98
"Rivoluzione digitale":
credo di aver usato diverse volte questa espressione a proposito del progetto
sul documento informatico elaborato dall'Autorità per l'informatica nella
pubblica amministrazione. In un articolo
di qualche mese fa avevo osservato che la coincidenza temporale tra le
innovazioni legislative in materia di firma digitale e i primi passi del
commercio elettronico potrebbe determinare una convergenza molto favorevole per
far diminuire il ritardo dello sviluppo delle tecnologie dell'informazione in
Italia.
Una più attenta riflessione
sull'argomento, stimolata soprattutto dalla lettura della bozza delle
"regole tecniche" elaborata dall'AIPA, ha moderato il mio ottimismo.
Non tanto per i suoi "difetti", ai quali l'AIPA sta ponendo rimedio
con la versione definitiva del testo, ma perché rende evidenti alcuni limiti
del quadro generale, che non apparivano con chiarezza nel DPR
513/97.
In esso è presente una visione complessiva molto avanzata, che si riassume
nella formulazione dell'articolo 2:
Il documento informatico da chiunque formato, l'archiviazione su supporto
informatico e la trasmissione con strumenti telematici, sono validi e rilevanti
a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizioni del presente
regolamento.
Il quale stabilisce le norme generali per la validità della firma digitale
e, con l'articolo 3, rimanda la definizione dei dettagli operativi a un
ulteriore regolamento tecnico.
I certificatori che non
certificano
Si tratta appunto delle "Regole
tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la duplicazione e
la validazione, anche temporale, dei documenti informatici ai sensi
dell'articolo 3, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica, 10
novembre 1997, n. 513", pubblicate
come bozza dall'AIPA (con un mai abbastanza lodato invito a esprimere critiche e
suggerimenti). Un testo estremamente delicato, prima di tutto per quanto
riguarda la quantità e la complessità degli adempimenti richiesti, poi perché
traccia un solco tra l'impiego del documento digitale nella pubblica
amministrazione e le applicazioni private, in primo luogo il commercio
elettronico.
A prima vista sembra addirittura che
ci sia una contraddizione tra il regolamento generale e le norme tecniche.
Infatti il DPR 513/97, articolo
17, stabilisce che le pubbliche
amministrazioni provvedono autonomamente, con riferimento al proprio
ordinamento, alla generazione, alla conservazione, alla certificazione ed
all'utilizzo delle chiavi pubbliche di competenza, ma l'articolo II.7 delle
regole tecniche introduce una norma che appare in contrasto con la validità e
rilevanza della firma digitale "a tutti gli effetti di legge": E'
consentito ai certificatori definire accordi di certificazione mutua.
Dunque la firma certificata da una pubblica amministrazione può non valere per
un'altra, se tra le due non c'è un accordo di mutuo riconoscimento. In pratica,
se il Ministero delle finanze certifica una firma per gli adempimenti fiscali,
questa può non essere valida per un altro ministero, o per il comune o per la
ASL, anche se la certificazione è stata compiuta con la piena osservanza di
tutte le regole. E ciò contrasta con l'articolo 2 del DPR 513/97, che vuole il
documento digitale valido e rilevante ad ogni effetto di legge, se formato
secondo le norme generali e specifiche.
In conseguenza di questa disposizione, un
soggetto che volesse gestire tutti i rapporti con la pubblica amministrazione
attraverso documenti digitali (e la cosa dovrebbe essere possibile nel giro di
pochi anni, secondo il DPR 513/97) dovrebbe munirsi di una coppia di chiavi per
ciascun ente con il quale dovesse trattare. Il che significherebbe anche il
doversi recare di persona presso tutti gli uffici interessati, con il dispendio
di tempo e lo spreco di risorse che si vorrebbe evitare proprio con l'adozione
del documento digitale! Senza contare la complessità della gestione
organizzativa e tecnica di un "portachiavi" tanto affollato, oltre al
rischio che deriva dall'impossibilità di ricordare a memoria le password
o le passphrase corrispondenti alle diverse chiavi.
Qualcuno dirà che il riconoscimento reciproco dei certificati è solo questione
di tempo. Di quanto tempo? Non possiamo ignorare che l'introduzione della
firma digitale è malvista, per vari e non sempre condivisibili motivi, da una
parte non trascurabile della pubblica amministrazione, e che il ritardo nel
mutuo riconoscimento dei certificati potrebbe essere un'arma efficace per
ritardare l'innovazione.
A tutto questo si aggiunge un'altra
complicazione. L'articolo V.1 delle regole tecniche stabilisce: Le
Pubbliche Amministrazioni, anche in forma associata, possono istituire, con
riferimento al proprio ordinamento, un servizio di certificazione delle chiavi
pubbliche dei dipendenti e dei cittadini, utilizzate ai soli fini
amministrativi, senza l'iscrizione dell'elenco pubblico di cui all'art. 8,
comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 513.
Così, alla quantità di chiavi che potrebbe derivare dalla mancata validità
generale dei certificati pubblicati da diverse amministrazioni, si aggiungono i
"certificati non pubblicati" previsti da questa norma.
La chiave di lettura di queste
disposizioni, che non appare esplicitamente nelle regole tecniche, è nel fatto
che le pubbliche amministrazioni che certificano le firme digitali dei propri
dipendenti e dei cittadini interessati, non sono "certificatori" ai
sensi del comma 3 dell'articolo
8 del DPR 513/97 e quindi non
sono iscritte all'albo pubblico tenuto dell'AIPA. Solo i certificati emessi da
questi soggetti (che quindi costituiscono le sole "autorità di
certificazione") hanno efficacia erga omnes e quindi devono essere
riconosciuti da tutte le pubbliche amministrazioni.
Insomma, il cittadino che vorrà assumere una "identità digitale" a
tutti gli effetti, dovrà rivolgersi a un certificatore iscritto all'albo,
mentre i certificati rilasciati da una pubblica amministrazione avranno
un'efficacia limitata a quella singola amministrazione e, eventualmente, alle
altre che abbiano stipulato accordi di mutuo riconoscimento con la prima.
E' difficile capire il senso di questo complesso di norme. Che le pubbliche
amministrazioni possano certificare, per il solo uso interno, le firme dei
propri dipendenti, appare naturale. Un po' meno naturale è la facoltà del
mutuo riconoscimento, invece dell'obbligo. Ma perché estendere la potestà
certificatoria delle amministrazioni a soggetti esterni, se questi certificati
non possono avere gli effetti previsti dall'articolo 2 del regolamento generale?
Forse l'obiettivo dell'AIPA è di
facilitare l'avvio della diffusione del documento digitale,
"acchiappando" i cittadini nel momento in cui vengono a contatto con
le amministrazioni, invece che aspettare che si affermi la certificazione
volontaria presso le apposite "autorità". Ma, come si osserva nell'articolo
di Andrea Monti, le norme dovrebbero
essere scritte in vista della loro applicazione "a regime", e non in
funzione di situazioni temporanee.
Troppe complicazioni per il
commercio elettronico
Al di là di questo problema, che
però non diminuisce il valore innovativo dell'introduzione del documento
digitale, resta la complessità e la rigidità delle regole tecniche per la
certificazione. Che forse sono necessarie per conciliare la certezza tecnica e
la certezza giuridica del documento digitale nell'ottica della pubblica
amministrazione e degli atti pubblici in particolare, ma che si scontrano con le
esigenze di rapidità e di semplificazione nei rapporti tra privati e
soprattutto nel commercio elettronico.
Le prime, positive esperienze in questo settore dimostrano che non sono
necessarie tante formalità e tante precauzioni per la sicurezza delle
transazioni telematiche, anche in considerazione del loro valore, generalmente
esiguo. Quindi è facile prevedere che i soggetti interessati al commercio
elettronico continueranno sulla strada, già intrapresa con buoni risultati,
dell'autenticazione diretta degli utenti attraverso i controlli sulle carte di
credito e altre precauzioni relativamente semplici. Infatti le estenuanti
procedure della firma digitale "valida e rilevante ad ogni effetto di
legge" finirebbero col frenare, invece che favorire, la diffusione delle
transazioni telematiche.
Dunque quella che si profila non è
la convergenza, ma la "divergenza" tra lo sviluppo del commercio
elettronico e l'evoluzione telematica della pubblica amministrazione. Certo non
sarà una catastrofe, ma si offusca un po' la prospettiva della nascita dei
"cittadini telematici" che le prime norme sul documento informatico
avevano fatto sognare.
Che ne facciamo dell'imposta
di bollo?
E ora una domanda semplice semplice:
come si applicherà il bollo ai documenti informatici, nei casi in cui l'attuale
ordinamento lo prevede (per esempio, sulle ricevute dell'affitto di un
appartamento)? Si potrebbero escogitare diversi espedienti tecnici per un bollo
"virtuale", ma poi come si farebbe a controllare l'assolvimento
dell'obbligo? Forse autorizzando la Guardia di finanza a curiosare in tutti -
tutti! - i PC dei cittadini o a intercettare "a campione" i messaggi
posta elettronica? Altro che Grande Fratello!
In ultima analisi la risposta è
semplice come la domanda: esonerando dall'imposta di bollo i documenti digitali.
Era la previsione contenuta nella prima bozza dell'AIPA, giustificata anche dai
consistenti risparmi nei costi amministrativi che possono essere determinati
dalla diminuzione dell'uso della carta.
Ma la norma è scomparsa dalla versione definitiva del provvedimento. E non
perché l'Autorità abbia cambiato idea (suppongo), ma perché per l'abolizione
del bollo occorre una legge. Il primo testo era appunto un disegno di legge, che
quindi avrebbe potuto dettare una norma ad hoc, ma poi è diventato un
regolamento, che non può modificare una legge.
E' dunque opportuno che si intervenga, magari nella legge finanziaria in
discussione, con una disposizione di buon senso, che non costa nulla.
Sicurezza: chi troppo e chi niente
Un'ultima considerazione. Le regole tecniche sul
documento informatico costituiscono di fatto un dettagliato manuale di sicurezza
dei sistemi e dei dati (anche troppo dettagliato: vedi l'articolo
di Corrado Giustozzi). E ci fa notare
l'assenza di un altro testo sulla sicurezza, quello previsto dall'articolo
15 della legge 675/96 sulla protezione
dei dati personali, ormai in ritardo di un anno...
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