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 Firma digitale

Con le nuove norme ci sarà più chiarezza
di Manlio Cammarata - 20.11.02

Poteva essere uno di tanti convegni che in questo periodo sono in qualche modo connessi alla firma digitale. Invece quello che si è svolto a Roma il 15 scorso nell'ambito della diciottesima edizione di Omat ha segnato probabilmente un punto di non ritorno nel tormentato sviluppo del documento informatico. Uno sviluppo, è bene ricordarlo, iniziato nell'ormai lontano 1996 con la "bozza dei notai", pubblicata con lungimirante tempestività dall'AIPA, e che ha avuto il suo primo punto fermo con il l'art. 15, comma 2, della legge 59/97.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma la firma digitale ha percorso pochissima strada, come ha ricordato il presidente di Assocertificatori, Giovanni Nasi, nella relazione che ha aperto il convegno. Gli ha risposto il capo dell'ufficio legislativo del Dipartimento per l'innovazione, Enrico De Giovanni, che ha concluso l'incontro ponendo alcuni punti fermi dai quali non si potrà prescindere nei futuri (e tanto attesi) sviluppi legislativi.
La cronaca non può trascurare le due relazioni intermedie: quella del giovane avvocato Sarzana di S. Ippolito, che ha dato conto della situazione normativa, e quella di Francesco Cocco, consulente giuridico del presidente dell'AIPA e soprattutto uno dei "padri storici" della normativa sul documento informatico.

Il presidente dell'associazione dei certificatori ha descritto senza mezzi termini una situazione preoccupante: molti certificatori iscritti nell'elenco pubblico non sono scomparsi dal mercato solo perché si tratta di grandi aziende commerciali per le quali la firma digitale costituisce un'attività secondaria, se non addirittura marginale. Hanno compiuto investimenti rilevanti per mettere in piedi strutture complesse, imposte da una normativa articolata e stringente, hanno dovuto "inventare" soluzioni software inedite, mai sperimentate in precedenza, hanno dovuto costruire competenze professionali inesistenti sul mercato.

I ritorni, ha detto Nasi, erano attesi dallo sviluppo dei pagamenti on line, della contrattazione tra privati e delle applicazioni di e-government. Nessuno di questi settori ha risposto alle aspettative. A tutto ciò si sono aggiunte alcune lacune normative e la confusione generata dalla direttiva europea sulle firme elettroniche. Il presidente di Assocertificatori si è chiesto perché, per esempio, non è decollato il settore delle transazioni tra professionisti, senza azzardare una risposta.
 "Credo di poter dire - sono sempre parole di Nasi - che i certificatori hanno svolto (e finora soprattutto) un'attività di divulgazione culturale a favore dell'impiego della firma digitale nelle transazioni telematiche".

A essere sinceri, non sembra che i certificatori abbiano investito molto in questo settore. Non si sono viste reali azioni di marketing rivolte al pubblico dei professionisti, non ci sono stati convegni di alto livello sponsorizzati dai certificatori, nessuna pubblicazione è stata diffusa per far conoscere la firma digitale. Anzi, qualche certificatore ha pensato solo a coltivare il proprio settore di riferimento, con applicazioni praticamente "chiuse" e senza considerare le ricadute complessive sul mercato.

Ma c'è quello che, a mio avviso, è stato l'errore più grave, che Nasi presenta invece come un punto di forza: la "promozione" delle firme operata dal decreto legislativo 10/02, che ha dato valore di scrittura privata anche alle firme elettroniche "squalificate" e valore di scrittura autenticata ai documenti muniti di firma qualificata.
Come abbiamo altre volte osservato,  l'attribuzione del valore di scrittura privata alle firme generiche rende inutile la firma digitale qualificata per la maggior parte delle transazioni per le quali era stata inizialmente pensata, mentre l'attribuzione alla firma qualificata degli effetti dell'autenticazione compiuta dal pubblico ufficiale è in contrasto con l'ordinamento giuridico (vedi, fra gli altri articoli pubblicati sull'argomento, Lo schema governativo stravolge il processo civile e Una breve sintesi delle questioni aperte dallo schema del decreto).

Alla fine del convegno del 15 novembre la conferma di questa visione è venuta  proprio dalle parole dell'avvocato Enrico De Giovanni, nuovo capo dell'ufficio legislativo del ministro Stanca. Con il decreto 10/02, ha detto De Giovanni, "la firma digitale è dotata di una forza probatoria straordinaria, persino eccessiva, tanto che stiamo seriamente pensando a modifiche legislative del decreto. La firma digitale non può valere più della sottoscrizione manuale".
De Giovanni ha poi anticipato alcuni contenuti del regolamento  che completerà il recepimento delle disposizioni comunitarie (previsto dallo stesso decreto legislativo) e delle regole tecniche che dovranno tener conto di un quadro completamente mutato rispetto a quello delineato nel '97.

In estrema sintesi, ci dovrebbero essere diversi livelli di firme: dalla firma elettronica completamente libera alla firma digitale qualificata, passando per la firma "avanzata" (per la verità di non facile identificazione). Solo ai documenti provvisti del livello più alto di sottoscrizione sarà attribuita la piena validità ed efficacia a tutti gli effetti di legge, ricostruendo quindi il quadro originario, che aveva posto l'Italia all'avanguardia nel mondo nel riconoscimento delle innovazioni tecnologiche come presupposto per il progresso dell'ordinamento giuridico.

Anche i certificatori, in accordo con la direttiva europea, saranno classificati in tre livelli: certificatori liberi, certificatori "qualificati" (con particolari requisiti da attestare volontariamente) e certificatori "accreditati", al livello più alto, sottoposti a regole particolarmente stringenti.
Questi provvedimenti, ha detto De Giovanni, dovrebbero vedere la luce prima della fine dell'anno. Ci sarà quindi l'indispensabile quadro di certezze per lo sviluppo della firma digitale. Sviluppo che potrebbe realmente iniziare, visto l'interesse che la materia incomincia a suscitare nel mondo delle aziende e della pubblica amministrazione.

Ma i certificatori accreditati dovranno compiere un ulteriore sforzo, per offrire prodotti decisamente migliori di quelli attuali: non solo del tutto aderenti alla normativa (e oggi non lo sono), ma anche di uso immediato e soprattutto pienamente interoperabili. Lo ho già scritto e non mi stanco di ripeterlo: la firma digitale diventerà di uso comune solo quando sarà facile come la firma autografa.