Con la pubblicazione del "libro bianco" intitolato "La
dematerializzazione della documentazione amministrativa" il CNIPA compie
un'analisi di notevole rilievo sullo stato dell'informatizzazione delle
pubbliche amministrazioni a nove anni dal fondamentale art. 15, secondo comma,
della legge 59/97 (la prima "Bassanini"), che attribuiva al documento
informatico gli stessi effetti del documento tradizionale, nel rispetto di
alcune fondamentali regole (il libro bianco può essere scaricato, in formato .pdf,
da questa URL: http://www.cnipa.gov.it/site/_files/Libro BiancoDEM.pdf
).
La dematerializzazione dei documenti è solo un passaggio
dell'informatizzazione delle amministrazioni. Ma è quello essenziale, perché
nessun procedimento può essere dematerializzato compiutamente fino a quando ci
sono movimenti di pezzi di carta. Per capirci, il protocollo informatico è
fondamentale per la gestione di procedimenti basati su documento informatici.
Però la sua utilità è limitata se si risolve nell'apposizione su un documento
di carta di un'etichetta con un codice. Il documento protocollato "informaticamente"
finirà (e rischierà di perdersi) in un "faldone" qualsiasi e il suo iter
sarà sempre quello di un pezzo di carta.
Il libro bianco è il prodotto del lavoro di un gruppo, presieduto dal
componente del CNIPA Pierluigi Ridolfi, a cui hanno partecipato ben nove
ministeri, oltre alla Presidenza del consiglio e allo stesso CNIPA. Il risultato
è molto interessante, nei limiti inevitabili di un documento ufficiale che non
può parlare, come si dice, "fuori dai denti", e va quindi letto tra
le righe con molta attenzione.
Per esempio, nei i numerosi passaggi in cui si parla di firma digitale, la
terminologia è corretta e le considerazioni sono ineccepibili. Peccato che nel
codice dell'amministrazione digitale, al quale il libro bianco fa costante
riferimento, ci siano definizioni diverse, confusionarie e a volte
tecnicamente scorrette...
Il quadro normativo descritto dal libro bianco appare completo, come pure le
regole tecniche. "Appare". Ma spesso l'apparenza inganna, sia perché
di fatto mancano alcuni tasselli fondamentali (come le disposizioni che rendano
possibile la distruzione di una buona parte dei documenti amministrativi) sia
perché alla coerenza tecnica non sempre corrisponde la coerenza giuridica.
Si vedano, per esempio, le sintesi delle audizioni raccolte nell'appendice:
alcuni "auditi" hanno espresso l'esigenza di accorciare i tempi di
conservazione obbligatori. Ottima soluzione per semplificare il lavoro, ma non
è il CNIPA che può dettare regole sulla durata della conservazione di
documenti che hanno determinati effetti legali: è in ballo l'equilibrio di
tutto il nostro sistema civilistico.
Questo problema è legato, fra l'altro, a un punto critico dell''attuale
sistema normativo, che fu segnalato già ai tempi del DPR 513/97: è quello
della durata nel tempo degli effetti del documento informatico, dovuta alla
limitata validità del certificato di sottoscrizione e alla macchinosa (e
facoltativa) apposizione periodica delle marche temporali. La soluzione non può
essere che nella costituzione di una banca dati che renda possibile la
consultazione dei certificati anche molti anni dopo la loro scadenza e nella
presunzione, fino a prova contraria, della validità del documento dopo la
scadenza del certificato (anche in considerazione del fatto che la costruzione
di un falso informatico è comunque molto difficile).
Per capire quali problemi possa comportare la completa dematerializzazione
dei documenti, si può citare un'esperienza che il vostro cronista ha vissuto in
prima persona: in seguito a una contestazione su un'operazione bancaria, si è
scoperto che l'immagine della firma che compariva sul video del sistema
informatico della banca non corrispondeva a quella tracciata su un ordine di
bonifico. La verifica sull'originale del "cartone" sul quale
l'interessato molti anni prima aveva depositato la sua firma rivelava che c'era
stato un errore nella "dematerializzazione": era stata acquisita la
firma di un altro procuratore.
E' chiaro che un errore di questo tipo non è eccezionale, anzi, può
verificarsi con una certa frequenza. Nel caso in questione è stato possibile
rilevarlo. Ma se l'originale fosse stato distrutto in seguito a un processo di
conservazione sostitutiva, si sarebbe potuta verificare una controversia
destinata a sfociare addirittura in una querela di falso, che non è una cosa da
nulla.
Ora possiamo immaginare un esercito di notai che controlla minuziosamente, una
per una, la corrispondenza tra le firme originali di milioni di clienti delle
banche e le rispettive immagini digitali, al fine di distruggere gli ingombranti
"cartoni"? Certamente no. Ma non possiamo neanche, come vorrebbe
qualcuno, rendere ancora meno impegnative le regole per la conservazione
sostitutiva, per facilitare l'eliminazione della carta. Gli errori si
moltiplicherebbero.
Qualcuno dice: una certa percentuale di errori o di frodi deve essere
tollerata. E' giusto, ma ci si deve chiedere quali conseguenze possono avere
questi errori e queste frodi. L'esempio tipico è quello delle carte di credito:
il sistema prevede come fisiologica una certa percentuale di transazioni
fraudolente e di conseguenze è organizzato per assorbire la perdita economica
che ne consegue. Ma è accettabile che un banale errore di acquisizione di un
documento possa determinare conseguenze addirittura penali per un cittadino
innocente?
In un futuro che dovremmo sperare prossimo non sarà più necessario
"depositare" la propria firma autografa per operare con i conti
bancari. La completa "dematerializzazione" delle operazioni
comporterà solo la semplicissima verifica della firma digitale, con le note
procedure. Ma il problema si sposterà "a monte", se non saranno rese
più stringenti le regole per il riconoscimento del titolare del certificato e
la consegna del dispositivo di firma, perché oggi è troppo facile ottenere un
certificato a nome di un'altra persona. E se manca un sufficiente affidamento
sullo strumento, non c'è codice o libro bianco che tenga: il documento
informatico "valido e rilevante a tutti gli effetti di legge" è
destinato a restare, paradossalmente, "sulla carta".
In conclusione, se lo scopo del libro bianco era di fare il punto sulla
dematerializzazione dei documenti pubblici, è stato raggiunto. Ma ora se ne
devono trarre le conseguenze: il quadro normativo presenta troppe disarmonie,
troppe imprecisioni e forse troppe lacune. E' necessario rivederlo nel suo
insieme, anche per dettare tempi accettabili per la sua attuazione.
Restando sull'argomento, un'ultima annotazione riguarda la discussione tra il
CNIPA e gli archivisti, sollevata dal
protocollo di intesa CNIPA/Adobe, che accoglie il formato .pdf come
standard per la firma digitale. Ha osservato Gianni Penzo Doria che La
memoria digitale dell'Italia non si conserva in PDF e Giovanni Manca (responsabile
dell'ufficio standard architetture e metodologie del CNIPA) ha sostenuto le
ragioni della scelta con il documento Nuove tecnologie
per l'interoperabilità del documento informatico. Replica ora Penzo Doria
con l'articolo La conservazione del documento digitale,
ma la discussione continuerà all'infinito se il problema non sarà inquadrato
in una visione "di sistema".
Infatti da ambedue le parti ci sono ragioni da vendere. Ma la coerenza
correttamente rivendicata da Manca ha le sue premesse in una normativa
discutibile, mentre la visione di Penzo Doria, accettabile nell'impostazione
tradizionale della materia, soffre di troppe diffidenze verso la
digitalizzazione, fino a negare la sostanza della dematerializzazione e la
sicurezza della firma digitale. Che, come tutti sanno, è
"matematicamente" sicura, mentre sono insufficienti le regole che la
rendono "giuridicamente" sicura nel tempo.
E allora la lezione è quella che abbiamo tante volte richiamato: non si
confondano il dominio della tecnologia e quello del diritto. La tecnologia
fornisca gli strumenti, il diritto li accolga e si adegui alla tecnologia.
Cioè, nel caso in questione, il tecnologo fornisca gli strumenti adatti
all'archiviazione "storica" e il giurista imposti nuove norme
sull'archiviazione, in modo di rendere possibile e utile l'impiego della
tecnologia. Se il tecnologo scrive le norme giuridiche, il giurista può essere
tentato di scrivere le regole tecniche. E i risultati sarebbero devastanti.
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