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 Introduzione alla firma digitale

9. La natura del documento informatico
di Manlio Cammarata e Enrico Maccarone - 06.01.2000

9.1. Copia, "clone" e duplicato

Nell'articolo precedente abbiamo visto che il documento informatico, anche se in linea di principio è "valido e rilevante a tutti gli effetti di legge", non può sostituire sempre il documento cartaceo. Questo deriva dal fatto che in molti casi non basta una firma autografa posta in calce a una scrittura per determinare conseguenze giuridicamente rilevanti. Abbiamo fatto l'esempio della cambiale, che non può esistere come documento informatico perché né la mera riproduzione del testo, né la sottoscrizione da parte del debitore possono da sole dar vita al titolo esecutivo: tra i suoi elementi essenziali occorre una particolare "forma", tipicamente cartacea, che non può essere soddisfatta dalla rappresentazione digitale.
Ma c'è un altro aspetto, sostanziale, che esclude la possibilità di cambiali fatte di bit. Infatti il debito si estingue solo con la restituzione del titolo originale, che è uno ed uno solo. Invece un'ipotetica cambiale informatica, duplicabile all'infinito sempre identica a se stessa, consentirebbe al creditore di esigere il dovuto per un numero infinito di volte!

Un altro esempio, fra i molti possibili di documenti che devono essere "fisicamente unici", è la procura speciale, la cui efficacia è limitata a un determinato atto e che deve essere allegata in originale all'atto stesso per il cui compimento è stata rilasciata. Se potesse essere semplicemente duplicata sotto forma di bit, sarebbe utilizzabile per un numero illimitato di atti uguali, come la vendita dello stesso immobile a molti acquirenti... Diversa è l'ipotesi della procura generale o della procura per il compimento di più atti, della quale ordinariamente si utilizza una copia autentica (informaticamente rappresentabile).

Tutto questo deriva da una caratteristica peculiare del documento informatico: può essere riprodotto esattamente, bit per bit, compresa la firma digitale, e non è possibile in alcun modo distinguere l'originale dai suoi "cloni". E' il concetto di duplicato: idealmente il documento informatico è uno solo, ma di esso possono coesistere tante "memorizzazioni" su supporti informatici anche diversi e separati.
Molto delicata è la questione della validità del duplicato, quando il documento originale, per legge o per espressa volontà delle parti, deve essere conservato presso colui che lo ha formato (tipicamente un notaio o un ufficiale rogante della PA). In questa ipotesi si tratta nella maggior parte dei casi di documenti "dinamici", destinati cioè a produrre effetti nel tempo, effetti il cui verificarsi o la cui formalizzazione devono essere annotati a margine del documento medesimo da parte del pubblico ufficiale depositario, unico autorizzato a rilasciare copia del documento stesso.

Nel silenzio della norma, e stante la materiale impossibilità di distinguere tra originale e duplicato, sarà di volta in volta la volontà degli interessati, o la valutazione del giudice, a decidere quale valore probatorio attribuire ai duplicati.
La mancanza di un elemento caratterizzante dell'originale è invece tipica della copia del documento informatico, così come altrettanto tipica - quasi lapalissiana - è l'espressa dicitura "copia" apposta alla stessa. La copia costituisce documento autonomo e distinto dall'originale e, sotto l' aspetto pubblicistico, la sua formazione ed il suo rilascio sono ben disciplinati dalla legge, in particolare da quella notarile. La copia non è, ovviamente, l'originale né un suo duplicato, dai quali si distingue nettamente e intrinsecamente, e il suo valore deriva dalla legge

9.2. La "immaterialità" del documento informatico

Il documento informatico determinerà una rivoluzione nell'ordinamento giuridico e nella scienza del diritto, perché introduce un'innovazione i cui effetti oggi non sono misurabili: un cambiamento radicale nella concezione e nell'uso del "documento", così come lo conosciamo da migliaia di anni, nella sua natura di res signata, cioè di una "cosa" che riporta dei segni, delle informazioni. La validazione del documento cartaceo è data dalla presenza di determinati segni sul supporto, tanto che non è possibile separare l'informazione o la validazione dal supporto.
Con il documento informatico si realizza la separabilità dell'informazione e della validazione dal supporto. In sostanza il documento informatico è "immateriale", dal momento che la sua esistenza non è legata a un determinato supporto fisico.

La "smaterializzazione" o "dematerializzazione" delle scritture non è una novità assoluta: basti pensare alle transazioni finanziarie che avvengono da anni in tutto il mondo, spostando enormi quantità di denaro senza che passi di mano una sola banconota, una sola moneta.
Per comprendere meglio i termini del problema, può essere utile ritornare con la memoria a non molti anni fa, quando i giuristi cercavano di spiegare agli informatici che non si poteva parlare di "furto di software" nel caso di copie abusive di programmi, per il fatto che la vittima dell'atto illecito non veniva spossessata dell'oggetto, proprio perché il software non è un "oggetto", una res.
Ma allora dobbiamo chiederci "che cos'è" il documento informatico, qual è la sua natura sostanziale, ancora prima che giuridica.

Nel nostro ordinamento ci sono due definizioni diverse e contraddittorie del documento informatico. La prima, in ordine di tempo, è quella dell'articolo 491-bis del codice penale, introdotto dalla legge 23 dicembre 1993, n. 547: ".per documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli". La definizione è confermata dal comma aggiunto all'art. 621: " è considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi".
Dunque il documento informatico, secondo il codice penale, è un "supporto", una res che "contiene" qualcosa, come il documento tradizionale.
Invece il DPR 10 novembre 1997, n. 513, che detta le norme fondamentali della nostra materia, afferma all'
articolo 1 che il documento informatico è "la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti".
Una "rappresentazione informatica", come ormai tutti sanno, è una sequenza di bit, che, elaborata da un sistema informatico, può essere resa visibile su uno schermo, stampata sulla carta o inviata a distanza.

Ora dobbiamo considerare un aspetto molto importante. Il bit non è una "cosa". Il bit è costituito dalla variazione di uno stato elettrico, magnetico o ottico. Un bit esiste perché, in un certo punto di un circuito elettrico, si verifica una tensione diversa da quella presente un attimo prima, o in una certa zona di un supporto magnetico c'è una carica diversa da quella della zona precedente, o ancora un determinato punto di un supporto ottico presenta una riflettenza diversa da quella del punto che gli è vicino.
Non si può toccare un bit, o prenderlo in mano, e nemmeno vederlo al microscopio: quello che si vede ingrandendo la superficie di un CD, è soltanto un "buco", cioè un segno interpretabile come bit soltanto all'interno di un sistema informatico. Possiamo considerare il bit è come un segno o un'unità di misura, al limite potremmo dire addirittura un'astrazione.

Il documento informatico, come insieme di bit, esiste dunque solo in relazione a un sistema informatico in grado di visualizzarlo o di trasferirne il contenuto su un supporto materiale, come lo schermo o la carta che esce dalla stampante, in modo che un essere umano possa prendere conoscenza del suo contenuto. Ma la rappresentazione sul video o la stampa sulla carta non sono "il documento" e non possono produrre gli effetti giuridici propri del documento stesso. Infatti, affinché la stampa di un documento informatico possa avere valore legale, è necessario che un pubblico ufficiale ne attesti la corrispondenza all'originale, come prescrive l'articolo 6 del DPR 513/97. Ma a questo punto la stampa segue le sorti di qualsiasi altro documento cartaceo!

Di fatto il documento informatico "funziona" solo se la firma è verificabile attraverso il collegamento col certificatore, quindi se è trattato da un sistema informatico. Quello che vediamo sullo schermo del computer non è il documento informatico in sé, ma la rappresentazione del suo contenuto, accompagnata dall'indicazione che si tratta di un documento provvisto di firma digitale e, se abbiamo compiuto l'operazione di verifica, che è stato sottoscritto in modo non ripudiabile. Volendo, possiamo visualizzare la firma digitale, ma ci troviamo di fronte a una sequenza di segni che per noi è priva di qualsiasi significato.

9.3. La separazione tra l'informazione e il supporto

Sappiamo che qualsiasi sequenza di bit può essere duplicata, spedita e ricevuta senza la minima alterazione. Uno scritto, un'immagine, un suono trasformati in sequenza bit possono essere riprodotti in un numero illimitato di esemplari e trasmessi a qualsiasi distanza senza che sia possibile distinguere l'originale dai suoi duplicati. Di fatto una sequenza di bit è un numero: sempre lo stesso, per quante volte lo si riproduca o lo si spedisca all'altro capo del mondo. Di più: non è in alcun modo possibile distinguere tra il primo esemplare e i suoi duplicati, essi sono tutti assolutamente identici, dal primo all'ultimo bit. Se alla sequenza di bit che costituisce il contenuto del documento è associata un'altra sequenza, generata con gli algoritmi della firma digitale, si ottiene la validazione del contenuto, perché c'è una correlazione biunivoca tra le due sequenze e la seconda è sicuramente riferita al firmatario, in virtù della certificazione. Anche se le due sequenze (evidenze informatiche, secondo la definizione del DPCM 8 febbraio 1999) vengono separate, non si perde la reciproca correlazione, verificabile con le opportune procedure crittografiche.

Tutto questo consente di separare il documento e la firma da un supporto e passarli su altri supporti, senza che venga meno la riferibilità della firma al contenuto, e quindi la natura del documento. Un supporto fisico ci deve essere (al limite, l'etere, se il documento viene radiotrasmesso) perché i bit costituiscono pur sempre una variazione di stato fisico. Ma il supporto fisico è indifferente per l'esistenza del documento.
Cerchiamo di capire meglio con un esempio. Prendiamo un dischetto sul quale sia registrato un documento informatico e lo inseriamo nel computer, visualizziamo il documento sullo schermo e attiviamo il programma che, collegandosi automaticamente al sito del certificatore, verifica la firma digitale attraverso la chiave pubblica del firmatario. Queste operazioni ci permettono di constatare che il dischetto contiene realmente un documento informatico "valido e rilevante a tutti gli effetti di legge".

Ora prendiamo il dischetto e lo distruggiamo. Per il codice penale abbiamo distrutto un documento informatico, perché l'articolo 491-bis dice che per documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria, eccetera eccetera.
Ma si dà il caso che del dischetto appena distrutto esista un duplicato. Inserendo il duplicato nel computer possiamo constatare che si tratta dello stesso documento di prima, valido e rilevante a tutti gli effetti di legge, come risulta dalla verifica della firma digitale.
Quindi la distruzione del supporto non comporta necessariamente la distruzione del documento, perché il supporto è solo un "accidente" - sia pure indispensabile - del documento stesso.

Così abbiamo visto alcuni aspetti - non tutti! - del documento informatico, che non hanno equivalenti nel documento tradizionale. Il che significa non solo che il documento informatico non può sostituire quello cartaceo per molte fattispecie previste dalla legge, ma anche che la legge dovrà evolversi in funzione del documento informatico.