La versione 1.1 delle Linee guida per l'utilizzo della firma digitale,
elaborate dal CNIPA e pubblicate il 31 maggio 2004, è l'ultimo passo (per
ora) del recepimento italiano della direttiva
1999/93/CE.
Scopo del documento, si legge, è "di chiarire cosa sia la firma digitale, le
differenze sostanziali fra le varie tipologie di firme elettroniche, le
modalità con cui è possibile dotarsi di un dispositivo di firma digitale, come
effettuare la verifica di una firma digitale e gli utilizzi pratici di questo
strumento."
Com'è noto, la previsione di differenti tipologie di firme elettroniche è
uno degli aspetti più controversi della direttiva, il cui concetto di firma
elettronica, tecnologicamente neutrale e a sua volta differenziato su diversi
livelli di robustezza e affidabilità, risulta di ampia portata e di difficile
individuazione.
Le linee guida affrontano questo punto, traendo dalla definizione di firma
elettronica data dalla direttiva comunitaria gli elementi utili a distinguere
tra firme "leggere" e firme "forti".
La necessità di un chiarimento su questi e altri aspetti della firma
digitale è evidente: una definizione vaga della firma elettronica rischia di
dare ingresso ai più diversi metodi di "validazione" e "identificazione"
informatica (ambedue indicate in inglese come authentication), che
potrebbero così accedere alle disposizioni contenute nell'art. 5 della direttiva (equivalenza tra forma
scritta ed elettronica e ammissibilità come prova in giudizio allo stesso
titolo delle prove documentali).
Non è un caso che le esperienze nazionali antecedenti alla direttiva, come
quelle italiana e tedesca, abbiano definito con maggior rigore della direttiva
ciò che può costituire una firma elettronica, vincolando la stessa alla
tecnologia di crittografia a doppia chiave asimmetrica, che nella impostazione
cosiddetta "tecnologicamente neutrale" della direttiva caratterizza la
categoria delle firme elettroniche "avanzate".
Riportiamo quindi il passaggio con il quale le linee guida affrontano la
spinosa questione:
Un piccolo passo in avanti lo consente, sempre nella direttiva, la
definizione di firma elettronica avanzata.
In base a tale definizione si comincia a comprendere che ci si deve confrontare
con una molteplicità di tipologie di firma. Dal punto di vista pratico è
sufficiente considerare:
a) la firma elettronica (generica) può essere realizzata con qualsiasi
strumento (password, PIN, digitalizzazione della firma autografa, tecniche
biometriche, ecc.) in grado di conferire un certo livello di autenticazione a
dati elettronici;
b) la firma elettronica avanzata, più sofisticata, consente di identificare in
modo univoco il firmatario garantendo anche l'evidenza di modifiche all'oggetto
firmato, apportate dopo la sottoscrizione.
Dunque, PIN e password costituirebbero, secondo le linee guida, uno strumento
per la realizzazione di una firma elettronica solo se, attraverso esse, è
possibile validare i dati elettronici. Per realizzare anche la funzione
(diversa) di identificare in modo univoco il firmatario, è necessario
utilizzare la firma elettronica avanzata.
Secondo alcuni autori, ciò confermerebbe, nonostante le autorevoli e contrarie
prese di posizione di numerosi autori, la teoria alla base del famoso ricorso per decreto ingiuntivo presentato dal
tribunale di Cuneo, che attribuisce all'e-mail l'efficacia probatoria della
scrittura privata, in quanto l'inserimento del PIN e della password per
accedere al servizio di posta costituirebbe una firma elettronica.
Il quesito si ripropone: può un'e-mail "passare" dalla definizione di
firma elettronica e accedere così alle disposizioni dell'art. 5.2 della
direttiva? A sostegno di tale teoria è stata attribuita all'ingegner Giovanni
Manca, responsabile CNIPA per i servizi di certificazione, l'affermazione che
"inviare una mail ad un destinatario è una firma elettronica, ovviamente
relativa ai dati contenuti in quel messaggio di posta elettronica...".
Affermazione poi smentita con decisione dall'interessato nei termini con cui
è stata riportata.
Sebbene l'inciso delle linee guida "in grado di conferire un certo
livello di autenticazione a dati elettronici" contenga già la risposta, che
esprime in modo sintetico quanto ampiamente sostenuto da autorevoli commentatori
su queste pagine (Buonomo, Cammarata e Maccarone, Giustozzi,
Ricchiuto.) è opportuno confrontare le linee
guida con il più importante studio finora condotto, a livello internazionale,
sulle firme elettroniche in Europa: lo studio dell'Università di Leuven.
Partendo dalla "madre di tutte le definizioni di firme elettroniche",
vale a dire la definizione di firma elettronica data dalla direttiva, lo studio
rivela in primo luogo come questa definizione sia frutto di delicati
compromessi, e, infatti, come i diversi Stati membri abbiano seguito differenti
percorsi di recepimento, in alcuni casi "correggendo" la vaghezza della
definizione. Nelle sue prime formulazioni, la definizione di firma elettronica
era molto simile a quella di firma elettronica avanzata. Il considerando n.8
della direttiva rivela la decisione di allargare la definizione in termini
estremamente vaghi:
la rapida evoluzione tecnologica e il carattere globale di Internet rendono
necessario un approccio aperto alle varie tecnologie e servizi che consentono di
autenticare i dati in modo elettronico. (n.b.: ritorna l'espressione delle
linee guida autenticazione/dati elettronici).
Secondo lo studio, il considerando n. 8 stabilisce chiaramente che l'espressione
"firma elettronica" riguarda la validazione dei dati (data authentication)
e non copre in alcun modo metodi e tecnologie di identificazione del firmatario
(entity authentication).
Per esempio, digitare il codice PIN per accedere al proprio conto bancario on
line non rientra nella definizione di firma elettronica, in quanto si
tratterebbe di entity authentication che nulla avrebbe a che fare con la
validazione dei dati.
Quindi, il PIN e la password inseriti per utilizzare i servizi di posta
elettronica, avendo la funzione di identificare l'utente abilitato ad accedere
a tale servizio, rappresentano un esempio di entity authentication, come
tale non idoneo a soddisfare le funzioni di data authentication richieste
perché si possa parlare, tecnicamente e giuridicamente, di firma elettronica.
In effetti, sebbene l'ampia definizione utilizzata si rivolga alle
tecnologie attuali e future, non bisogna mai dimenticare come la direttiva
europea impieghi il termine "firma" in termini giuridici, mentre la "firma
elettronica" costituisce essenzialmente una particolare applicazione
tecnologica.
Il rischio, aggravato dal regime previsto dall'art. 5 della direttiva, è
proprio quello che si sta verificando oggi, e cioè intendere "sottoscritto"
giuridicamente tutto quanto possa essere riferito ad una semplice procedura di
identificazione.
In Ungheria, ad evitare tali pericolose interpretazioni, la definizione di
firma elettronica della direttiva è passata da "dati in forma elettronica,
allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici
ed utilizzata come metodo di autenticazione" a quella di "dati in forma
elettronica, allegati e inscindibilmente connessi tramite associazione logica ad
altri dati elettronici ed utilizzata come metodo di autenticazione".
Passando all'attuazione della direttiva, ad aumentare i dubbi e le
incertezze, deve rilevarsi come il concetto giuridico di "firma" o "sottoscrizione"
si presenta nelle diverse accezioni date ad essa dagli ordinamenti degli Stati
membri: è in questi termini che la "firma elettronica" realizza un'armonizzazione
radicale delle singole nozioni giuridiche di sottoscrizione.
E' molto probabile che il concetto giuridico di "firma" varierà
sensibilmente, in seguito all'adozione della firma elettronica, ma resta il
fatto che questa indica qualcosa di diverso dalla certezza tecnologica offerta
dalla tecnologia a doppia chiave asimmetrica.
Ad esempio, i progetti di carta d'identità elettronica in Finlandia e in
Belgio si basano su smart card che contengono due coppie di chiavi: uno per il
controllo degli accessi (entity authentication) e l'altro per le firme
elettroniche (data authentication).
E' anche per queste ragioni che in diversi Stati membri sono state
modificate, o meglio, adattate al nuovo contesto delle comunicazioni
informatiche, le norme di civil law in materia di prove documentali: la
Germania, oltre al codice civile, ha anche modificato anche il codice di
procedura civile. |