Una fucilata, l'ennesima, quella inferta alla normativa sulla firma digitale
con le modifiche apportate al testo definitivo del codice
dell'amministrazione digitale, approvato dal Consiglio dei
ministri il 4 febbraio scorso. Non è la prima volta che l'edificio giuridico
costruito dall'AIPA nel 1997 subisce
modifiche che ne rendono problematiche l'interpretazione e l'applicazione. Il
testo del '97, è bene ricordarlo, pose l'Italia all'avanguardia nel mondo per
l'attribuzione di efficacia giuridica ai ritrovati della tecnologia.
Ma un primo segno delle resistenze che l'innovazione avrebbe trovato nel suo
percorso si ebbe già con il DPR 513 che, firmato dal Presidente della
Repubblica il 10 novembre 1997, scomparve per mesi. Ci si chiese che fine avesse
fatto e si seppe che era fermo alla Corte dei conti, che non vedeva chiaro nelle
nuove disposizioni e rimandava la registrazione: fu pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale solo il 13 marzo 1998.
Il secondo "incidente di percorso" si verificò alla fine
dell'estate del 2000, con la pubblicazione sul sito del Dipartimento della
funzione pubblica di una versione del testo unico sulla documentazione
amministrativa diversa da quella redatta dall'AIPA, con alterazioni che
rendevano incoerente il quadro normativo. Fu proprio InterLex ad accorgersi dei
cambiamenti (Si vuole abrogare la firma
digitale?); nacque un botta e risposta con il Dipartimento (Battuta d'arresto per la firma digitale) e alla
fine le cose furono rimesse a posto, dopo un deciso intervento dell'allora
presidente dell'AIPA, Guido M. Rey.
Toccò poi al decreto legislativo 10/02, di attuazione della direttiva 1999/93/CE,
elaborato in gran segreto: le modifiche al testo unico apparvero subito come un
"siluro" lanciato contro il documento informatico, con forti sospetti
di incostituzionalità (si veda Una breve sintesi delle
questioni aperte dallo schema del decreto, che contiene anche i link agli
articoli più significativi scritti in quei giorni). Quelle norme hanno
generato non poche discussioni e qualche stranezza interpretativa. La presenza
di oscurità, contraddizioni ed errori è stata riconosciuta anche dal
legislatore. Il codice dell'amministrazione digitale avrebbe dovuto rimettere le
cose a posto.
Infatti la prima bozza "definitiva", diramata dal Dipartimento per
l'innovazione il 16 luglio 2004, ricostruiva un quadro sostanzialmente corretto
e coerente con l'ordinamento. Fatica sprecata: il testo finale approvato dal
Governo riporta tutto in alto mare. Sembra che nel Palazzo ci sia qualcuno
che, sistematicamente, si adopera per distruggere i progetti normativi più
avanzati, un serial killer le cui vittime hanno in comune la carica
innovativa.
O forse è solo l'istinto di sopravvivenza del burosauro, una specie che nessuno
si sogna di proteggere, ma che non si estingue. Forse perché non ci sono
abbastanza cacciatori.
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