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Firma digitale

Un serial killer si nasconde nel Palazzo

di Manlio Cammarata  - 29.01.04

 
Una fucilata, l'ennesima, quella inferta alla normativa sulla firma digitale con le modifiche apportate al testo definitivo del codice dell'amministrazione digitale, approvato dal Consiglio dei ministri il 4 febbraio scorso. Non è la prima volta che l'edificio giuridico costruito dall'AIPA nel 1997 subisce modifiche che ne rendono problematiche l'interpretazione e l'applicazione. Il testo del '97, è bene ricordarlo, pose l'Italia all'avanguardia nel mondo per l'attribuzione di efficacia giuridica ai ritrovati della tecnologia.

Ma un primo segno delle resistenze che l'innovazione avrebbe trovato nel suo percorso si ebbe già con il DPR 513 che, firmato dal Presidente della Repubblica il 10 novembre 1997, scomparve per mesi. Ci si chiese che fine avesse fatto e si seppe che era fermo alla Corte dei conti, che non vedeva chiaro nelle nuove disposizioni e rimandava la registrazione: fu pubblicato sulla Gazzetta ufficiale solo il 13 marzo 1998.

Il secondo "incidente di percorso" si verificò alla fine dell'estate del 2000, con la pubblicazione sul sito del Dipartimento della funzione pubblica di una versione del testo unico sulla documentazione amministrativa diversa da quella redatta dall'AIPA, con alterazioni che rendevano incoerente il quadro normativo. Fu proprio InterLex ad accorgersi dei cambiamenti (Si vuole abrogare la firma digitale?); nacque un botta e risposta con il Dipartimento (Battuta d'arresto per la firma digitale) e alla fine le cose furono rimesse a posto, dopo un deciso intervento dell'allora presidente dell'AIPA, Guido M. Rey.

Toccò poi al decreto legislativo 10/02, di attuazione della direttiva 1999/93/CE, elaborato in gran segreto: le modifiche al testo unico apparvero subito come un "siluro" lanciato contro il documento informatico, con forti sospetti di incostituzionalità (si veda Una breve sintesi delle questioni aperte dallo schema del decreto, che contiene anche i link agli articoli più significativi scritti in quei giorni).

Quelle norme hanno generato non poche discussioni e qualche stranezza interpretativa. La presenza di oscurità, contraddizioni ed errori è stata riconosciuta anche dal legislatore. Il codice dell'amministrazione digitale avrebbe dovuto rimettere le cose a posto.
Infatti la prima bozza "definitiva", diramata dal Dipartimento per l'innovazione il 16 luglio 2004, ricostruiva un quadro sostanzialmente corretto e coerente con l'ordinamento. Fatica sprecata: il testo finale approvato dal Governo riporta tutto in alto mare.

Sembra che nel Palazzo ci sia qualcuno che, sistematicamente, si adopera per distruggere i progetti normativi più avanzati, un serial killer le cui vittime hanno in comune la carica innovativa.
O forse è solo l'istinto di sopravvivenza del burosauro, una specie che nessuno si sogna di proteggere, ma che non si estingue. Forse perché non ci sono abbastanza cacciatori.

 

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