Autorizzazioni generali: il
lupo perde il pelo, ma non il vizio
di Manlio Cammarata - 28.09.2000
Approvata il 19 luglio, pubblicata sulla Gazzetta
ufficiale l'8 agosto, è passata inosservata la delibera
467/00/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che
stabilisce le condizioni per le autorizzazioni generali, previste dall'articolo
6 del DPR 318/97 in attuazione delle direttive comunitarie e in particolare
della 97/13/CE.
Con quasi due anni di ritardo sulla scadenza europea, finalmente si chiude il
capitolo aperto dal decreto legislativo 103/95,
che ha causato tanti problemi, soprattutto ai piccoli provider.
Non c'è più l'assurdo, doppio regime dichiarazione/autorizzazione, con le
relative questioni interpretative: tutti i fornitori di servizi di
telecomunicazioni sono in regime di "autorizzazione generale", con
l'eccezione dei servizi per i quali è necessaria la "licenza
individuale" (telefonia vocale, installazione e fornitura di reti pubbliche
di telecomunicazioni).
La delibera è un provvedimento complesso,
perché disciplina tutti i servizi di telecomunicazioni soggetti
all'autorizzazione generale, in particolare quelli via satellite. Alcune
categorie di servizi, oltre alle condizioni comuni, sono soggette a una serie di
clausole specifiche e per i servizi via satellite le condizioni sembrano
particolarmente aperte e sostenibili, per favorire il più possibile lo sviluppo
del settore. Qui ci occupiamo delle disposizioni che riguardano gli internet
provider.
Una spada di Damocle
La prima lettura del testo riserva una sgradita
sorpresa: nelle premesse si incontra un'affermazione che era stata formulata
nelle interpretazioni della prima ora sul provvedimento del '95, ma che era
stata accantonata per la sua manifesta infondatezza:
CONSIDERATO che la categoria generale dei
servizi di telecomunicazioni si riferisce a numerose tipologie di servizi, quali
la trasmissione dati a commutazione di pacchetto e di circuito - nella quale
rientrano, ad esempio, i servizi Internet, offerti su reti fisse e mobili, e i
servizi a valore aggiunto, che si avvalgono di collegamenti diretti della rete
pubblica - nonché la semplice rivendita di capacità e la telefonia vocale
per gruppi chiusi di utenti.
Ebbene, come abbiamo più volte dimostrato nelle
discussioni a proposito del DLgs 103/95 (vedi Il
decreto legislativo 103/95 e gli Internet Service Provider),
la fornitura di servizi a valore aggiunto - come l'accesso all'internet - non
rientra tra i servizi a commutazione di pacchetto e di circuito. Infatti in
tutta la normativa europea e nazionale, e in particolare nel DPR 318/97 essi
sono così definiti all'articolo 1, comma
1:
u) "servizio di trasmissione di dati a
commutazione di pacchetto o di circuito", la fornitura al pubblico del
trasporto diretto di dati in partenza e a destinazione dei punti terminali di
una rete pubblica commutata, che consente ad ogni utente di utilizzare l'apparecchiatura
collegata al suo punto terminale di tale rete per comunicare con un altro punto
terminale.
I servizi a valore aggiunto - in particolare
l'accesso all'internet - non possono rientrare nella definizione, perché essi
non consistono nel trasporto diretto dei segnali (ci sono in mezzo DNS, proxy
server e altro) e i contratti prevedono anche altri servizi, come l'e-mail,
nei quali addirittura manca il collegamento tra i due punti terminali della
rete. Infatti questi servizi sono definiti nello stesso comma:
q) "servizio di telecomunicazioni",
un servizio la cui fornitura consiste, in tutto o in parte, nella trasmissione e
nell'instradamento di segnali su reti di telecomunicazioni, ivi compreso
qualunque servizio interattivo anche se relativo a prodotti audiovisivi, esclusa
la diffusione circolare dei programmi radiofonici e televisivi.
Quest'ultima definizione stata soppressa nella
delibera, ma le conseguenze di questa "distrazione" possono essere
notevoli, soprattutto in relazione all'avvio del servizio immediatamente dopo
l'invio della dichiarazione, consentito solo per i servizi elencati all'art.
3, comma 2 della delibera dell'AGCOM:
I soggetti che intendano offrire al pubblico i
seguenti servizi di telecomunicazioni possono avviare il servizio
contestualmente alla presentazione della dichiarazione, ai sensi dell'art. 22,
comma 1, lett. f) del regolamento:
trasmissione dati a commutazione di pacchetto e/o di circuito;
semplice rivendita di capacità;
telefonia vocale per gruppi chiusi di utenti;
servizi di comunicazione via satellite di tipo SNG;
servizi di comunicazione via satellite espletati tramite l'utilizzo di
terminali VSAT, SIT o SUT.
Come si vede, non ci sono i "servizi di
telecomunicazioni" indicati dalla lettera q) del DPR 318, ma la delibera di
un'autorità indipendente non può modificare un atto avente forza di legge.
Quindi, con un'interpretazione letterale e sistematica della norma, il provider
che avviasse il servizio subito dopo aver presentato la dichiarazione potrebbe
subire le pesanti sanzioni previste per chi opera senza l'autorizzazione
generale: fino a 180.000.000 di lire, sequestro delle apparecchiature...
Evidentemente l'intenzione dell'Autorità è di consentire l'avvio immediato del
servizio, come si evince dal "considerato" preliminare, ma il rischio
delle tristemente note interpretazioni ministerial-poliziesche pende come una
spada di Damocle sul capo dei provider (vedi Il Ministero
ordina, la Polizia obbedisce).
Le condizioni
Andiamo avanti. Il regime disegnato dalla
delibera 467 è di natura dichiarativa, come prescrivono le norme comunitarie,
perché basta mandare la domanda per dare immediatamente avvio al servizio.
Però, come avevamo osservato a suo tempo, quando erano stati definiti gli
importi dei contributi, l'onere è quello delle vecchie autorizzazioni: un
milione per l'istruttoria, più un milione l'anno per ogni sede nella quale sono
installate "le apparecchiature di commutazione proprie di ciascun servizio
offerto" (vedi il decreto ministeriale 5
febbraio 1998).
A parte i dubbi interpretativi su questa formula,
la sostanza è che i piccoli provider pagano i contributi per fornire il
servizio, mentre i grandi, che hanno la licenza di operatori di
telecomunicazioni, non pagano nulla, perché l'autorizzazione generale è
compresa nella licenza. Paradossalmente, un provider di medie dimensioni che
abbia molti POP, può dover versare più di quello che versa un operatore di
telecomunicazioni che copre il territorio nazionale con tutti i servizi
telefonici. Resta poi il dubbio se questo importo sia effettivamente tale da
coprire "esclusivamente i costi amministrativi connessi all'istruttoria, al
controllo della gestione del servizio e del mantenimento delle condizioni
previste per l'autorizzazione stessa", come prescrivono l'articolo
6, comma 5 del DPR 318/97 e l'articolo 6
della direttiva 97/13/CE.
La novità più interessante, rispetto al regime
precedente, è in una serie di condizioni che devono essere rispettate dai
titolari di autorizzazioni generali (articolo 5,
primo comma). Oltre ad alcuni obblighi, peraltro ovvii, che riguardano il
rispetto delle "esigenze fondamentali" (articolo
12 del DPR 318/97) e di una serie di requisiti tecnici, ai fornitori di
servizi si chiede:
g) la fornitura di fatture dettagliate e
documentate;
h) la pubblicizzazione delle condizioni di offerta del servizio, incluse quelle
attinenti alle condizioni economiche, alla qualità ed alla disponibilità del
servizio nonché le relative variazioni delle condizioni stesse;
i) l'istituzione di una procedura per la trattazione dei reclami.
Queste disposizioni sono opportune, perché in
sostanza impongono il rispetto di alcuni elementari obblighi di trasparenza e
correttezza nei confronti degli utenti, obblighi oggi spesso ignorati da
fornitori grandi e piccoli, a partire dall'indicazione degli standard di
qualità del servizio.
Intercettazioni legali
Desta invece molte perplessità l'ultimo punto
delle condizioni elencate al primo comma dell'articolo 5:
k) la collaborazione tempestiva alle
competenti Autorità giudiziarie ai fini della tutela della sicurezza delle
comunicazioni e le necessarie prestazioni a fronte di richieste di
documentazione e di intercettazioni legali, anche mediante sistemi informatici e
telematici, secondo quanto previsto dalla Risoluzione del Consiglio dell'Unione
Europea del 17 gennaio 1995 sull'intercettazione legale delle comunicazioni
citata in premessa, dal regolamento, dall'articolo 266 bis c.p.p., nonché da
successive disposizioni in materia.
Si tratta di prescrizioni superflue, perché la
materia è già regolata da norme di legge, che non possono essere né
confermate, né modificate dal provvedimento di un'autorità indipendente. Ma
l'esplicita menzione della Risoluzione comunitaria del '95, che non ha valore
imperativo, indica la tendenza a un "giro di vite" che può avere
risvolti preoccupanti, anche in considerazione delle previsioni di
responsabilità penale "oggettiva" dei provider, mascherate nella
recente direttiva sul commercio elettronico.
Nessuno chiede che si abbassi la guardia nei confronti delle attività illecite
che si svolgono per via telematica, ma si non si può ignorare la tendenza
sempre più forte di attribuire ai fornitori di servizi responsabilità
troppo impegnative per situazioni che non li riguardano direttamente.
Una conferma di questa tendenza viene dal secondo
comma dello stesso articolo 5:
I soggetti che offrono servizi di
telecomunicazioni al pubblico in luoghi presidiati mediante apparecchiature
terminali, compresi fax, elaboratori dotati di modem o altrimenti connessi a
reti informatiche, oltre a soddisfare agli obblighi di cui al comma 1, sono
tenuti a:
- consentire
l'identificazione certa degli utenti che fanno uso di detti terminali per
l'invio di posta elettronica;
A parte la strana circonlocuzione per
indicare gli internet cafè, le biblioteche e altri luoghi aperti al pubblico in
cui si offre l'uso di apparecchiature collegate alla rete telefonica, a parte il
fatto che la mancanza di una virgola rende sconcertante la prima lettura (luoghi
presidiati mediante fax?), la norma è pericolosamente criptica. Che significa
"consentire l'identificazione certa degli utenti"? Chiedere un
documento prima di abilitare il terminale? In questo caso l'espressione avrebbe
dovuto essere "devono identificare".
L'interpretazione letterale indica invece che i gestori devono rendere possibile
(consentire) ad altri l'identificazione di chi invia e-mail. Questi
"altri" non possono essere che gli agenti di polizia giudiziaria, che
non hanno certo bisogno del consenso del gestore di un locale per identificare
gli avventori!
Va anche considerato che, se si interpreta questa disposizione come obbligo per
i gestori di identificare i clienti, i gestori stessi diventano titolari di
trattamenti di dati personali, ai sensi della legge 675/96, con tutte le
conseguenti notificazioni, informative, stravaganti misure di sicurezza e
responsabilità varie, che non incoraggiano certo la diffusione di questi
servizi.
Non c'è dubbio - se ne parla da anni - che
l'anonimato totale facilita la commissione di atti illeciti, ma servirebbero
norme più chiare e generali per conciliare il diritto alla riservatezza e le
esigenze di prevenzione e repressione del crimine.
Inoltre nella lettera k) del primo comma sembra di riconoscere l'iniziativa,
già avviata tra mille proteste negli USA e in Gran Bretagna, di installare in
permanenza dispositivi di intercettazione presso i provider, con tutti i rischi
di abuso che queste attività comportano.
Ma la norma appena vista richiama un altro
aspetto problematico: i fornitori di accesso da locali aperti al pubblico non
offrono un "servizio di telecomunicazioni" che, come abbiamo visto, è
definito dalla normativa definisce come "un servizio la cui fornitura
consiste, in tutto o in parte, nella trasmissione e nell'instradamento di
segnali su reti di telecomunicazioni". Quello che viene fornito, in
questi casi, è semplicemente l'uso di un terminale collegato alla rete, mentre
il servizio di telecomunicazioni è fornito dal provider "a monte".
E' una vecchia questione, che ha un risvolto preoccupante: come abbiamo rivelato
alcuni mesi fa, la falsa interpretazione della qualificazione del servizio è
stata indicata dal Ministero delle comunicazioni alla Polizia postale, per avere
un'arma di controllo in più (vedi Il
Ministero ordina, la Polizia obbedisce).
La conclusione è in un vecchio adagio: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Le sanzioni
Con l'emanazione delle condizioni delle
autorizzazioni generali divengono operative anche le sanzioni previste dall'articolo
25 della legge 128/98: da 5 a 180 milioni di lire, a seconda della gravità
dell'infrazione, con il noto corredo di sospensioni del servizio e sequestri di
apparecchiature.
Così sarà più facile estinguere definitivamente la razza dei piccoli
provider, di quelli che sono sopravvissuti nonostante il costo delle linee
dedicate, la concorrenza sleale di Telecom Italia, le irruzioni della polizia,
le super-offerte dei nuovi operatori di telecomunicazioni, e che non riescono a
veder approvata neanche una leggina che garantirebbe loro una boccata
d'ossigeno. Una leggina, come al solito, superflua, perché anche questa materia
è di competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (vedi Dal
decreto "ammazzaprovider" alle sviste del DDL "salvaprovider"). |