Si è tenuto a Roma il 12 ottobre scorso un incontro intitolato "Quali
garanzie di reale indipendenza dai poteri forti per le Autorità di regolazione
in Italia e in Europa. L'esempio e il lascito di Giovanni Buttarelli".
L'evento è stato promosso da Eurovisioni e Infocivica, in collaborazione con
Movimento Europeo Italia e Privacy Italia.
Nel programma era prevista una mia relazione introduttiva. Poi
l'apertura dei lavori è stata svolta dall'attuale Garante Antonello Soro.
Allora ho improvvisato un discorso più breve e sintetico. Qui riporto il
testo che avevo preparato, più completo e forse più chiaro.
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La notizia della scomparsa di Giovanni Buttarelli mi ha
sorpreso proprio mentre stavo per mandargli la bozza di un librino (che
sto finendo di scrivere) nel quale tratto diverse serie questioni sulla protezione dei
dati personali, alla luce della diffusa "dipendenza" dalle tecnologie.
Immaginavo le sue obiezioni su certi passaggi e la discussione
che ne sarebbe seguita. Discussione che mi avrebbe aiutato, come in altre
occasioni, a chiarirmi le idee. E a esporle dando conto anche di una visione
diversa.
Ma Giovanni se n’è andato. Ho perso – tutti abbiamo perso – un punto di
riferimento. E sarà molto difficile trovarne un altro della stessa levatura.
Avevo conosciuto Giovanni Buttarelli nell’ormai lontano
1992, a Trento, in un convegno in cui si discuteva del progetto di direttiva
europea sulla tutela dei dati personali, ormai in fase avanzata di elaborazione.
C’ero andato perché già da qualche anno mi occupavo della questione e mi
interessava capire quale fosse l’orientamento definitivo su un tema che
divideva gli allora pochi cultori della materia (anche se di protezione dei dati si
discuteva fin dagli anni ’60 e la prima legge sulla materia era stata
introdotta dal Land tedesco dell’Assia nel 1970).
Il rapporto personale nacque dopo, nel gennaio del 1995,
quando lui volle replicare a un mio
articolo, molto critico, sul disegno di legge “1901-bis”. La sua "creatura"
iniziava allora l’iter che si sarebbe concluso due anni dopo con la legge
657/96. Mi accusò di “terrorismo interpretativo”. Ne nacque
un’intervista-duello, che non cambiò la mia opinione, ma mi fece capire la profonda
preparazione e la statura etica del magistrato.
Perché Giovanni Buttarelli dominava la materia, era
impossibile tenergli testa quando citava a memoria la normativa in vigore o in
discussione in tutto il mondo. Ed era giustamente orgoglioso per quanto il
quadro normativo europeo, del quale è da tutti considerato il “padre”,
fosse studiato e preso come modello in tutto il mondo. La convinzione con la
quale combatteva le sue battaglie era frutto di un’onestà intellettuale che
deve riconoscergli anche chi non condivideva le sue idee o vedeva i propri
interessi colpiti dal sistema di tutela della persona che lui aveva disegnato e
che difendeva, instancabile.
Negli anni in cui fu segretario generale del Garante italiano ci incontrammo
molte volte, sempre d’accordo sui principi e più o meno in disaccordo con la
loro traduzione in precetti giuridici. Il confronto era stimolante, la sua
ironia sottile disarmava
anche l’oppositore più accanito.
Ma chi era il “nemico” contro il quale Gianni
combatteva? Per capirlo basta ricordare quello
che accadde il giorno stesso della sua scomparsa, come fu riportato da diversi
giornali: se qualcuno cercava su Google “buttarelli causa morte” o
“buttarelli malattia” otteneva la risposta in una frazione di secondo.
Lui e i suoi familiari avevano steso una cortina di riserbo sul male
che lo aveva colpito. Come tutti sappiamo, le informazioni sullo stato di salute di una persona
hanno una tutela molto forte nella normativa sul trattamento dei dati
personali. La verità era conosciuta da poche persone, che mai
avrebbero diffuso l’informazione ai quattro venti. Certo nessuno l’ha
“condivisa” su una rete sociale o divulgata in altro modo. Ma Google violò
il silenzio. Google “sapeva”. Perché Google sa tutto di noi e lo rivela senza
riguardi per nessuno. CONTINUA
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