Può sembrare un documento di normale amministrazione il parere emesso dal Garante per la protezione dei
dati personali su uno schema di decreto del Ministero dell'interno, in materia
di raccolta dei dati dei clienti degli alberghi a fini di polizia.
Ma è importante, perché indica una certa attenzione verso quei trattamenti che
incidono pesantemente sul diritto alla riservatezza dei cittadini con lo scopo
(o il pretesto) della sicurezza pubblica. Una materia molto delicata,
soprattutto dopo l'11 settembre del 2001, quando abbiamo capito che da quel
giorno saremmo stati tutti un po' meno liberi (vedi il numero speciale Ora è a rischio la libertà della Rete).
Non solo della Rete, naturalmente, perché anche nella vita di tutti i giorni
i controlli si sono fatti più pervasivi, ma nel caso delle
"schedature" operate dalle forze di polizia per il tramite degli
albergatori l'11 settembre non c'entra. Risale infatti al testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza (TULPS) del lontano 1931 l'obbligo per i gestori di
comunicare alla polizia le generalità di chi prende alloggio in un albergo.
Quelle norme sono state più volte modificate, ma non nella sostanza.
Una pratica particolarmente fastidiosa da quando si è diffusa tra un numero
crescente di persone la cosiddetta "cultura della privacy", con la
consapevolezza che la disponibilità di una massa impressionante di dati che
riguardano ciascuno di noi, unita alle potenzialità dell'elaborazione
informatica, rende concreta la minaccia di "profilazione" di ogni
individuo, con gli obiettivi più diversi. Con l'aggravante, in questo caso, che
i trattamenti a fini di polizia sfuggono in buona parte ai rigori delle norme
sulla tutela dei dati personali, con la scusa, appunto, della sicurezza
pubblica.
Che le forze dell'ordine detengano una grande quantità di dati sui cittadini è
cosa nota a tutti: basti ricordare l'intervento del Garante, nel 2001, sugli
archivi dei Carabinieri (vedi Quando lo Stato vigila
troppo). Si aggiungano i controlli sulle comunicazioni telefoniche anche
senza la specifica autorizzazione di un giudice (Echelon e affini),
l'archivio centralizzato delle carte d'identità elettroniche e delle carte dei
servizi, (vedi Sulla Rete siamo tutti criminali? e Se il controllore controlla se stesso) e via elencando.
In tutto questo, come scrisse il Garante a proposito degli archivi dei
Carabinieri, non si rilevano "trattamenti sostanzialmente difformi"
dalle norme, semplicemente perché le norme sono vecchie, emanate in tempi in
cui del diritto alla riservatezza era sconosciuto. Ma ora la situazione è
cambiata.
Non cambia però l'atteggiamento poliziesco delle istituzioni, tanto che
l'ennesima bozza di provvedimento preparata dal Ministero dell'interno suscita
le ire dell'autorità di garanzia, che intima un secco "altolà" con
il parere del 1. giugno.
Parere che deve essere letto con attenzione, perché da una parte non fa
altro che applicare i principi che sono alla base della normativa sui dati
personali (finalità, necessità, pertinenza, sicurezza...), ma dall'altra
contiene qualche imprecisione tecnica. E una seria dimenticanza, quando cita
l'art. 45 dell'accordo di Schengen, che prevede solo la registrazione degli
stranieri: elemento che dovrebbe portare semplicemente all'esclusione del
trattamento per i cittadini italiani che si fermano in alberghi italiani.
Un colpo al cerchio e uno alla botte? Forse, ma quello che conta in questo
momento è l'affermazione del principio che la riservatezza di ogni individuo
non può essere violata sistematicamente, e senza opportune garanzie, per
semplici controlli di polizia. Controlli peraltro praticamente inutili sul
momento, perché è improbabile che un ricercato si presenti alla concierge
di un albergo con la sua carta d'identità. Inutili anche in tempi successivi, perché
la conservazione prolungata porta alla creazione di banche dati troppo grandi
per essere efficienti.
Più o meno lo stesso discorso vale per la sistematica registrazione delle generalità di qualsiasi conducente di un autoveicolo
fermato durante un'ordinaria attività di controllo del territorio. Quale norma
lo prevede? E, posto che ci sia, essa è "sostanzialmente conforme"
alle disposizioni sulla tutela dei dati personali?
Intanto aspettiamo che il decreto ministeriale esca con le modifiche chieste
dal Garante. Poi dovremo fare molta attenzione quando un albergatore ci
chiederà di compilare la scheda al nostro arrivo e dirà sbrigativamente, dopo
aver tracciato sul modulo una serie di crocette, "firmi qui, prego, per la
privacy", senza darci il tempo di leggere l'informativa.
Sarebbe bello se questo parere del Garante fosse il primo di una serie di
azioni contro tanti trattamenti (non solo a fini di polizia)
"sostanzialmente difformi" dalle norme sulla protezione dei dati
personali. Per esempio, ancora, quelli operati dall'industria
informatica a danno di tutti gli utenti. Ne abbiamo parlato molte volte (vedi Attenzione, il software ci spia, E Microsoft continua a spiarci indisturbata...).
Ne
parleremo ancora.
|