Tra diritto di cronaca e
protezione dei dati
di Andrea Monti - 10.02.2000
Libertà di stampa e trattamento dei dati
personali: un tema delicatissimo, che è stato e sarà ancora a lungo oggetto di
discussioni e polemiche. La legge 675/96 e
molti interventi del Garante hanno suscitato e suscitano non poche perplessità,
anche sul piano costituzionale, e confermano i dubbi che da più parti vengono
sollevati sull'effettivo campo di applicazione della normativa, anche con
riferimento alla direttiva europea dalla quale prende le mosse.
Fin dall'entrata in vigore della legge, con le
rapide modifiche proprio in tema di attività giornalistica, agli interpreti si
sono presentati quesiti di non banale rilevanza. Ora un decreto
del Tribunale di Milano pone una pesante ipoteca sulle interpretazioni
correnti e obbliga a una riflessione attenta, In primo luogo per quanto riguarda
l'ambito di operatività della legge, che salvo pochi "dissidenti",
è stato dalla maggior parte della dottrina esteso praticamente a qualsiasi
forma di trattamento e di dato. Con conseguenze a volte paradossali ma
tecnicamente non insostenibili, come per esempio ottenere preventivamente l'autorizzazione
del Garante e il consenso scritto dell'interessato per chiedergli "come
stai?".
Boutade a parte, è un dato di fatto che questa interpretazione molto
ampia dell'operatività della legge la abbia portata a svolgere il ruolo di
una sorta di "legislatore ombra", atteso che pareva non potesse essere
possibile muovere un passo senza che puntuale giungesse il comunicato stampa del
Garante, con le annesse prescrizioni o suggerimenti.
Sotto il profilo sistematico, poi, si erano
aperti dibattiti di non banale riliievo, come quello sull'individuazione del
bene giuridico protetto da questa normativa, che la dottrina maggioritaria
riteneva di riconoscere nello statuto generale della persona. O come quello
relativo ai limiti e alla natura dell'attività svolta dall'Autorità nella
sua attività decisoria. O come - ancora - quello della costituzionalità
del potere di intervento del Garante nell'attività giornalistica.
Le risposte a questi, ma anche ad altri, importanti interrogativi sono contenute
nel decreto emanato il 4 dicembre scorso dalla I sezione Civile del Tribunale di
Milano, un provvedimento che per ampiezza e rigore fornisce un vero e proprio
canone interpretativo per "capire" la legge 675/96.
Fra le tante possibili fattispecie concrete che
potevano giungere alla cognizione del magistrato, ironia della sorte ha voluto
che il collegio milanese si sia trovato ad affrontare un caso fra i più
delicati. Perché da un lato avevano la legge sui dati personali, dall'altro
nientemeno che l'art. 21 della Costituzione
La materia del contendere, infatti, riguardava l'attribuzione da parte del
quotidiano Il Corriere della Sera dello "status" di
"signora Olcese" ad un soggetto (Giuliana De Cesare) che - secondo
la "vera" signora Olcese (Maria Teresa Valoti) - non aveva titolo
per essere accreditata in questo modo.
Al fine di impedire l'ulteriore prosecuzione dell'indebito utilizzo del nome
"Olcese", la signora Valoti si rivolgeva al Garante per la protezione
dei dati personali ex articolo 29,
6° e 7° comma, della legge 675/96, perché inibisse al quotidiano
milanese l'ulteriore scorretto impiego del cognome di cui sopra.
Con insolita rapidità - tale addirittura da
spingere il Corriere a lamentare la lesione del diritto di difesa, non
avendo a disposizione che pochissimi giorni per contestare le avverse richieste
- l'Ufficio del Garante faceva proprie le doglianze della signora Valoti e
ordinava al giornale di cessare il "comportamento illegittimo",
rettificando la registrazione o, comunque, la trattazione dei dati personali
della ricorrente. di divulgare la rettifica con pubblicazione.
Avverso questa decisione viene presentato ricorso davanti al Tribunale di Milano
che ribalta il verdetto, statuendo la correttezza dell'operato dei giornalisti
sulla base di una minuziosa ricostruzione di diritto, ancora prima che di fatto.
In primo luogo va definito il thema decidendum
che viene identificato in un conflitto sulla legittimità del trattamento
di dati personali, prescindenti da qualsiasi finalità d'archiviazione, in
relazione alla liceità della loro utilizzazione nell'esercizio di attività di
cronaca giornalistica.
Sorvolo tuttavia sui pur importanti aspetti processuali, che il collega Daniele
Coliva tratta da par suo nell'altro articolo di
questo numero, per tentare di ricostruire il quadro disegnato nel merito dal
giudicante, schematizzabile come segue.
- L'attività decisoria del Garante ha carattere
giurisdizionale di legittimità (e non, come affermato dall'Avvocatura dello
Stato, di mero controllo amministrativo sulla regolarità dei trattamenti)
- L'ambito operativo della legge è quello della
disciplina sul trattamento dei dati
- La legge non si applica ai dati il cui
trattamento non è teleologicamente orientato all'archiviazione permanente
- Il contenuto dell'art. 21 Cost. impedisce a
chicchessia di decidere forma e modo di pubblicazione delle notizie nell'esercizio
dell'attività giornalistica
Ma - con particolare riferimento al secondo
punto - la pronuncia del Tribunale di Milano non è la prima ad averne affermato
la sussistenza. A dire il vero, infatti, che la 675-96 si applicasse solo ai
dati strutturati e destinati a finire in un archivio, lo aveva già ritenuto la
Procura della Repubblica di Roma, che aveva chiesto ed ottenuto dal Giudice per
le indagini preliminari l'archiviazione di alcuni procedimenti penali legati
proprio al settore dell'emittenza radiotelevisiva.
In tutta questa vicenda è interessante notare
come sia i magistrati romani, sia quelli milanesi non hanno
"inventato" un'interpretazione. Non hanno "forzato" la
norma per farle dire ciò che non poteva dire. Si sono limitati a leggere la
direttiva 95/46 e ad usarla come strumento per ricondurre all'interno degli
argini una tracimazione ermeneutica che aveva supinamente accreditato
impostazioni - dice il Decreto - inficiate da un vizio di prospettiva,
giacché confondono aspetti diversi e concettualmente infungibili.
Ancora una volta dunque si deve riconoscere l'immutato
valore dell'auspicio che accompagna l'emanazione di una nuova legge: .ci
sarà giurisprudenza! |