Altro che
semplificazione: la legge cambia volto
di Manlio Cammarata -
20.11.97
Parecchi milioni di
adempimenti impegnativi quanto superflui risparmiati ad
altrettanti soggetti privati che trattano dati sensibili
in applicazione di una serie di norme che regolano una
parte essenziale di quasi tutti i rapporti di lavoro.
Altrettanti milioni di richieste di autorizzazione che
non cadranno sulle scrivanie dell'ancora provvisorio
ufficio del Garante per la protezione dei dati personali.
Questi sono i primi effetti dell'autorizzazione
n. 1/97 al trattamento dei dati sensibili nei rapporti di
lavoro emanata
ieri. Un provvedimento annunciato e atteso, primo di una
serie che attenuerà alcuni effetti perversi della legge
675/96 e metterà l'organo di garanzia in grado di
adempiere alla sua reale funzione, invece che perdere
tempo a smistare apocalittici pacchi di
"pratiche" sostanzialmente inutili.
Vediamo, prima di tutto,
la sostanza del testo.
L'articolo 22 della legge
675/96 prescrive
che i dati personali idonei a rivelare l'origine
razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche
o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a
partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a
carattere religioso, filosofico, politico o sindacale,
nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di
salute e la vita sessuale, possono essere oggetto di
trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato
e previa autorizzazione del Garante.
A prima vista non c'è niente di strano, ma scorrendo con
attenzione l'elenco dei dati "sensibili" ci si
accorge che praticamente non c'è azienda, studio
professionale o altro tipo di organizzazione che non
abbia nell'elenco dei dipendenti o dei collaboratori,
fissi o occasionali, qualche dato tra quelli indicati
dall'articolo 22. Possono essere informazioni sulla
salute acquisite in conseguenza di un'assenza del
lavoratore per malattia, possono essere informazioni
derivanti dalla richiesta di un permesso per partecipare
ad attività politiche o religiose, o dalle trattenute
per l'iscrizione a un sindacato e via elencando: questo
significa che un'enorme quantità di soggetti avrebbe
dovuto avanzare al Garante una richiesta di
autorizzazione al trattamento, e che il Garante avrebbe
dovuto rispondere a tutti entro trenta giorni,
decorsi i quali la mancata pronuncia equivale a rigetto
(articolo 22. comma 2), con la conseguenza di bloccare
l'attività dei richiedenti.
Opportunamente quindi il
decreto legislativo 123/97 (emanato il giorno stesso
dell'entrata in vigore della legge) ha aggiunto un comma
all'articolo 41: Le disposizioni della presente legge
che prevedono un'autorizzazione del Garante si applicano,
limitatamente alla medesima autorizzazione e fatta
eccezione per la disposizione di cui all'articolo 28,
comma 4, lettera g), a decorrere dal 30 novembre 1997. Le
medesime disposizioni possono essere applicate dal
Garante anche mediante il rilascio di autorizzazioni
relative a determinate categorie di titolari o di
trattamenti.
Ed ecco che, all'approssimarsi del 30 novembre, il
Garante incomincia a rilasciare "autorizzazioni
relative a determinate categorie di trattamenti",
partendo proprio dalla categoria certamente più
numerosa, quella relativa ai rapporti di lavoro.
Il comunicato
stampa che
accompagna il provvedimento preannuncia altre
autorizzazioni generali al trattamento di dati sensibili,
rivolte ai liberi professionisti, alle associazioni, agli
studiosi e ai ricercatori e conclude che l'imminente
adozione di queste autorizzazioni rende parimenti
superflua la presentazione di apposite richieste.
Non è difficile
accorgersi che le autorizzazioni generali costituiscono
un sostanziale esonero dall'obbligo della richiesta
prescritta dall'articolo 22 e vanno nella stessa
direzione degli esoneri e delle semplificazioni previste
dal decreto legislativo 255/95 per le notificazioni. Per
i dati sensibili non si può prospettare un vero e
proprio esonero, perché le autorizzazioni generali
prevedono una serie di precise garanzie giustificate
dalla delicatezza della materia e quindi contengono
minuziosi elenchi dei requisiti dei trattamenti
autorizzati.
Tanto minuziosi da richiamare quella specie di
"accanimento normativo" che contraddistingue
non solo la legge 675/96, ma buona parte dell'attuale
legislazione italiana. Il testo dell'autorizzazione n.
1/97 contiene una lunga serie di semplici ripetizioni di
altre norme, puntigliose elencazioni di fattispecie,
dettagliati elenchi di trattamenti, tanto che sarebbe
certamente stato più semplice un provvedimento al
contrario: sono autorizzati tutti i trattamenti, tranne
quelli che...
Ma, allo stato dei fatti, sarebbe difficile chiedere di
più: la legge è quella che conosciamo, il Garante non
può cambiarla. Può solo cercare di renderla
applicabile, mantenendo l'impegno preso all'inizio del
suo mandato: "prima di tutto semplificare",
come aveva affermato il presidente Rodotà nell'intervista rilasciata il 4 giugno a InterLex.
Ma il risultato di queste
azioni è un parziale (e opportuno) capovolgimento dello
spirito della legge, fondata su una quantità
insostenibile di adempimenti a carico dei titolari. Ora
gli adempimenti esclusivamente formali vengono ridotti al
minimo o addirittura eliminati. Resta quindi la sostanza
della protezione dei dati personali.
Eppure non è ancora, e non può essere, "la legge
sulla riservatezza", che costituirebbe il vero strumento per la tutela degli individui nella società
dell'informazione.
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