di Massimo Coliva* - 14.12.2000
L'11 dicembre scorso è scaduto il termine per la redazione del documento
previsto dall'art. 1 della legge 325/2000,
necessario per poter beneficiare della proroga dell'altro termine,
abbondantemente scaduto, fissato dall'art. 15
della legge 675/96.
Coloro che hanno provveduto in tal senso, avranno tempo sino al 31 dicembre
prossimo per adottare le misure minime di sicurezza stabilite dal DPR
318/99.
In realtà, anche in questa occasione, il legislatore non ha brillato neppure
nel concedere (bontà sua.) la proroga per l'applicazione delle misure di
sicurezza. Nella pratica, gli operatori hanno affrontato una serie di
difficoltà interpretative di non poco conto e si è anche capito che non è
stata percepita l'effettiva portata dell'intera normativa.
Già si è detto che suscita particolari perplessità, sul piano strettamente
logico, la proroga di un termine già scaduto: prorogare significa prolungare,
ossia, nella specie, posticipare una scadenza già fissata. Orbene, come si
possa posticipare una scadenza già maturata, rimane un mistero di tecnica
legislativa (vedi Misure minime, il Tempo del legislatore).
Va anche precisato che non è la prima volta che il legislatore adotta siffatti
provvedimenti: basti pensare a quelli in materia di condoni fiscali, che
prevedevano rimessioni in termini di natura straordinaria.
Superato questo primo ostacolo, di natura (non troppo) formale, l'operatore si
è imbattuto nel concetto di documento, abbozzato nell'art. 1 della L.
325/2000. In realtà, la norma non contiene uno specifico riferimento alla
nozione di documento, forse al fine di non creare sovrapposizioni con il famoso
documento programmatico previsto dall'art. 6 del d.p.r. 318/99.
Il vero problema è che difetta qualsiasi specificazione, indicazione, linea
guida, circa il contenuto (minimo) di questo documento.
In sostanza, il testo normativo non precisa che cosa si debba necessariamente
dichiarare, per potere beneficiare della proroga. Non esiste indicazione quindi
di un presupposto sostanziale minimo, necessario e sufficiente.
Se ciò poteva non costituire un problema per il privato, ovvero per la piccola
azienda, che non tratta in maniera complessa e articolata notevoli quantità di
dati sensibili, l'assoluta genericità della norma senza dubbio rappresenta un
ostacolo rilevante per la pubblica amministrazione, l'ente ospedaliero, la
grande industria, vale a dire per i soggetti caratterizzati da un'organizzazione
complessa di flussi di dati (che rappresentano il paramentro valutativo della L.
675/96).
L'impressione che si ricava è quella di un legislatore incerto, che da un
lato impone termini iugulatori - quale sia il senso di una proroga di venti
giorni non è dato sapere,- dall'altro appare superficiale e sbrigativo
proprio nella sostanza.
Non che il Garante sia stato di particolare aiuto: l'intervento del 5
dicembre - nell'imminenza della scadenza - si è concentrato su di un
aspetto importante, ma non del tutto primario, e dalle risposte, come si è
visto, lineari, vale a dire la data certa, nonché l'effettiva scadenza del
termine (il 10/12 era giorno festivo).
Le precisazioni sul punto non erano superflue, ma sarebbero bastati i principi
generali del diritto processuale.
Tutto qui.
Ci sembra poco, vista la innegabile delicatezza della materia.
Tanto più che la redazione del documento è in concreto una vera e propria
autodenuncia. L'interessato per ottenere il beneficio, deve confessare di non
avere adottato nel termine di legge le misure minime di sicurezza. Le
conseguenze di una siffatta dichiarazione non sono irrilevanti.
Ed ora chi, e soprattutto sulla base di quali principi e criteri, potrà
sindacare la validità del documento (confessorio) e l'effettiva sussistenza
delle esigenze tecniche e organizzative necessarie per ottenere la proroga?
Il documento non contiene una richiesta: il beneficio della proroga è un
effetto che la legge fa conseguire alla redazione in data certa dello stesso.
Non esiste alcun destinatario.
Sotto questo aspetto, l'orizzonte è assai oscuro: ciò che invece appare
chiaro è che oggi è stata precostituita una prova provata di un illecito
penale, scriminato (a discrezione?) dalla valutazione, i cui criteri non sono
stati preventivamente stabiliti, dell'effettiva sussistenza delle esigenze
tecniche e organizzative citate dall'art. 1 della legge 325/2000.
Ed allora potrà accadere che sia contestato al soggetto interessato di non
potere beneficiare della proroga, in quanto il documento redatto non era idoneo
a produrre questo effetto legale?
Il rischio esiste, ma ritengo che una siffatta interpretazione condurrebbe a
conseguenze assurde.
Nel silenzio del legislatore, che forse non ha valutato appieno le
conseguenze dell'art. 1 della legge 325/2000, è preferibile adottare una
diversa e opposta interpretazione.
Senza dubbio però, l'opera di coloro che avranno il compito di controllare il
rispetto della normativa sarà più semplice, poiché la prova dell'illecito,
ove ritenuto sussistente, è stata fornita dal responsabile: una fonte sicura!
Visto che si è fatto ricorso all'illecito penale, nella consapevole
intenzione di rafforzare la tutela del bene giuridico della riservatezza dei
dati personali, occorreva tenere conto di taluni principi regolatori del diritto
penale, ossia quello di legalità e tassatività (art. 1 del codice penale), che
in questa situazione appaiono del tutto ignorati.
Queste considerazioni possono essere ripetute tali e quali per l'intera
disciplina delle misure di sicurezza.
Il DPR 318/99 introduce un elenco di misure minime - rilevanti per la
configurabilità dell'illecito penale - che sono, sotto il profilo tecnico,
lettera morta (si veda Misure veramente
"minime").
Nella costruzione dell'illecito penale si è fatto ricorso alla tecnica
sanzionatoria. La norma incriminatrice nasce conferendo rilevanza penale alla
mera violazione di altra norma dell'ordinamento. Si tratta di una pessima
abitudine del legislatore, che oggi non costruisce più norme incriminatrici
autonome, contenenti tutti gli elementi necessari per configurare un illecito
penale, ma si limita, assai spesso, a sanzionare penalmente la violazione di un'altra
norma dell'ordinamento, nata e concepita per tutt'altre finalità.
In materia di misure minime di sicurezza è stato raggiunto l'apice, poiché
la norma integratrice non è contenuta in un atto avente forza di legge, ma in
un regolamento, che per propria natura è privo di forza di legge.
Non è tutto.
Il regolamento è destinato ad essere aggiornato ogni due anni (art. 15 comma
3° della 675/96).
Quindi si avrà una norma incriminatrice che muterà contenuto ogni due anni,
mediante l'emanazione di un semplice regolamento, privo di forza di legge.
E ancora. Il riferimento a strumenti di natura tecnica, soggetti ad un continuo
mutamento per l'evoluzione tecnologica, non consente di stabilire limiti
precisi e tassativi (art. 1 del codice penale) alla fattispecie incriminatrice,
e soggiace ad una inammissibile discrezionalità dell'interprete, dell'operatore,
del tecnico.
Il giudizio sulla sussistenza di un illecito penale è rimesso ad una
valutazione, per natura discrezionale, e soggetta a mutare nel tempo.
Con il che, possiamo augurarci di rivedere al più presto non solo il
principio di legalità, ma anche quello di tassatività del precetto penale,
ormai lontani all'orizzonte.
Oggi nessuno è in grado di stabilire a priori - la norma penale deve
sussistere prima che la condotta che la stessa sanziona venga realizzata - con
certezza e quel minimo grado di tassatività, quali siano le condotte sanzionate
penalmente dall'art. 36 della legge
sulla tutela dei dati personali.
In questo quadro di totale incertezza, e di superficialità legislativa, è
costretto a muoversi colui che procede al trattamento di dati personali, il
quale, peraltro, non è neppure indotto ad avvertire il disvalore della mancata
adozione delle misure minime di sicurezza, e non comprende perché sia stato
necessario ricorrere al diritto penale, al quale si potranno attribuire tutte le
funzioni politiche e sociali possibili, ma non certo una funzione promozionale
della tutela di determinati beni giuridici.
Ora, per coloro che hanno confessato di non avere adottato tempestivamente le
misure minime, sta sopraggiungendo il termine del 31 dicembre. Chi avrà redatto
il documento per la proroga in modo non sbrigativo, mediante una ricognizione
delle banche dati possedute, delle misure adottate e di quelle da adottare,
sarà sicuramente sarà avvantaggiato.
Di certo, in questo modo non si sta diffondendo affatto la cultura della
riservatezza: l'applicazione della normativa in questione, e i relativi
adempimenti non sono percepiti nella sostanza come un plusvalore di civiltà,
quanto piuttosto come l'ennesimo adempimento imposto da un legislatore
burocrate, ignaro della realtà.
E ciò sicuramente va a scapito del bene che si intende proteggere.