Mancano pochi giorni alla scadenza, che forse questa volta è
proprio vera, per l'adozione delle misure minime e del famigerato DPS, e l'universo
che ruota intorno alla privacy ed ai suoi adempimenti si agita sempre di più.
Succedono infatti cose strane e inquietanti: e mentre gli avvocati scalpitano al
fine di ottenere l'esenzione dal DPS per l'intera categoria (ed in questo mi
ricordano tanto i tassisti, che in quanto guidatori abituali pretesero di essere
esentati dall'obbligo delle cinture di sicurezza.), il Garante, bontà sua,
interviene tempestivamente a dirimere questioni di profonda importanza per il
Paese, facendoci ad esempio sapere mediante un apposito comunicato stampa che l'importo
del compenso concesso a John Travolta per la sua apparizione a Sanremo non è
tutelato dalla legge sui dati personali, e quindi se la RAI non vuole rivelarlo
è un problema suo.
Rincuorati da questa puntuale e soprattutto indispensabile
precisazione, ci domandiamo tuttavia se la commovente attenzione con cui il
Garante seguiva le vicende legate al festival nazional-popolare non lo abbia
almeno in parte distratto dalla visione di altre trasmissioni televisive andate
in onda praticamente nelle stesse ore, quali ad esempio i telegiornali. Perché,
curiosamente, il Garante sembra essere l'unico soggetto in Italia a non
essersi accorto della grande fanfara con cui tutti gli organi di informazione,
nessuno escluso ed eccettuato, hanno celebrato l'arresto del tristemente noto
piromane che da mesi, con le sue insane gesta, terrorizzava la capitale
disseminandola di carcasse di automobili fumanti.
Certo l'evento in sé potrebbe anche essere considerato
meno rilevante rispetto agli straordinari interessi mediatici che polarizzano la
kermesse canora sanremese, però rimaniamo ugualmente perplessi dinanzi
alla più totale assenza di commenti almeno su di un dettaglio non proprio
secondario della vicenda, quello che giornali e telegiornali non hanno mancato
di illustrare con dovizia anche esagerata di particolari: ossia che il piromane
è stato catturato grazie al filmato della telecamera di sorveglianza di un
esercizio commerciale che lo ha fortuitamente ripreso in piena azione,
consentendo così alle forze dell'ordine di identificarlo e quindi di
arrestarlo.
Ci dice infatti la Adnkronos, in un "lancio" del 28
febbraio:
Tradito dal filmato di una telecamera puntata sulla strada. Così i
carabinieri hanno identificato e arrestato la scorsa notte un piromane romano di
39 anni, sospettato di essere il responsabile di molti degli incendi dolosi
appiccati nella capitale a Roma, di auto e moto dall'estate scorsa." E in
pari data l'AGI le fa eco con questo comunicato: Per incendiare
un'autovettura bastava solo un'azione che durava in tutto dieci secondi. È
quanto si è potuto accertare grazie alle riprese di una telecamera di un
esercizio commerciale nella zona di Casal Bruciato. Il filmato è stato girato i
primi giorni di febbraio e mostra il piromane arrestato la scorsa notte a Roma,
A.S. di 39 anni, mentre si avvicina ad una autovettura Smart e con un accendino
dà fuoco al copriruota di plastica anteriore poi si allontana e il suo volto
viene ripreso in primo piano.
Per la cronaca le immagini in questione sono ancora visibili
a tutti: basta andare ad esempio sul sito di Repubblica,
mentre il filmato è interamente visualizzabile sul sito di RomaOne.
Ora, ciò che nessuno ha fatto esplicitamente notare ma che tutti gli addetti ai
lavori sanno, è che la telecamera in questione è molto probabilmente
installata in modo illecito ed i suoi filmati pertanto illegittimi.
L'impianto sembrerebbe infatti contravvenire a quanto disposto dal nefando provvedimento
generale sulla videosorveglianza del 2004 con cui il Garante regolamentò l'utilizzo
di telecamere e simili, e del quale più volte ci siamo occupati in passato su
queste colonne (si vedano ad esempio: Videosorveglianza,
la criminalità ringrazia e Videosorveglianza
all'obitorio: è "sproporzionata").
Riprendiamo infatti il provvedimento e leggiamolo con
attenzione. Ad esempio al punto 2.3 "Principio di proporzionalità" esso ci
dice che: Gli impianti di videosorveglianza possono essere attivati solo
quando altre misure siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili.
Se la loro installazione è finalizzata alla protezione di beni, anche in
relazione ad atti di vandalismo, devono risultare parimenti inefficaci altri
idonei accorgimenti quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme,
misure di protezione degli ingressi, abilitazioni agli ingressi. Sempre al
medesimo punto il testo chiarisce che: la proporzionalità va valutata in
ogni fase o modalità del trattamento, per esempio quando si deve stabilire: se
sia sufficiente, ai fini della sicurezza, rilevare immagini che non rendono
identificabili i singoli cittadini, anche tramite ingrandimenti; se sia
realmente essenziale ai fini prefissi raccogliere immagini dettagliate; la
dislocazione, l'angolo visuale, l'uso di zoom automatici e le tipologie -
fisse o mobili - delle apparecchiature; e fa altresì presente che: In
applicazione del predetto principio va altresì delimitata rigorosamente: anche
presso luoghi pubblici o aperti al pubblico, quando sia di legittimo ed
effettivo interesse per particolari finalità, la ripresa di luoghi privati o di
accessi a edifici.
Né vanno meglio le cose al successivo punto 2.4 "Principio
di finalità", che così recita: Gli scopi perseguiti devono essere
determinati, espliciti e legittimi (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice).
Ciò comporta che il titolare possa perseguire solo finalità di sua pertinenza.
Si è invece constatato che taluni soggetti pubblici e privati si propongono
abusivamente, quale scopo della videosorveglianza, finalità di sicurezza
pubblica, prevenzione o accertamento dei reati che invece competono solo ad
organi giudiziari o di polizia giudiziaria oppure a forze armate o di polizia.
(omissis) In ogni caso, possono essere perseguite solo finalità determinate e
rese trasparenti, ossia direttamente conoscibili attraverso adeguate
comunicazioni e/o cartelli di avvertimento al pubblico (fatta salva l'eventuale
attività di acquisizione di dati disposta da organi giudiziari o di polizia
giudiziaria), e non finalità generiche o indeterminate, tanto più quando esse
siano incompatibili con gli scopi che vanno esplicitamente dichiarati e
legittimamente perseguiti (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice). Le finalità
così individuate devono essere correttamente riportate nell'informativa.
Tralasciando per brevità di sottolineare come risulti
necessario per il titolare dell'impianto esporre al pubblico un'adeguata
segnalazione della videosorveglianza in corso, e documentare altresì in
apposito atto autonomo le scelte organizzative e tecniche rapportandole alle
necessità di tutela che la videosorveglianza è chiamata a coprire, richiamo
solo come il provvedimento ricordi infine che: Nell'uso delle
apparecchiature volte a riprendere, per i legittimi interessi indicati, aree
esterne ad edifici e immobili (perimetrali, adibite a parcheggi o a
carico/scarico merci, accessi, uscite di emergenza), il trattamento deve essere
effettuato con modalità tali da limitare l'angolo visuale all'area
effettivamente da proteggere, evitando la ripresa di luoghi circostanti e di
particolari non rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali, istituzioni
ecc.).
Ora, sembra abbastanza evidente come nel caso in questione le
riprese fossero state effettuate essenzialmente in barba a tutte le meticolose
prescrizioni del Garante: appaiono infatti poco sussistenti sia il principio di
proporzionalità che, soprattutto, quello di finalità, perché non è
certamente compito del negoziante preoccuparsi di eventuali atti di vandalismo
in strada. La telecamera inoltre non era posizionata in modo da inquadrare solo
le pertinenze del negozio, e per di più consentiva la facile identificazione
dei volti anche dei semplici passanti.
Il punto 7 del provvedimento, "Prescrizioni e sanzioni",
ci dice a tale proposito che: Le misure necessarie prescritte con il presente
provvedimento devono essere osservate da tutti i titolari di trattamento. In
caso contrario il trattamento dei dati è, a seconda dei casi, illecito oppure
non corretto, ed espone: all'inutilizzabilità dei dati personali trattati in
violazione della relativa disciplina (art. 11, comma 2, del Codice); all'adozione
di provvedimenti di blocco o di divieto del trattamento disposti dal Garante
(art. 143, comma 1, lett. c), del Codice), e di analoghe decisioni adottate dall'autorità
giudiziaria civile e penale; all'applicazione delle pertinenti sanzioni
amministrative o penali (artt. 161 s. del Codice).
In definitiva il titolare dell'esercizio commerciale
potrebbe teoricamente passare un guaio per la sua telecamera, e comunque i
filmati registrati dalla stessa sarebbero inutilizzabili in quanto
ottenuti in modo illecito o non corretto. Peccato che sia stato proprio grazie
ad essi che le forze dell'ordine hanno potuto mettere fine alla carriera del
vandalo incendiario, rendendo così un prezioso servizio all'intera comunità.
E ciò spiega probabilmente l'imbarazzato silenzio del Garante, il quale ha
evidentemente preferito far finta di nulla per evitare di dover prendere una
posizione che sarebbe stata necessariamente impopolare. È facile infatti
tuonare contro le telecamere quando non succede nulla e si possono sbandierare i
diritti dei poveri passanti ignari; un po' più difficile farlo sull'eco
emotiva di un arresto che ha lasciato tutti soddisfatti.
Ma, ci domandiamo: che sarebbe successo se non vi fosse stata
quella telecamera? Il piromane sarebbe ancora a piede libero. oppure, più
probabilmente, sarebbe stato prima o poi tradito da un'altra telecamera, anch'essa
illegittima ma altrettanto utile!
Ecco dunque il vero nocciolo della questione, il paradosso che tutti conoscono
ma nessuno vuole affrontare. La videosorveglianza a volte è utile, così
come a volte è dannosa. Dipende dall'uso che se ne fa, così come
accade per tutte le tecnologie. Di per sé la tecnologia è neutra, ossia non è
intrinsecamente né buona né cattiva: usata bene può essere utile, usata male
può essere dannosa, ma ciò dipende solo dal modo in cui la si usa e non dalla
natura della tecnologia stessa. E la videosorveglianza non fa eccezione. Sono
dunque i comportamenti ad essere illeciti o sanzionabili, e non le
tecnologie: ciò che va regolamentato è pertanto il modo di usare le
tecnologie, non il loro semplice utilizzo!
Purtroppo, come abbiamo avuto occasione di notare altre volte
in passato, il nostro legislatore è evidentemente affetto da tecnofobia, e il
Garante per la privacy non sembra essergli da meno. Ciò ha portato all'emanazione
sempre più generalizzata di normative assurde ed inattuabili, che proibiscono tout
court di utilizzare determinate tecnologie perché forse in
conseguenza del loro uso potrebbero essere commessi degli illeciti (si veda ad
esempio: L'indice dei Siti Proibiti).
Sarebbe molto più logico e lineare sanzionare i comportamenti, ma
sicuramente questo approccio è meno facile da attuare e soprattutto avrebbe un
impatto non altrettanto demagogico: è infatti molto più semplice ed efficace
dare la colpa alle tecnologie, demonizzandole di fronte al grande pubblico
incolto (o almeno così lo ritiene il legislatore.), affinché sia sempre
possibile trovare un capro espiatorio da additare in caso di necessità. La
tecnologia è dunque diventata ormai un'ottima vittima predestinata, il mostro
da accusare quando si vogliono sviare i sospetti dai veri responsabili dei
misfatti, così come viene dimostrato dalle quotidiane crociate con cui si
cercano di colpire i sistemi di P2P lasciando tuttavia ben tranquille le organizzazioni
che lucrano sull'elusione dei diritti d'autore.
Vietare le telecamere, o renderne praticamente inutile l'utilizzo
restringendone eccessivamente il campo di applicabilità, non è la soluzione
per non avere problemi di privacy; tanto più che nessuno smetterà di
installarle ed usarle illecitamente, e ci sarà ancora necessità di
arrampicarsi sugli specchi quando, come sempre più spesso accade, un impianto
illecito sarà nuovamente utile per acciuffare un altro delinquente. Come ebbe
modo di scrivere proprio su queste pagine Claudio Manganelli, attuale componente
dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione e già
componente del Garante per la protezione dei dati personali: quando un
sistema di videosorveglianza è rivolto ad assicurare sicurezza alla società
umana, gli unici fattori a mio avviso indispensabili debbono essere la durata
della conservazione dei dati raccolti e la certezza che tali dati siano resi
accessibili ai soli servizi abilitati a garantire la sicurezza, siano essi le
forze dell'ordine o i servizi di sicurezza privata legalmente riconosciuti. La
videosorveglianza non può più essere considerata un tabù quando è rivolta a
garantire sicurezza e rispetto delle persone e delle cose. (si veda: Telesorveglianza:
benvenuta se ben usata).
Le prospettive però non sembrano incoraggianti, anzi tutt'altro.
Dopo aver praticamente reso illegittima ogni forma utile e sensata di
videosorveglianza, il Garante con alcuni suoi recenti pareri sta facendo terra
bruciata anche attorno ai sistemi di riconoscimento biometrico, i quali sono un
altro efficace spauracchio che ben si presta a manovre d'effetto di stampo
populistico. Ma di questo, magari, parleremo in un prossimo articolo.
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