Trattamento dati sensibili da
parte della pubblica amministrazione
Prima analisi del decreto legislativo 135/99
di Stefania
Giammaria e Luca-M.
de Grazia - 16.09.99
Il decreto
legislativo n.135/99 si inserisce nel
quadro generale di applicazione della legge
675/96 "Tutela delle persone e di
altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali", integrandone il
contenuto per quanto concerne il trattamento dei dati sensibili da parte di
soggetti pubblici.
Al Capo 5 della 675/96 "Trattamenti soggetti a regime speciale", l'articolo
27 dispone che il trattamento di dati
personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici
(che rientrano nella generale disciplina della 675), è consentito solo:
- per lo svolgimento delle funzioni istituzionali;
- nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti.
I limiti predisposti sono, dunque, ben precisi ed ulteriori articoli della legge
(artt.11,12,14) ribadiscono che il soggetto pubblico deve essere espressamente
autorizzato al trattamento.
Gli stessi obblighi sono rintracciabili anche
nello schema strutturale del decreto legislativo in oggetto che:
- al Capo 1, fissa i principi generali in materia di trattamento di dati
sensibili o attinenti a provvedimenti giudiziari, indicati negli articoli 22,
comma 1, e 24 della Legge, effettuato da soggetti pubblici;
- al Capo 2, individua "alcune" (quindi l'elenco non è tassativo)
" rilevanti finalità di interesse pubblico, per il cui perseguimento è
consentito il trattamento";
Il soggetto pubblico è, quindi, autorizzato:
- ex articolo 3, ad effettuare il trattamento dei soli "dati essenziali"
che devono essere pertinenti, non eccedenti e necessari in relazione alle
attività istituzionali svolte e rispetto alle finalità di interesse pubblico
che lo stesso persegue; il soggetto pubblico è, inoltre, tenuto a controllare,
verificare ed aggiornare tali dati.
Nella interpretazione del concetto di " dati essenziali", il
legislatore ha indicato delle aggettivazioni qualificanti al di fuori delle
quali il trattamento non è consentito. A tal fine i soggetti pubblici sono
tenuti a valutare specificamente il rapporto tra dati e adempimenti; in
ultima analisi, quindi, la definizione concreta del concetto è lasciata al
titolare del trattamento.
- ex articolo 4 a svolgere solo le "operazioni di trattamento strettamente
necessarie al perseguimento delle finalità per cui il trattamento è
consentito".
Il soggetto pubblico che non rispetti gli obblighi di legge suindicati è da
considerarsi non autorizzato al trattamento e, quindi, violerebbe l'espresso
disposto dell'articolo 27 della 675/96; in tal caso è compito del Garante in
quanto autorità di vigilanza controllare che i trattamenti siano effettuati nel
rispetto della legge.
Purtroppo, da tale logica ed ineluttabile
interpretazione della norma di legge, discende come conseguenza che, per quanto
concerne la tutela giurisdizionale, sono da ritenersi applicabili le
disposizioni della 675, per cui l'interessato per la tutela dei propri diritti
potrà far ricorso, alternativamente, al Garante o all'autorità giudiziaria
competente in relazione al settore cui la controversia si riferisce, in
particolare per i casi di giurisdizione esclusiva del TAR.
Sicuramente su questo aspetto occorrerà attendere le prime decisioni delle
corti di merito e della Cassazione, posto che si pone con maggior forza il
problema delle legittimità del Garante come "giudice speciale".
Infatti occorre ricordare che allo stesso Garante risultano affidati compiti
giurisdizionali ex articolo 29 legge 675/96; il ricorso al Garante è
espressamente considerato come alternativo al ricorso all'Autorità Giudiziaria
(ordinaria). Soltanto alla seconda è possibile richiedere il risarcimento del
danno.
Tale disciplina, inserita in quella dettata dalla legge n.1034/1971 e del d.l.
n.80/1998 (la prima istitutiva dei TAR e la seconda che ha operato una
attribuzione di competenze ai TAR nella materia dei c.d. "pubblici
servizi"), porta l'interprete a porsi quesiti di non facile soluzione.
In breve, e con riserva di approfondire
l'argomento in seguito, delle due l'una:
- Dal tenore letterale della 675/96 si dovrebbe pensare che esista la
giurisdizione esclusiva del Garante per i casi di violazione della 675 (almeno
per quanto concerne i casi in cui non si voglia richiedere il
risarcimento del danno); ma se ciò fosse vero, con particolare riferimento ai
soggetti pubblici, rimarrebbe aperto il problema della sospensione degli atti
amministrativi e quello, sicuramente più grave, della incostituzionalità del
Garante stesso, in quanto giudice speciale istituito con legge ordinaria.
- Se invece si accede all'interpretazione probabilmente più corretta da un
punto di vista sistematico, e quindi si opta per la giurisdizione esclusiva del
Tar per questioni di legittimità, e di giurisdizione esclusiva del Tar con
cognizione piena nei casi previsti dagli articolo 34, 35 e 36 d.l. n.80/1998, si
va contro il disposto letterale della 675 nonché contro la struttura stessa
della Legge istitutiva dell'Autorità; occorre infatti ricordare che il Garante
dei Dati Personali, come altre Autorità consimili, è stato istituito al fine
di concentrare in un unico soggetto le competenze che riguardino determinati
settori della vita del Paese.
Non vi è dubbio che occorrerebbe un bel
regolamento preventivo di giurisdizione innanzi alla Cassazione per dirimere la
questione (anche se sorgono seri dubbi sulla possibilità di sollevare tale
eccezione nei procedimenti di fronte al Garante; si vedano, in particolare, gli
artt. 5,18, 19 e 20 del Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1998,
n. 501. (Regolamento recante norme per l'organizzazione ed il funzionamento
dell'Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, a norma
dell'articolo 33, comma 3, della legge 31 dicembre 1996, n. 675)
In ogni caso mal si concilia il disposto del
terzo comma dell'articolo 27 L.675/96 - sotto riportato - con il generale
funzionamento dei soggetti pubblici.
"In tale ultimo caso deve esserne data previa comunicazione nei modi di
cui all'articolo 7, commi 2 e 3 al garante che vieta, con procedimento motivato,
la comunicazione o la diffusione se risultano violate le disposizioni della
presente legge".
In ogni caso si applicherebbe il disposto del secondo comma dell'articolo 34
L.675/96, in relazione alla possibile violazione dell'articolo 22; naturalmente
non è semplice immaginare una ipotesi pratica di un soggetto pubblico che
".. al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri
un danno, comunica o diffonde dati personali in violazione
di quanto disposto dagli articoli 21, 22,
23 e 24, .è punito con la reclusione da tre mesi a due anni."
Il soggetto pubblico risponde ex articolo 2050
per eventuali danni derivanti dal trattamento illecito dei dati sensibili? Con
ogni probabilità sì, non essendo di fatto innovato nulla in relazione alla
specifica applicazione dell'articolo 2050 c.c. alla PA; sia la dottrina sia la
giurisprudenza più recente sono ormai concordi nel ritenere applicabile tale
disciplina anche alla PA.
L'articolo 5, che modifica ed integra il
contenuto dell' articolo 22 della 675/96, dispone espressamente, al comma 2,
che nella legge di autorizzazione al trattamento debbano essere
specificati:
- i tipi di dati che possono essere trattati;
- le operazioni eseguibili;
- le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite dal
soggetto pubblico.
Quindi si pone come una sorta di "legge quadro" dell'ambito del
trattamento dei dati da parte dei soggetti pubblici, ponendo dei limiti che
"dovrebbero" essere rispettati dalle leggi eseguenti; peccato però
che tale impostazione vada a cozzare contro lo schema costituzionale delle fonti
del diritto che, pur ammettendo sicuramente una gerarchia delle fonti,
sicuramente non ammettono una gerarchia tra fonti dello stesso
"livello", come, per esempio, due leggi ordinarie.
Anche qui nascono non facili problemi di coordinamento ed integrazione della 675
(e delle leggi ad essa collegate) con il complesso delle norme esistenti.
La legge in esame prevede anche una sorta di
"scappatoia" per i trattamenti di dati non inseriti nella legge, che
pertanto, alla luce delle sopra esposte considerazioni, si devono considerare a
tutti gli effetti illeciti in quanto "non autorizzati".
In mancanza di espressa disposizione di legge e nelle more della stessa, quando
si è al di fuori dei casi previsti dai decreti legislativi emanati in
attuazione della legge
676/96, è prevista la possibilità di richiedere
al Garante l'individuazione delle attività tra quelle demandate
istituzionalmente al soggetto pubblico che perseguono rilevanti finalità di
interesse pubblico per le quali quindi è conseguentemente autorizzato ai
sensi dell'articolo 22, comma 2 della 675/96 il trattamento dei dati
sensibili.
In questo caso dunque il Garante è espressamente richiamato a colmare eventuali
lacune legislative nella disciplina del settore (sic!); anche se al Garante,
come del resto alle altre c.d. "autorità indipendenti" è stato
attribuito un potere regolamentare, tale potere deve essere esplicato sempre e
comunque all'interno delle linee guida poste da leggi di "livello
superiore" e, conseguentemente, ben difficilmente un regolamento potrà
sostituirsi al norme primarie.
In questo caso può essere illuminante, quanto
scritto da Francesca Romana Fuxa Sadurny in http://www.diritto.it/amministrativo/articoli/autorit.htm:
".I regolamenti che essi possono
adottare sono atti di settore che rinvengono la loro legittimità di fonti del
diritto proprio nella legge istitutiva della Autorities.
Si pone allora il quesito della loro posizione giuridica nell'ambito della
gerarchia delle fonti: questi regolamenti sembrano richiamare quelli che emanano
gli enti dotati di autonomia e di personalità giuridica statali e territoriali
in materie non disciplinate dalla legge proprio in considerazione della
settorialità e specificità degli interessi che vengono a curare si pensi per
esempio ai regolamenti che disciplinano i mercati e le fiere comunali oppure ai
regolamenti che disciplinano il settore della polizia cimiteriale ecc.
Si tratterebbe, insomma, di regolamenti indipendenti.
Il vero problema che si pone, a prescindere dalla loro qualificazione
giuridica, è quello di verificare il rapporto di questi regolamenti con quelli
governativi alla luce della legge 400/1988 che, come sappiamo, fissa una
gerarchia dei regolamenti.
A rigore stando alla legge citata i regolamenti delle Autorities dovrebbero
essere subordinati ai regolamenti ministeriali in quanto non ricompresi tra i
regolamenti governativi: non potrebbero, cioè, derogare ai primi.
Questa affermazione non sembra, però, cogliere nel segno perché le
autorità amministrative indipendenti, in quanto sottratte all'organizzazione
della compagine pubblica, non possono avere la stessa veste né la stessa
funzione degli enti e dei Ministeri pubblici.
Gli enti pubblici diversi dallo Stato, inteso come soggetto e non come apparato,
rientrano nell'organizzazione statale in quanto svolgono una funzione
strumentale e ausiliaria dello stesso: tali funzioni e tali caratteristiche,
invece, esulano per le autorità indipendenti.
Sulla base di questa considerazione, allora, sembra più opportuno dire che i
regolamenti delle Autorities sono sottratti alla legge 400/88 e non sono
subordinati ai regolamenti ministeriali.
La puntualizzazione è importante perché non viene, qui, in considerazione
un rapporto di gerarchia quanto un principio di ripartizione di competenze: avendo
le Autorities una competenza esclusiva a disciplinare certi settori dell'economia
i regolamenti da loro adottati costituiscono fonti del diritto, in quanto
innovano e presentano il carattere di generalità ed astrattezza, e
non sono subordinati ad altre fonti secondarie; anzi secondo
alcuni avrebbero, addirittura, natura di fonti subprimarie come i regolamenti
indipendenti degli enti territoriali locali. .."
E' appena il caso di notare come tutto il
ragionamento sopra esposto possa anche essere condivisibile se applicato ai
"regolamenti" emanati dalle Autorità Indipendenti (e, quindi, anche
da parte del Garante) ma non possa essere certamente applicato alle semplici
"decisioni" o "provvedimenti" presi direttamente dal Garante
nell'esercizio della propria attività istituzionale.
Infine, il comma 3 dell'articolo 5 richiama la possibilità di individuare
direttamente i dati oggetto di trattamento da parte del soggetto pubblico quando
manchi espressa disposizione di legge per cui il titolare del trattamento
dovrà identificare e rendere pubblici i tipi di dati e le operazioni eseguite,
aggiornandole ovviamente periodicamente.
Volendo trarre delle prime conclusioni, e con
riserva di approfondire la questione in seguito, si può tranquillamente
affermare che, pur essendo stata emanata con notevole ritardo rispetto ai tempi
previsti, la legge in esame non fa che aggiungere dubbi interpretativi alla
generale impalcatura della 675/96, laddove, al contrario, sarebbe stata
auspicabile una azione chiarificatrice da parte del legislatore nella materia in
esame.
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