Tecnologia e protezione
dei dati: qualcosa non funziona
di Manlio Cammarata -
01.09.99Ritorna in
primo piano la protezione dei dati personali. Il 31
luglio scorso scadeva l'ennesima proroga per l'emanazione
dei decreti integrativi e correttivi della legge 675/96,
previsti dalla 676/96, ed era legittimo - anche se un po'
troppo ottimistico, visti i precedenti - aspettarsi il
completamento della normativa.
Così, a oltre due anni dall'entrata in vigore della
legge, mancano ancora molti provvedimenti (quindi ci
sarà un'ulteriore proroga), mentre le poche novità da
registrare non si prestano a commenti positivi, in primo
luogo per quanto riguarda le relazioni tra diritto alla
riservatezza e tecnologie dell'informazione. Vediamo di
che si tratta.
Internet al prezzo
dei dati personali
Il 7 agosto la
Repubblica ospitava con grande evidenza un articolo
di Stefano Rodotà intitolato "Se la nostra privacy
diventa una merce", in cui si elencavano, con la
consueta lucidità e con grande chiarezza, i tanti motivi
di allarme per l'invadenza della pubblicità nella vita
privata, in particolare nel settore delle
telecomunicazioni.
"Si fa sempre più massiccia l'offerta di accesso
gratuito ad Internet - si leggeva nell'articolo - o
addirittura di ricevere gratis un personal computer, in
cambio della presenza continua della pubblicità sullo
schermo del proprio computer, dell'accettazione di un
invio regolare di messaggi pubblicitari di posta
elettronica, della comunicazione di una gran massa di
proprie informazioni personali che diventano
«proprietà» di chi fornisce il servizio, che potrà
poi utilizzarle nel modo che preferisce (vendendole,
tracciando profili riguardanti la situazione personale
patrimoniale, le preferenze, gli stili di vita)".
Si dà il caso che
l'autore dell'articolo sia lo stesso Stefano Rodotà che
presiede il Garante per la protezione dei dati personali,
al quale queste situazioni sono state ripetutamente
segnalate, anche in via formale: si veda, per esempio, la
segnalazione
di ALCEI.
Ma il Garante dovrebbe fare ben altro che scrivere un
articolo! Dovrebbe intervenire con i mezzi - non pochi -
che la legge gli mette a disposizione, per limitare sul
nascere un fenomeno destinato a estendersi in breve tempo
in progressione geometrica.
Questo tipo di uso delle informazioni personali non è
proibito, se fatto nel rispetto della legge. Se mai c'è
un problema di ordine sociale nello scambio tra vantaggi
economici e informazioni personali, ma questo scambio
deve essere chiaramente indicato nell'informativa resa
obbligatoria dall'articolo 10 della 675/96. Se alcuni operatori tradiscono lo
spirito e la lettera della legge, occorre un intervento
pubblico del Garante, fosse anche per informare i
cittadini che, invece, è tutto in regola. Non si
tratterebbe tanto di sanzionare l'assenza delle
informazioni puntigliosamente elencate dal testo
legislativo, quanto di esigere il rispetto del principio
che fonda sul "consenso informato"
dell'interessato tutto il meccanismo della tutela della
vita privata.
Il sito del
Garante?
Tre mesi fa avevamo
segnalato (vedi InBox) uno strano equivoco. Sia su Yahoo!, sia su Tiscalinet, erano indicate come "sito
del Garante" le pagine di una società che si occupa
di tutela dei dati personali. Ora in tutte e due le
pagine il sito in questione continua a figurare tra i web
istituzionali, ma su Tiscalinet con la contraddittoria
indicazione che non si tratta del sito ufficiale della
"Authority".
Non basta. Il 12 agosto l'Agenzia Italia ha diffuso
questa notizia:
(AGI) - Roma, 12
ago. - Dal 13 settembre prossimo il Garante per la
privacy avviera' un servizio di risposte a pagamento per
ogni tipo di quesito sulla tutela della persona e sul
trattamento dei dati personali (legge 675/96). Tutte le
risposte - si legge nel sito Internet del garante -
verranno inviate per raccomandata agli interessati, con
pagamento contrassegno al postino.
Scopo dell'iniziativa e' quello di "garantire ai
propri utenti la costante assistenza dei suoi esperti
alla soluzione dei problemi che nascono dall'applicazione
quotidiana della legge sulla privacy". Non manca un
tariffario: una risposta 60.000 lire; due risposte
100.000 lire e tre risposte 120.000 lire; piu' una
formula di abbonamento a 10 risposte per 300.000 lire.
Tutte le cifre sono comprensive di Iva e saranno
regolarmente fatturate. (AGI)
L'UC
121453 AGO 99
Il contenuto della
notizia, a prima vista, è abbastanza strano, ma la vera
"stranezza" è nel fatto che si tratta del
solito sito privato che, per qualche incomprensibile
motivo, continua a essere indicato da varie fonti come se
fosse il web ufficiale del Garante.
Il problema è che il Garante, a oltre due anni dalla sua
entrata in funzione, non è ancora riuscito a mettere in
piedi il suo sito internet.
Il regolamento
sulla sicurezza
Il 30 luglio, al limite
della scadenza della proroga, sono stati emanati due
provvedimenti previsti dalla 676/96, uno sul trattamento
dei dati per finalità storiche, statistiche e di ricerca
scientifica (DLgs 281/99) e uno per i dati trattati in
ambito sanitario (DLgs 282/99). In sostanza altri due elenchi di
limitazioni e obblighi, che riproducono pedissequamente i
difetti della legge "madre", sulla falsariga
dei decreti precedenti. Con un'aggiunta non da poco: ora,
oltre che alla 675, ci sono anche modifiche ai precedenti
decreti legislativi. La normativa si complica sempre
più, anche perché il legislatore si guarda bene da
pubblicare i testi vigenti (che trovate, invece, su
questa rivista alla pagina Tutte le norme sulla
protezione dei dati personali).
Pochi giorni prima il Consiglio dei Ministri aveva varato
il regolamento sulle misure di minime
sicurezza
(un decreto del Presidente della Repubblica, previsto
dall'articolo 15 della 675/96), che fino a oggi non risulta
pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. C'è da augurarsi
che non venga mai pubblicato, come è accaduto per il decreto
del 22 luglio dell'anno scorso, poi sostituito da un altro testo.
Si tratta infatti di un
repertorio di misure inutili, inadeguate o inapplicabili,
che dimostra una preoccupante mancanza di conoscenze
aggiornate sulle moderne procedure di sicurezza dei
sistemi informativi.
Il testo era già noto da tempo, perché alcune bozze
erano state fatte circolare nell'autunno del '97, al
tempo della prima scadenza della delega. Tutti gli
esperti avevano fortemente criticato il documento, che
ora ricompare con insignificanti modifiche.
L'aspetto forse più paradossale di questo provvedimento
è che esso viene emanato a due anni dalla sua
formulazione, proprio quando, secondo il dettato del
terzo comma dello stesso articolo 15, dovrebbe essere
rivisto. In questi due anni si è verificata
un'innovazione fondamentale nel quadro legislativo che
riguarda le tecnologie dell'informazione: la firma
digitale, con tutto il suo contorno di garanzie e di
procedure di sicurezza allo stato dell'arte, fondate in
particolare sull'impiego obbligatorio del
"dispositivo di firma". Ma tutto questo è
semplicemente ignorato nel regolamento sulla sicurezza
dei dati, scritto molto tempo prima delle norme sulla
firma digitale.
Ne consegue che la
puntuale applicazione delle disposizioni sulla sicurezza
dei dati personali può portare a un risultato assurdo: le
norme sul documento informatico obbligano i certificatori
a rispettare anche le prescrizioni sulla protezione dei
dati personali, ma il rispetto delle misure di sicurezza
previste dal regolamento in questione comporta una
diminuzione dell'efficacia delle precauzioni relative
alla gestione dei certificati delle chiavi pubbliche.
Infatti il regolamento sulla sicurezza dei dati personali
prevede che le password vengano assegnate da un
responsabile e stabilisce anche le precauzioni che devono
essere adottate dal "custode" delle password
stesse. Invece le moderne procedure di sicurezza (che non
possono non essere adottate dai certificatori, si vedano
le regole tecniche e la circolare sull'iscrizione nell'elenco
pubblico) prescrivono che le password vengano generate
dagli stessi titolari e archiviate in cifra con un
algoritmo "a senso unico" che impedisce la
ricostruzione della password originale a partire dal
codice cifrato. Dunque non esiste alcuna procedura di
"assegnazione" delle password, né
può esserci un "custode" del relativo elenco.
Solo il titolare è a conoscenza della password
(si veda, a questo proposito, l'articolo di Andrea Monti Misure
veramente "minime").
Nel meccanismo previsto dal regolamento sulla sicurezza
dei dati c'è almeno un'altra persona a conoscenza della
password e questo costituisce una vera e propria
"misura di insicurezza", come sa chiunque si
sia anche superficialmente interessato al problema della
protezione dei sistemi informatici.
Concludendo...
A questo punto, a quasi
tre anni dal debutto delle legge 675/96, non solo la
normativa sulla protezione dei dati personali non è
ancora completa, ma soprattutto è carente proprio nel
settore che lo stesso Garante indica come il più
critico: quello delle tecnologie dell'informazione.
Mancano molte delle norme relative alla protezione dei
dati nei servizi telematici, prevista dalla legge-delega
676/96 e quelle che ci sono appaiono inadeguate (vedi
appunto il neonato regolamento sulle misure minime di
sicurezza o il decreto legislativo 171/98 sulla protezione dei dati nei
servizi di telecomunicazioni).
Tutto questo è molto
strano: il Garante tuona pubblicamente contro le
violazioni della riservatezza nel mondo delle tecnologie,
ma non interviene nemmeno nei casi più clamorosi; non
riesce a far emanare le norme che potrebbero almeno fare
chiarezza sui compiti e le responsabilità di chi eroga i
servizi; non attiva un sito internet, né si oppone a chi
approfitta della situazione, lasciando che un sito
privato sia insistentemente presentato come ufficiale.
Eppure si tratta proprio del settore nel quale, per
affermazione dello stesso Garante, si possono riscontrare
i comportamenti più pericolosi per la vita privata di
ognuno di noi.
|