Internet e privacy, la
difesa impossibile
di Manlio Cammarata - 27.01.2000
Il Garante interviene - finalmente! - sulla
cessione e sui trattamenti delle informazioni personali in cambio degli
abbonamenti "gratuiti" all'internet.
Come molti ricorderanno, la questione è sorta quasi un anno fa con la prima
offerta free internet da parte di Tiscali, nella quale a un'informativa
"reticente" si accompagnava un contratto-capestro che dava
all'operatore il diritto di utilizzare i dati a suo piacimento, anche se
l'abbonato riteneva di aver negato il proprio consenso ai trattamenti non
indispensabili per l'esecuzione del contratto stesso (vedi Il
domani dell'internet: tutto gratis, basta pagare...).
Qualche mese dopo era Infostrada, con l'offerta "Libero", a proporre
il baratto tra accesso alla Rete e dati personali, con un'informativa
apparentemente più esplicita, ma proprio per questo più preoccupante: si
parlava espressamente di controllo delle attività dell'utente e dell'avvenuta
lettura dei messaggi di posta elettronica. ALCEI insorgeva con una segnalazione
al Garante, all'Antitrust e all'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria.
Quest'ultimo si è subito occupato della vicenda
(vedi la risposta e la nota di
Alcei) e le due Autorità hanno aperto le rispettive istruttorie, ciascuna
con le proprie procedure: l'Antitrust ha messo a confronto le parti, mentre il
Garante ha lavorato in silenzio, con consultazioni con la società
"indagata", fino all'emanazione di un provvedimento. Questo è stato
comunicato alla stessa Infostrada e alle altre società che offrono questo tipo
di servizio, come si legge nel comunicato del 20
gennaio scorso.
Nello stesso comunicato il Garante osserva che "fermo restando il rispetto
della volontà dei cittadini e dei consumatori di accettare la cessione di dati
identificativi o attinenti a gusti, preferenze ed interessi, per ottenere
gratuitamente determinati servizi, gli interessati devono, però, essere messi
in grado di esprimere le proprie scelte in maniera consapevole e
libera". Da qui la necessità di un'informativa completa che deve
essere "collocata prima della richiesta dei dati". Ineccepibile.
Ma il Garante, opportunamente, punta la sua
attenzione su alcuni particolari trattamenti. Si legge, sempre nel comunicato:
"Nell'ambito di tale servizio ("Libero" di Infostrada, n.d.r.)
è stato, inoltre, previsto un monitoraggio delle connessioni ai siti visitati
dagli abbonati, svolto per individuare le loro preferenze (attraverso la
determinazione dei loro profili di consumatori, la cosiddetta "profilazione")
e per programmare l'invio di messaggi pubblicitari sulle e-mail degli
abbonati.
In proposito, le segnalazioni pervenute all'Autorità hanno prospettato un
contrasto con la disciplina sulla privacy, con particolare riguardo alla
insufficienza delle informazioni fornite agli interessati, alla possibilità di
raccogliere i dati sui siti frequentati (con eventuale conoscenza di
informazioni relative, ad es., a salute, vita sessuale, opinioni politiche o
sindacali, convinzioni religiose o filosofiche) e di controllare se i messaggi
pubblicitari inviati dalla società vengano effettivamente letti dagli abbonati.
Durante l'istruttoria, la società ha eliminato varie anomalie ed incongruenze
presenti nei documenti sottoposti al potenziale cliente al momento dell'iscrizione
e ha specificato che l'analisi degli accessi ai siti verrà svolta su un
catalogo predefinito dalla stessa società (che non comprende siti nei quali
sono trattati argomenti da cui sono ricavabili dati "sensibili"). Non
verrà, invece, effettuata alcuna verifica del ricevimento e della
visualizzazione dei messaggi pubblicitari da parte dei clienti".
Questo è il punto centrale: gli operatori
commerciali hanno l'interesse primario di conoscere proprio i
"profili" dei consumatori e i loro comportamenti, e per queste
informazioni sono disposti a pagare cifre significative. Anche il fatto,
apparentemente banale, che un abbonato abbia scaricato o no un messaggio e-mail
sul proprio PC e lo abbia effettivamente letto ha una sua "quotazione"
che, moltiplicata per il numero dei "contatti", può determinare
ricavi non indifferenti per gli operatori che vendono queste informazioni.
Possono essere queste le voci più significative del bilancio di un'offerta di
abbonamenti gratuiti, molto più della "retrocessione" di una quota
della tariffa a tempo relativa alla connessione.
La cessione delle informazioni da parte
dell'abbonato costituisce dunque una fonte di introiti ai quali un operatore,
soprattutto di grandi dimensioni, difficilmente può rinunciare. Deve quindi
scegliere se indicare il consenso al trattamento "esteso" dei dati
personali come essenziale per l'esecuzione del contratto, e quindi subordinare
l'accettazione del contratto stesso a questo consenso, oppure indicarlo come
facoltativo. Appare evidente che, una volta diffusa nel pubblico la
consapevolezza di questi aspetti, potrebbero essere in molti a negare il
consenso "esteso", se facoltativo, o a rinunciare al servizio, se
obbligatorio. Così il business dell'offerta gratuita si ridurrebbe non
poco.
Come uscirne?
La soluzione, purtroppo, c'è: trattare i dati
all'insaputa dell'interessato e cederli "sottobanco". Stando al alcune
voci, sarebbe una pratica abbastanza diffusa. Si deve considerare che
l'identificazione di una particolare procedura, tra le centinaia che
"girano" nei server di un internet provider, non è facile. Un abile
amministratore di sistema può nascondere procedure e archivi in modo tale da
renderli invisibili alle ispezioni più accurate. E questo vale anche per
trattamenti che non sono nemmeno citati nelle informative, come quelli relativi
ai dati sensibili. E' la nuda realtà, contro la quale non ci sono soluzioni
efficaci. Per avere un'idea delle possibilità di processi
"invisibili" basta pensare alle storie degli hacker che
nascondevano i loro BBS nei sistemi informativi di grandi organizzazioni, senza
che i responsabili se ne accorgessero.
Altri due aspetti devono essere presi in
considerazione. Il primo è che questi trattamenti illegittimi possono avvenire,
con maggiore sicurezza, in server piazzati in qualche "paradiso
telematico", al sicuro da qualsiasi ispezione. Il secondo è che queste
informazioni riservate, comunque presenti su qualche macchina, possono essere
catturate da pirati telematici. I casi recenti di numeri di carte di credito
"rubati" dagli archivi delle società emittenti devono far riflettere
su questo punto. Anche ammettendo la massima attenzione degli addetti alla
sicurezza e l'adozione delle misure difensive più avanzate, non si può mai
essere certi che non ci sia un incursore ancora più abile. Le precauzioni per
la sicurezza sono sempre adeguate alle situazioni che devono proteggere, fino al
momento in cui si scopre che non lo sono. Ma allora è troppo tardi.
Tra dati ceduti più o meno consapevolmente e
dati disseminati involontariamente, su ciascuno di noi ci sono sulla Rete
notizie più che sufficienti non solo a tracciare i "profili" che
interessano il marketing, ma anche a ricavare informazioni strettamente
attinenti alla sfera più privata. Così il pericolo riguarda tutti e due gli
aspetti fondamentali della riservatezza: il cosiddetto "diritto di essere
lasciato in pace" (right to be alone) e il diritto di disporre dei
propri dati e di controllare l'uso che ne viene fatto.
Nell'Unione europea ci sono norme molto severe che vietano i trattamenti
all'insaputa dell'interessato, ma altrove (in primo luogo negli USA) c'è la
tendenza a favorire gli interessi economici più del diritto alla riservatezza.
Per svolgere in luoghi più tolleranti i trattamenti vietati in Europa non
occorre "esportare" i dati, perché il fatto stesso che siano in
qualche modo sull'internet elimina qualsiasi vincolo territoriale, sicché le
norme più restrittive non possono offrire efficaci mezzi di difesa.
Ci sono soluzioni? Fino a poco tempo fa si
pensava che il cosiddetto "anonimato protetto" potesse costituire una
buona risposta alle esigenze della riservatezza. Ma allora si pensava
soprattutto al desiderio legittimo di molte persone di muoversi sulla rete senza
rivelare la propria identità, o assumendo identità fittizie, ma con la
possibilità di risalire agli autori di eventuali atti illeciti. Ora questo
problema è superato dalle esigenze del commercio elettronico, o più in
generale della web economy, dove non solo l'identità, ma anche e
soprattutto il profilo personale del singolo consumatore sono informazioni
indispensabili per il funzionamento di tutto il sistema. E i mezzi tecnici a
disposizione dei "cacciatori di dati" sono molto più efficaci delle
difese normative.
Non resta che ricorrere a forme di autodifesa: non solo negare, fino a quando è
possibile, i consensi "estesi", ma soprattutto evitare di comunicare
informazioni non indispensabili o fornire deliberatamente informazioni inesatte,
per mettere in crisi i sistemi di "profilazione". Non sempre funziona,
perché qualche contratto prevede una clausola risolutiva nel caso in cui
l'interessato fornisca dati fasulli, ma sarebbe interessante sapere come il
fornitore si possa accorgere dell'inganno.
Presto torneremo su questi problemi. Ora però dobbiamo
puntare il dito su quello che potremmo definire un sistematico "eccesso di
riservatezza": anche nel caso di "Libero", il provvedimento del
Garante è stato reso noto con un comunicato stampa, ma non è stato diffuso il
testo del provvedimento. Questo sarà pubblicato nel "Bollettino",
rigorosamente cartaceo, solo tra qualche mese. Nella società dell'informazione,
ai cui problemi il professor Rodotà si mostra così attento, non è una prassi
accettabile.
Un'autorità indipendente, che svolge un ruolo così delicato, in un contesto
che si evolve di giorno in giorno ed esercita la sua influenza sull'intera
compagine sociale, non può affidare la diffusione di decisioni così rilevanti
alla mediazione della stampa. E' necessario che i provvedimenti vengano resi
noti nella loro interezza e nel più breve tempo possibile. Lo strumento c'è e
si chiama internet.
Ma il Garante non ha ancora un sito internet. All'indirizzo www.garanteprivacy.it
da mesi c'è solo una home page dalla quale non si raggiunge alcun
documento. E' fuori da ogni logica.
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