Ecologia della riservatezza, ovvero
una legge da rifare
di Manlio Cammarata - 19.10.98
Leggendo la "lettera
aperta" al Garante per la protezione dei dati personali,
inviata dall'associazione degli operatori del direct marketing, è fin
troppo facile obiettare che le imprese tirano solo l'acqua al proprio mulino.
Ma il problema del "consenso implicito" al trattamento dei dati è
serio, perché la lettera della legge 675 lo esclude: Il consenso è
validamente prestato solo se è espresso liberamente, in forma specifica e
documentata per iscritto, e se sono state rese all'interessato le informazioni
di cui all'articolo 10 (art.
11. comma 3).
L'ottenimento di un consenso esplicito è dunque necessario per procedere al
trattamento, e deve seguire l'informativa, altrettanto esplicita, resa dal
titolare, come afferma il citato articolo
10: L'interessato o la persona presso
la quale sono raccolti i dati personali devono essere previamente informati
oralmente o per iscritto...
Il senso comune si ribella a queste disposizioni.
Se comunico il mio indirizzo a un negoziante affinché mi mandi a casa ciò che
ho acquistato, è assolutamente evidente che lui userà questo dato per inviarmi
la merce e lo comunicherà al fattorino, come è scontato il mio consenso a
questo tipo di trattamento.
Ma la legge sul trattamento dei dati personali non prevede questa banale
eventualità. Sicché ogni giorno si verificano milioni di violazioni formali
degli articoli 10 e 11, perché nessuno ne osserva le disposizioni in tutti i
casi in cui un trattamento di dati personali appare ovvio per lo svolgimento
delle normali incombenze quotidiane. Pensiamo a un'operazione come il pagamento
di una somma con un bollettino di conto corrente postale. L'impiegato dietro lo
sportello dice (un decreto legislativo ha corretto il testo originario della
legge, stabilendo che l'informativa può essere resa anche oralmente):
"Egregio signore, la informo che i dati personali che lei ha scritto sul
bollettino saranno trattati con sistemi automatizzati e manuali al fine di
accreditare la somma indicata; saranno conservati per X anni; lei ha diritto di
(l'impiegato legge l'articolo
13)... firmi qui, per favore" e gli
presenta il modulo del consenso, perché per questo non è prevista la forma
orale.
Per fortuna gli italiani (escluso il legislatore)
hanno il senso del ridicolo e scene come questa non si verificano. Ma se ne
verificano altre, che dovrebbero far riflettere su che cosa si debba veramente
intendere per "protezione dei dati personali". L'episodio che segue mi
è capitato qualche tempo fa ed è abbastanza comune.
Strada statale nei dintorni di Roma, è passata la mezzanotte. Lampeggiante blu,
i fari illuminano berretti e bandoliere, la scritta CARABINIERI si staglia nel
buio. Si alza la "paletta".
"Buonasera. Favorisca patente e carta di circolazione".
Il carabiniere prende i documenti e va verso la "gazzella", dove un
brigadiere trascrive i dati usando come scrivania il tetto della vettura. Non
compie alcun controllo, non usa la radio né il terminale che presumibilmente è
attaccato al cruscotto. Il primo carabiniere torna verso di me: "Può
andare, buonanotte".
Ora domando: perché le forze dell'ordine
raccolgono i dati di un cittadino qualunque, per il solo fatto che è passato a
una certa ora in un certo luogo? Chi custodisce queste informazioni? A quale
scopo? Per quanto tempo? Chi vi ha accesso? Sono destinate a essere comunicate a
qualcuno? Ho il diritto di verificarne l'esattezza e di chiedere che vengano
cancellate? Perché non mi vene resa anche oralmente l'informativa
prescritta dalla legge?
Perché, questo è il bello, sembra che la legge lo consenta: il comma 2 del
solito articolo 10 dice che l'informativa di cui al comma 1 può non
comprendere gli elementi già noti alla persona che fornisce i dati o la cui
conoscenza può ostacolare l'espletamento di funzioni pubbliche ispettive o di
controllo, svolte per il perseguimento delle finalità di cui agli articoli 4,
comma 1, lettera e), e 14, comma 1, lettera d).
Se andiamo a vedere le disposizioni richiamate, può darsi che l'interpretazione
appaia un po' tirata per i capelli, ma la sostanza è questa: la legge 675/96
impone una serie di obblighi inutili quanto onerosi per una serie di trattamenti
del tutto inoffensivi, ma li esclude - o quanto meno li attenua - in alcuni casi
in cui è più concreto il rischio di un'effettiva violazione della
riservatezza.
E si potrebbero fare molti altri esempi.
Misteriose sparizioni
Si dirà: i limiti del testo erano ben presenti
al legislatore, tanto che ha varato la 675 con a rimorchio la scialuppa della
legge-delega 676. Delega scaduta dopo essere stata attuata solo in piccola parte
e rinnovata dalla legge
n. 344 del 6 ottobre scorso, mentre non
è difficile prevedere altre proroghe a causa del gran numero di materie che
dovrebbero essere regolate dai decreti legislativi. Senza contare le ulteriori
"correzioni" che dovranno essere introdotte per adeguare alla realtà
molti aspetti della normativa.
Alla fine - se mai vi sarà una fine di questo
calvario legislativo - si avrà una normativa così complicata, fatta di regole,
eccezioni ed eccezioni alle eccezioni, da essere ancora più inapplicabile di
quanto sia oggi. Senza contare, poi, i rischi che le norme si perdano per la
strada.
Per esempio, che fine ha fatto il regolamento sulle misure di sicurezza, che
avrebbe dovuto vedere la luce un anno fa? Erano state fatte circolare delle
bozze così assurde da sembrare apocrife, poi più nulla. E che fine ha fatto il
decreto
legislativo approvato dal Consiglio dei
Ministri il 22 luglio scorso sui trattamenti svolti dagli enti pubblici?
Il testo era stato oggetto di critiche vivaci, perché di fatto lasciava alle
amministrazioni margini discrezionali troppo ampi, grazie ai soliti giochini
delle regole e delle eccezioni. Ora si apprende in via ufficiosa che non è
stato promulgato dal Presidente della Repubblica (o che non è nemmeno arrivato
al Quirinale)... Forse la sua navigazione è stata opportunamente e
silenziosamente fermata da un siluro lanciato dal Garante, ma questo modo di
legiferare - o di non legiferare - non giova certo al completamento e
all'applicazione della normativa e alla certezza del diritto.
Ancora. E' difficile prevedere se e quando vedrà
la luce il "registro generale dei trattamenti" che deve essere tenuto
dal Garante ai sensi dell'articolo
31, primo comma. E' uno dei punti più
assurdi della legge, perché dovrebbe servire al cittadino per sapere se
qualcuno tratta dati che lo riguardano, quindi dovrebbe contenere l'elenco dei
titolari e, per ciascuno di essi, l'elenco dei nominativi degli interessati (una
specie di Grande Fratello). Però nella notificazione - per fortuna! - i
titolari non devono mettere la lista degli interessati, mentre il Garante
dovrebbe compilare l'elenco sulla base delle notificazioni ricevute.
Dunque dovrebbe pubblicare le informazioni che non ha e non può avere. Come la
mettiamo?
Cambiare strada
Il merito della 675/96, è stato detto più
volte, è di aver diffuso tra i cittadini la consapevolezza dei propri diritti
sulle informazioni personali che riguardano ogni individuo. Questo risultato è
stato ottenuto anche grazie a una sorta di imprevisto effetto secondario delle
polemiche che hanno accompagnato la discussione e la prima applicazione della
normativa.
Ma ora è sempre più evidente che la legge non ha svolto e non può svolgere il
suo compito più importante: quello di creare un "ambiente" in cui la
riservatezza di ogni cittadino sia tutelata come un diritto primario, e non di
introdurre procedure burocratiche onerose quanto inefficaci. Si deve definire
una sorta di "ecologia della riservatezza", per la quale è necessaria
una legge che abbia come fine primario la tutela del diritto di ciascuno di
disporre dei propri dati, mentre oggi abbiamo un testo che regola - male - il
trattamento dei dati stessi. Non a caso, sui quarantacinque articoli che
compongono il testo principale (senza considerare le appendici legislative e
regolamentari), uno solo è specificamente dedicato ai diritti dell'interessato.
Si deve cambiare strada. Si deve prendere atto
che la legge 675/96 non solo è nata inapplicabile, ma che non bastano le
deleghe legislative e le acrobazie interpretative del Garante per renderla
efficace. Dunque è il caso di pensare a una nuova legge, fatta di poche e
chiare norme di principio, da applicare sulla base di regolamenti semplici e
flessibili.
Qualcuno osserverà che per fare una nuova legge ci vuole troppo tempo. Ma
quanto ce ne vorrà per far funzionare questa, a forza di decreti legislativi,
provvedimenti del Garante e comunicati stampa?
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