Vorremmo essere lasciati in pace
di Manlio Cammarata - 28.06.01
1. Mail spamming. Nelle caselle degli utenti dell'internet di tutto il
mondo cresce a ritmi insostenibili la quantità di messaggi commerciali non
richiesti. Ogni tentativo di sottrarsi al diluvio risulta vano: l'invio della
richiesta di cancellazione provoca, nella migliore delle ipotesi, un messaggio
di ritorno che informa dell'impossibilità di trovare il server dello "spammatore";
nella peggiore si verifica un aumento della quantità di messaggi non richiesti,
perché il disturbatore sa di aver trovato un indirizzo funzionante.
2. Mail grabbing. Ma dove hanno trovato il mio indirizzo, si chiede il
malcapitato destinatario di tanti inutili e irritanti bit? Ci sono appositi
programmi che spazzano la Rete alla ricerca di indirizzi e-mail e compongono
automaticamente gli elenchi. Quando poi il cacciatore di indirizzi si imbatte in
una mailing list, fa salti di gioia: centinaia, a volte migliaia di messaggi che
vanno a segno in un colpo solo! C'e modo di sottrarsi? No.
3. Registrati ora! Un'altra croce degli internauti. L'accesso al sito
è gratis, dice un avviso, però prima ti devi registrare compilando questo
modulo. Ed ecco una bella quantità di informazioni personali che parte per
chissà quali destini. In genere lo scopo è la...
4. Profilazione degli utenti. Non importa come si chiama il
malcapitato che ha lasciato i sui dati su un sito, né se abbia dato il suo
consenso al trattamento. Correlando dati raccolti qua e là e ceduti sottobanco
da diverse organizzazioni, gli esperti sono (o si dicono) in grado di tracciare
il "profilo" del titolare di una casella e-mail e di bombardarlo con
messaggi "mirati" sulle sue "propensioni all'acquisto".
Almeno questo è ciò che dicono i maghi dell'e-marketing ai loro clienti, il
solo risultato sicuro è l'intasamento delle mailbox con messaggi indesiderati.
5. Cookie e altri dolcetti. Se ne è parlato fin troppo: i
"biscottini" installati da molti siti sui PC degli utenti, programmi
spia di varia natura, "cavalli di Troia" che aprono di soppiatto le
porte a sconosciuti incursori telematici, che possono curiosare dappertutto (a
parte il rischio che l'ospite occulto non sia solo un curioso, ma abbia
intenzione di combinare danni più o meno gravi).
6. Le serpi in seno. Così, con un'antica metafora, potremmo definire
i numerosi trattamenti di dati personali che il proprietario di un computer
può... svolgere senza saperlo. Infatti nelle numerose versioni di Windows ci
sono diverse procedure, difficilmente identificabili dall'utente medio, che
registrano scrupolosamente ogni attività dell'utente e mettono i risultati a
disposizione di chiunque, attraverso i già gustati dolcetti e altri sotterfugi.
Si sente chiedere spesso: tutto ciò è legale? La risposta, purtroppo, è
"ni". E' assolutamente illegale alla luce delle normative dei Paesi
dell'Unione europea, altrove viene considerato "criticabile", ma
necessario per il progresso del mondo (globalizzato, naturalmente).
Come ormai tutti dovrebbero sapere, il diritto alla riservatezza è fondato
su due principi elementari: il primo è il "diritto di essere lasciati in
pace" (right to be alone nella originaria formulazione inglese); il
secondo è il "diritto all'autodeterminazione informativa",
riconosciuto in tempi più recenti e che comprende il primo, nella visione
accolta dalla direttiva 95/46 e dalla nostra legge sul trattamento dei dati
personali.
Questi principi trovano applicazione nelle più importanti disposizioni
delle norme comunitarie e degli Stati europei, quelle che riguardano
l'informativa, il consenso, il diritto di accesso e di rettifica o
cancellazione.
Un altro aspetto di grande rilievo è il cosiddetto "principio di
finalità": la raccolta e il trattamento dei dati devono essere necessari
per il rapporto che si instaura tra l'interessato e il titolare del trattamento.
Un caso classico è quello della comunicazione dei dati dei clienti delle banche
ad altre organizzazioni. Per alcune procedure esso è indispensabile (per
esempio nella concessione di finanziamenti), mentre non è funzionale al
rapporto la cessione a fini di marketing e simili. In questi casi l'interessato
può opporsi al trattamento.
Il problema sorge quando la raccolta è fatta da un soggetto che agisce al di
fuori della giurisdizione degli Stati europei, ed è purtroppo molto comune. Un
caso classico è quello della richiesta dei dati anagrafici di chi vuole
semplicemente scaricare dal sito web di un produttore di software
l'indispensabile aggiornamento di un programma. Niente dati, niente
aggiornamento. Per la normativa europea pratiche di questo tipo sono vietate, ma
negli USA non ci sono leggi che tutelino il cittadino da questo abuso.
Gli operatori più attenti, soprattutto quelli di maggiori dimensioni,
mettono bene in evidenza le loro policy in materia di riservatezza dei
dati, ma non c'è un'effettiva garanzia che i trattamenti avvengano realmente
nel rispetto degli impegni dichiarati. Le possibilità di accesso (sapere quali
dati sono trattati e con quali modalità), di rettifica o di cancellazione sono
praticamente nulle, nonostante tutti gli sforzi dei Garanti e delle istituzioni
europee.
Infatti, dopo lunghissime trattative, la Commissione europea e il Dipartimento
del commercio americano hanno raggiunto un accordo
detto del Safe Harbor (approdo sicuro), che dovrebbe assicurare il
trasferimento dei dati solo verso le aziende che dichiarino di voler osservare i
principi fondamentali che in Europa sono stabiliti dalle leggi.
Ma negli USA fanno orecchie da mercante, come ci
spiega nel suo articolo Claudio Manganelli, e sono pochissime le aziende
che hanno assunto l'impegno di trattare i dati secondo i principi
stabiliti nell'accordo.
Nonostante le dichiarate buone intenzioni, i trasferimenti di dati oltre
Atlantico continuano tranquillamente attraverso l'internet e non c'è modo di
fermarli, se non "chiudendo" la Rete, come osservavamo al tempo
dell'entrata in vigore della legge italiana (vedi La legge
675/96 vieta internet? e Internet chiude?). La cosa,
naturalmente, è impossibile. Quindi si verifica una situazione di continua e
diffusa illegalità, con la violazione sistematica dell'articolo 28 della nostra
legge, e nessuno può farci nulla.
Però qualcosa si potrebbe fare. Per esempio di potrebbe chiedere al Garante italiano
di imporre a Microsoft Italia di informare dettagliatamente tutti gli
utilizzatori italiani di Windows sui trattamenti di dati che avvengono
all'interno del sistema operativo e di fornire gli strumenti tecnici necessari
per opporsi a questa illegittima raccolta e possibile comunicazione di dati a
terzi.
E' tempo di smettere di occuparsi di ridicole e inutili formalità e di
affrontare seriamente le reali violazioni della riservatezza che avvengono
quotidianamente a nostro danno,soprattutto attraverso i sistemi telematici.
Il Garante, si legge in un recente comunicato,
ha convocato i rappresentanti delle "categorie interessate" per
affrontare il problema dei codici deontologici previsti dalla legge. Ma ha
dimenticato gli internet provider.
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