Il disegno di legge sul diritto d'autore
S1496: una vergogna istituzionale
di Andrea Monti - 26.07.2000
Il disegno di legge S1496 sulla riforma
della legge sul diritto d'autore, licenziato dal Senato lo scorso 21 giugno,
riesce nella difficile impresa di peggiorare il testo approvato l'anno scorso
dalla Camera con il numero C4953.
Già nella precedente versione erano contenute proposte da far letteralmente
drizzare i capelli, come quella dell'istituzione di un vero e proprio regime
di "pentitismo", volto per di più non ad ottenere condanne penali ma
semplici sequestri, cioè misure cautelari temporanee, a prescindere poi dall'esito
del dibattimento.
O come la vanificazione dell'orientamento giurisprudenziale manifestatosi
prima nella sentenza della Pretura di Cagliari del 3/12/96 e confermato -
quanto al fatto commesso dai privati - da quella del Tribunale
di Torino emessa il 13/7/2000, da realizzarsi sostituendo nell'art. 171
bis della legge sul diritto d'autore lo "scopo di lucro" con quello di
"profitto".
O ancora con l'inaccettabile anticipazione della soglia di punibilità alla
mera costruzione o progettazione di sistemi crittanalitici per i servizi ad
accesso condizionato (PAY-TV) o di sistemi di sprotezione di software, e ciò a
prescindere dal fine dell'agente. Con questo stabilendo di fatto un vero e
proprio monopolio scientifico su alcuni settori importanti della ricerca. In
altri termini, il dolo richiesto dalla norma è veramente troppo generico,
ricalcando l'equivoco che già si pose in materia di diffusione di virus con l'articolo
615 quinquies del codice penale che, a meno
di un sottile lavorio ermeneutico sullo scivoloso terreno dell'antigiuridicità,
punirebbe anche lo studioso di sicurezza che per ragioni di lavoro o di
formazioni detiene una "coltura digitale" di agenti patogeni.
Per non parlare della "legalizzazione" della barbara prassi del
sequestro di computer quando (vedi da ultima l'ordinanza 7/2/2000 del
Tribunale di Torino) finalmente la giurisprudenza comincia a recepire i
contenuti della raccomandazione R/95/13 sulla necessità, nelle indagini penali,
di distinguere il contenuto rilevante ai fini dell'istruttoria (dati) dal
contenente (il computer).
Inquietante.
Eppure tutto questo non era sufficiente: nella nuova release del
disegno di legge si propone la creazione di una schedatura presso le Questure di
chi "lavora" con le opere protette, l'indiscriminata applicazione
del "bollino" SIAE anche a chi non è iscritto a questa società,
trasformando per di più questo bollino in una specie di "marchio di
qualità", e una inaccettabile disparità di trattamento, per cui mentre l'uso
personale di opere cinematografiche e musicali non sarebbe reato (art.171 ter. È
punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei
mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque a
fini di lucro.), la stessa cosa non vale per software e database.
Incomprensibilmente, poi, la (emananda) legge attribuisce ad una già oberata
e latitante Autorità per le comunicazioni (vedi la soap
opera 103/95) ulteriori competenze
e funzioni di controllo e istituisce, in seno alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, un comitato per la tutela della proprietà intellettuale con vaghe
quanto inquietanti poteri.
A parte facili battute sul continuo degrado della qualità dei testi normativi,
è evidente che la legge in questione non è stata concepita sulla base del
diritto ma delle pressioni di potenti gruppi che considerano il diritto d'autore
come "cosa loro", solo che il loro l'intervento è stato talmente
massiccio e scoordinato da avere prodotto un testo al cui confronto l'Ulisse
di Joyce sembra un teorema di geometria analitica.
Ancora una volta - se questo testo dovesse diventare legge - non resta
che sperare nella giurisprudenza. |