Tra i "bachi" delle norme e
quelli dei programmi
di Manlio Cammarata - 19.09.02
Due novità mantengono alta l'attenzione sugli sviluppi della firma digitale.
La prima riguarda il regolamento previsto dall'art. 13 del famigerato decreto legislativo
10/02, che dovrebbe modificare il testo unico sulla documentazione
amministrativa per adeguarlo alle disposizioni europee sulle firme elettroniche.
La seconda (che non è una novità assoluta per la ristretta cerchia degli
addetti ai lavori) riguarda un problema del software di firma digitale DiKe, del
certificatore InfoCamere: in alcune situazioni il programma accerta la validità
di una firma apposta a un documento che appare diverso da quello effettivamente
sottoscritto. Il fatto è grave, anche perché di DiKe sono state distribuite
centinaia di migliaia di copie, grazie alla posizione che la società consortile
delle Camere di commercio occupa sul mercato.
La bozza del regolamento
Il testo che pubblichiamo dovrebbe
essere quello approvato dal Consiglio dei ministri il 2 agosto scorso.
"Dovrebbe", perché non è certo che sia esattamente quello inviato a
diverse amministrazioni per acquisirne i pareri, né che non abbia subito
modifiche dopo il varo formale, annunciato da un comunicato ministeriale e
ripreso dalla stampa come se fosse una straordinaria innovazione (vedi Strane notizie sul documento informatico).
Se il Governo o i ministeri competenti (in senso burocratico) pubblicassero
sull'internet questo tipo di documenti, potrebbero sfruttare i consigli della
comunità degli esperti della materia, come fece a suo tempo l'AIPA per i primi
regolamenti sulla firma digitale, evitando cattive figure e la possibile
diffusione di testi non aggiornati, se non addirittura "apocrifi".
Evidentemente lo schema di DPR è ancora allo stato di bozza, tante sono le
incongruenze e le imprecisioni. Vale però la pena di scorrerlo, per
capire quali possano essere gli sviluppi a breve termine in un settore di tale
importanza: senza la firma digitale non possono decollare gli scambi in rete di
documenti con valore legale, e quindi rendere operativi i progetti di riforma
della pubblica amministrazione. L'incertezza danneggia ancora di più il settore
privato, che sta scoprendo i vantaggi del lavoro in rete, ma brancola nel buio
delle incertezze normative.
Da una prima lettura dell'articolato si ha la sensazione che gli esperti del
Ministero dell'innovazione abbiano cercato di "mettere una pezza" più
ampia possibile sui buchi aperti dal decreto 10/02 (vedi Troppa
confusione sulle firme "elettroniche"). Ma non tutto fila liscio.
Vediamo qualche esempio.
Nelle definizioni del nuovo art. 1 si
legge che per "firma digitale" si intende la firma elettronica
qualificata basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e
una privata, che consente al titolare tramite la chiave privata e al
destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e
di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un
insieme di documenti informatici. A prima vista sembra finalmente chiarita
la corrispondenza tra normativa italiana sulla firma sicura e le previsioni
comunitarie.
Ma leggendo più avanti, tra le varie definizioni elencate in disordine
sparso, troviamo che la firma elettronica qualificata è la firma elettronica
avanzata che sia basata su un certificato qualificato e creata mediante un
dispositivo sicuro per la creazione della firma e la firma elettronica
avanzata è la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura
informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario e la sua univoca
identificazione, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un
controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da
consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati".
Cioè la firma elettronica avanzata, la firma elettronica qualificata e la firma
digitale sono la stessa cosa. E allora perché tutte queste complicate
perifrasi?
E per quanto riguarda la firma elettronica semplice, si dice che essa è
"l'insieme dei dati... utilizzati come metodo di autenticazione
informatica": ci risiamo con l'errore del decreto 10/02. Non si tratta di
"autenticazione", ma di "validazione", come correttamente
recitava il rimpianto DPR 513/97 (vedi Il Governo
cancella un vanto dell'Italia)
Anche per quanto riguarda i dubbi suscitati dal decreto legislativo
10/02 su quante categorie di certificatori siano previste, la bozza chiarisce e
non chiarisce. Ancora nelle definizioni si legge che il certificatore è Il
soggetto che presta servizi di certificazione per le firme elettroniche", il
certificatore qualificato è quello che rilascia al pubblico certificati
elettronici conformi ai requisiti indicati nel presente Testo unico e nelle
regole tecniche di cui all'articolo 8, comma 2 (cioè che corrispondono ai
certificati sicuri della vecchia normativa) e infine che il certificatore
accreditato è " il certificatore qualificato accreditato in Italia
ovvero in altri stati membri dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 3,
paragrafo 2, della direttiva 1999/93/Ce".
Sembrano tre, ma probabilmente sono due, perché leggendo con attenzione si
evince il certificatore qualificato altri non è che un certificatore che
rilascia certificati con i noti requisiti, accreditato in Italia invece che in
altri Paesi europei.
Ora dovremmo ripetere la ricerca per capire quanti e quali siano i livelli dei
certificati, dei dispositivi di firma e via discorrendo. Ma la pazienza del
lettore non è infinita e forse è meglio passare a qualche valutazione di
carattere più generale, rimandando l'esame dei dettagli al testo definitivo.
Con un duro lavoro di taglia e cuci si ottiene una versione del testo unico
che sembra un notevole passo indietro rispetto alla lungimiranza delle
innovazioni introdotte con il regolamento del '97. Colpisce soprattutto la
scomparsa di alcuni passaggi:
- L'apposizione o l'associazione della firma digitale al documento
informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in
forma scritta su supporto cartaceo (art.
10 DPR 513/97).
- Il titolare della coppia di chiavi asimmetriche può ottenere il deposito in
forma segreta della chiave privata presso un notaio o altro pubblico depositario
autorizzato (art. 7 DPR 513/97).
- Gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti informatici
delle pubbliche amministrazioni, costituiscono informazione primaria ed
originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto,
riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge (art. 18 DPR 513/97, scomparso già nella
prima versione del testo unico).
Si dirà che l'assenza di queste disposizioni non altera nella sostanza il
complesso della normativa (con qualche riserva per la prima norma citata).
Invece queste tre semplici formulazioni, e in particolare l'ultima, avevano un
forte valore di principio perché mettevano in luce la vera intenzione del
legislatore: attribuire al documento informatico la stessa efficacia del
documento tradizionale. Anzi, per la pubblica amministrazione il documento
informatico appariva come favorito rispetto a quello cartaceo. La specifica
disposizione sull'equivalenza della firma digitale alla sottoscrizione autografa
e la previsione del deposito della chiave privata con le stesse formalità del
testamento segreto indicavano il valore che veniva attribuito al nuovo
strumento.
Un altro punto importante era nella certificazione delle chiavi pubbliche dei
pubblici ufficiali non appartenenti alla pubblica amministrazione degli ordini e
albi professionali legalmente riconosciuti (art.
17). Anche queste disposizioni sembrano sparite nel confuso rimescolamento
degli articoli previsto dallo schema di DPR.
Non c'è più nulla di tutto questo. E' solo un caso?
Il problema di DiKe
Il bug del programma per firma digitale qualificata distribuito dal
certificatore qualificato InfoCamere (per usare le nuove presumibili
definizioni) è una faccenda molto seria, come dimostra Andrea Gelpi
nell'articolo La firma è sicura, il documento no).
La sicurezza, lo sanno tutti, non è mai assoluta, ma il sistema della firma
digitale avanzata è costruito per dare un livello di affidabilità molto
elevato. Il nuovo strumento può costituire un importante stimolo per lo
sviluppo delle attività in rete, pubbliche e private, ma solo a condizione che
non ci siano dubbi sul livello di sicurezza che può fornire. Il sistema
italiano, nato nel '97, è teso a garantire il massimo livello di certezze che
oggi la tecnologia consente. E sembra che DiKe non rispetti in pieno le norme,
perché l'art. 10 delle regole tecniche
(DPCM 8 febbraio 1999) stabilisce al comma 1 che "Gli strumenti e le
procedure utilizzate per la generazione, l'apposizione e la verifica delle
firme digitali debbono presentare al sottoscrittore, chiaramente e senza
ambiguità, i dati a cui la firma si riferisce".
Ora l'ambiguità dei dati, nelle situazioni descritte, è più che evidente.
Il certificatore afferma che il difetto è di scarso rilievo, perché MS Word
non può essere usato nella pubblica amministrazione, in forza delle previsioni
dell'art. 4 della deliberazione AIPA 51/2000.
Questa norma prescrive che i formati dei documenti della pubblica
amministrazione "devono possedere almeno i seguenti requisiti: [...] b) la
non alterabilità del documento durante le fasi di accesso e conservazione;
[...] d) l'immutabilità nel tempo del contenuto e della sua struttura. A tale
fine i documenti informatici non devono contenere macroistruzioni o codice
eseguibile, tali da attivare funzionalità che possano modificarne la struttura
o il contenuto". Tali indicazioni escludono la liceità dell'uso di Word o
di Excel nella pubblica amministrazione.
Anche ammettendo che queste disposizioni sempre siano rispettate, e che
quindi Word ed Excel siano banditi da tutti gli uffici pubblici, rimane il fatto
che nelle loro categorie sono i software più diffusi in ambito privato. E la
firma digitale qualificata serve per dare piena efficacia legale a tutti i
documenti, quelli delle delle pubbliche amministrazioni e quelli dei privati.
Questi ultimi con DiKe hanno a disposizione uno strumento che non è conforme
alla normativa e, soprattutto, che non è abbastanza sicuro. Infatti non si può
escludere che un abile malfattore possa sfruttare il "baco" per far
sottoscrivere dolosamente a qualcuno un documento che può poi essere alterato,
mandando all'aria tutto il castello di certezze della firma digitale
qualificata.
Resta ancora un dubbio. Il difetto di DiKe potrebbe non essere un caso
isolato. In questo o in altri software per la firma digitale qualificata
potrebbero nascondersi altre pericolose vulnerabilità. Spetta alle autorità
competenti (anche in senso tecnico) compiere controlli approfonditi.
E magari rivedere anche le norme regolamentari e tecniche per rendere la firma
digitale uno strumento più fruibile di quanto sia oggi, stabilendo prima di
tutto regole minime di interoperabilità tra i certificatori. Infatti solo con i
controlli incrociati si può avere una maggiore certezza dell'affidabilità dei
sistemi.
Infine, ma non ultimo, si deve favorire la diffusione dei programmi open source,
con i quali non esiste questo tipo di problemi. Forse è un buon motivo non per
favorirli, ma per renderli obbligatori. |