Troppa confusione sulle firme
"elettroniche" - 1
di Manlio Cammarata - 29.07.02Da qualche tempo non ci occupiamo di firma
digitale, anche se continuano ad arrivare numerose e-mail con domande
sull'argomento. Molti quesiti trovano ancora risposta nelle FAQ
pubblicate due anni fa, ad altri è difficile rispondere, nel pasticcio di
norme determinato dal decreto legislativo 23 gennaio 2002, che ha recepito
(male) la già confusa direttiva 1999/93/CE
sulle firme elettroniche.
Cerchiamo dunque di mettere in luce i problemi più gravi, anche in vista del
fatto che l'intera materia dovrà essere rivista dal
legislatore. Infatti senza un intervento normativo organico è difficile che
possa diffondersi l'uso sia della firma digitale "all'italiana" sia
delle firme elettroniche secondo la visione comunitaria. 1. Quanti
livelli di firme sono previsti? Il buonsenso suggerisce la
considerazione che la firma digitale (o elettronica) o è legalmente sicura o non lo è.
Quindi, visto che al legislatore europeo preme lo sviluppo del mercato
indipendentemente dalle questioni giuridiche, dovremmo rispondere che di fatto
sono previsti due livelli di firme, quella sicura (o "avanzata" o
"qualificata") e quella che non lo è, che si può per contrasto
definire "insicura", "arretrata" o
"squalificata". Infatti, nelle definizioni dell'art. 2 della
direttiva sono indicate due possibilità: la "firma elettronica" non
meglio definita (e sostanzialmente non regolamentata) e la "firma
elettronica avanzata". Questa deve: a) essere connessa in maniera unica al firmatario;
b) essere idonea ad identificare il firmatario;
c) essere creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare il proprio
controllo esclusivo;
d) essere collegata ai dati cui si riferisce in modo da consentire
l'identificazione di ogni successiva modifica di detti dati. Non è
difficile riconoscere in queste indicazioni la firma digitale come è stata
regolata in Italia dal DPR 513/97 (poi smembrato e trasfuso nel testo unico
sulla documentazione amministrativa, DPR
445/200). Con un piccolo dettaglio: non esiste una
firma digitale (o "elettronica" che dir si voglia) che consenta di
identificare "ogni successiva modifica" del documento al quale è
stata apposta: la verifica ammette solo una risposta "vero o falso".
Il macroscopico errore (per fortuna corretto nel decreto di recepimento) la
dice lunga sull'incompetenza tecnica del legislatore comunitario. Potremmo
fermarci qui. Ma
nell'articolato della direttiva e nei "considerando" che lo
precedono si trovano due diverse ipotesi di firma "avanzata" . Ecco le differenze, così come
emergono dai "considerando": (20) [...] le firme
elettroniche avanzate basate su un certificato qualificato mirano ad un più
alto livello di sicurezza; le firme elettroniche avanzate basate su un
certificato qualificato e create mediante un dispositivo per la creazione di una
firma sicura possono essere considerate giuridicamente equivalenti alle firme
autografe solo se sono rispettati i requisiti per le firme autografe. Dunque
le firme elettroniche avanzate sarebbero di due tipi:
a) quelle basate su un certificato qualificato (con le implicazioni che
vedremo più avanti per quanto riguarda i certificatori);
b) quelle basate su un certificato qualificato e create mediante
un dispositivo per la creazione di una firma sicura. Si noti che tra le
definizioni manca quella di "firma sicura", espressione che però
compare diverse volte nell'articolato e in particolare negli allegati III e
IV, che in sostanza riproducono le disposizioni della normativa italiana. Se
ne potrebbe dedurre che il legislatore comunitario abbia voluto regolamentare
tre diversi livelli di firme:
a) firme elettroniche tout court;
b) firme elettroniche avanzate (basate su un certificato qualificato, ma
non generate con un dispositivo per la firma sicura);
c) firme elettroniche sicure (come sopra, ma con in più l'uso del
dispositivo).
Ma se andiamo a vedere di nuovo le definizioni dell'art. 2, vediamo che tra i
requisiti della firma "avanzata" c'è quello che deve "essere creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare il proprio
controllo esclusivo", cioè con un dispositivo per la firma sicura. Dunque
per la firma avanzata ci sono due indicazioni contrastanti e la questione si può risolvere solo con una specie di ossimoro: "i due
livelli di firma sono tre" oppure "i tre livelli sono due", con
buona pace dell'aritmetica. Vediamo ora come il legislatore nazionale ha
recepito il pasticcio: si legge infatti nell'art.
2 del DLgv 10/02: 1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) "firma elettronica" l'insieme dei dati in forma elettronica,
allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici,
utilizzati come metodo di autenticazione informatica;
[...]
g) "firma elettronica avanzata" la firma elettronica ottenuta
attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al
firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il
firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali
si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati
successivamente modificati;
[...] Qui, in accordo con le corrispondenti definizioni comunitarie, ci
sono due tipi di firma. E più avanti, nell'art. 6, compaiono due
previsioni: "Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica
..." e "Il documento informatico, quando è sottoscritto con firma digitale o con un
altro tipo di firma elettronica avanzata, e la firma è basata su di un
certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione
di una firma sicura".
C'è quindi la conferma dell'esistenza di due livelli di firma e si evince che
la firma "avanzata", basata su un certificato qualificato e generata
con un dispositivo per la creazione di una firma sicura (cioè, fra l'altro,
sul quale il firmatario può conservare il controllo esclusivo), corrisponde
alla firma digitale come definita e regolata dal testo unico sulla
documentazione amministrativa. A parte la farraginosità delle descrizioni e
l'erroneo riferimento alla "autenticazione" invece che alla
"validazione", la
doppia previsione appare soddisfacente: la firma, come si è detto, o è
sicura o non lo è (sui problemi creati dall'art. 6 si veda Lo schema governativo stravolge il
processo civile di Gianni Buonomo). Quanti livelli di certificatori? Ma
la situazione si complica subito se cerchiamo di confrontare le previsioni
normative sulle firme con quelle che riguardano i certificatori, perché è
logico pensare che la firma "insicura" possa essere certificata da
un certificatore qualsiasi, mentre per quella sicura occorre un certificatore
altrettanto sicuro.
Torniamo alla direttiva europea, dove troviamo nelle definizioni dell'art. 2
una duplice previsione: 11) "prestatore di servizi di certificazione", un'entità o una
persona fisica o giuridica che rilascia certificati o fornisce altri servizi
connessi alle firme elettroniche;
13) "accreditamento facoltativo", qualsiasi permesso che stabilisca
diritti ed obblighi specifici della fornitura di servizi di certificazione, il
quale sia concesso, su richiesta del prestatore di servizi di certificazione
interessato, dall'organismo pubblico o privato preposto all'elaborazione e alla
sorveglianza del rispetto di tali diritti ed obblighi [...] Ma prima, nel
caos anche formale della direttiva, c'è un altro riferimento: 10) "certificato qualificato", un certificato conforme ai requisiti di
cui all'allegato I e fornito da un prestatore di servizi di certificazione che
soddisfa i requisiti di cui all'allegato II. Dunque anche qui ci sarebbero tre livelli:
a) prestatore di servizi di certificazione
b) prestatore di servizi di certificazione "accreditato"
c) prestatore di servizi di certificazione che rilascia certificati
qualificati (allegato II).
Verrebbe spontaneo fare un parallelo fra i tre livelli di certificazione e i tre
livelli di firma, ma nulla nella direttiva sembra giustificare questo
accostamento logico. Ritorniamo al decreto di recepimento. Nelle definizioni dell'art. 2 si riprendono, con maggiore
chiarezza, le definizioni comunitarie e si prevedono due categorie: b) "certificatori" coloro che prestano servizi di certificazione delle
firme elettroniche o che forniscono altri servizi connessi alle firme
elettroniche;
c) "certificatori accreditati" i certificatori accreditati in Italia
ovvero in altri Stati membri dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 3,
paragrafo 2, della direttiva 1999/93/CE. Ma poco più avanti compaiono i
tre livelli:
Art. 3.1. L'attività dei certificatori stabiliti in Italia o in un altro Stato
membro dell'Unione europea è libera e non necessita di autorizzazione preventiva.
Art. 4.1. I certificatori stabiliti in Italia che intendono rilasciare al pubblico certificati qualificati devono darne avviso, anche in via telematica,
prima dell'inizio dell'attività, al Dipartimento.
Art. 5.1. I certificatori che intendono conseguire dal Dipartimento il riconoscimento del possesso dei requisiti del livello più elevato, in termini
di qualità e di sicurezza, possono chiedere di essere accreditati. Sembra
di capire, a prima vista, che il soggetto di cui all'art. 3 è il
certificatore che possiamo chiamare "squalificato", definito alla
lettera b) dell'art. 2, mentre all'art. 5 si dettano le regole per il soggetto
che corrisponde alla lettera c) dell'art. 2. Ma allora manca la definizione
per il certificatore al quale si riferisce l'art. 4!
In conclusione, dagli artt. 3, 4 e 5 si deduce che al livello più basso c'è il certificatore
"screditato", al quale non viene imposto alcun obbligo preliminare;
al secondo c'è il certificatore che deve "dare avviso" al
Dipartimento se vuole rilasciare certificati qualificati; al terzo c'è il
certificatore che "può chiedere di essere accreditato" (dunque un
accreditamento facoltativo) per avere il riconoscimento dei requisiti più
elevati.
Più avanti si evince che il terzo livello, con l'iscrizione nell'elenco
pubblico, corrisponde ai "certificatori" della originaria normativa
italiana.
Ma, ecco il busillis, nella direttiva l'accreditamento facoltativo è previsto per il livello
intermedio e non si trova una previsione di avviso preventivo, come nell'art.
4 del decreto. E allora? L'unica soluzione possibile è riscrivere da zero
la normativa, a partire da alcuni aspetti ormai datati del DPR 455/2000. Il
regolamento applicativo del DLgv 10/02 (che ancora non si vede all'orizzonte)
potrà chiarire qualche dubbio, ma è tutto il sistema che deve essere
rivisto. D'altra parte, la stessa direttiva 1999/93/CE sarà soggetta a una
revisione (che si spera sostanziale) entro un anno, secondo il dettato
dell'art. 12. |