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 Firma digitale

Troppa confusione sulle firme "elettroniche" - 2
di Manlio Cammarata - 29.07.02

Occorrono regole nuove

Come abbiamo visto nell'articolo precedente, la situazione della normativa sulla firma digitale è molto confusa. E' necessario ripartire praticamente da zero, cioè dalla norma dell'art. 15 della legge 59/97, aggiungendo la previsione (già allora implicita quando la legge fu approvata) della liceità delle firme insicure, per soddisfare la normativa europea. Si deve tenere presente che la direttiva 1999/93/CE dovrà essere riesaminata a partire dal 19 luglio 2003 (cioè tra meno di un anno, art. 12) e che in quell'occasione si potranno correggere almeno gli errori più clamorosi e chiarire i troppi punti oscuri.
Nell'indispensabile riordino della normativa il legislatore italiano dovrà comunque porre rimedio ad alcuni punti critici delle disposizioni attuali: vediamone alcuni.

1. Le definizioni. E' necessario adottare definizioni chiare e sintetiche, che possano essere usate nel linguaggio comune. Per esempio, l'interminabile tiritera della "firma elettronica basata su... generata... ecc., può essere sostituita dalla definizione di "firma digitale sicura" o "firma digitale avanzata"; per il resto si può usare il termine generico di "firma elettronica".
Per i certificatori si potrà distinguere tra "certificatori qualificati" e "certificatori non qualificati", aggiungendo, se del caso, i "certificatori accreditati" come livello intermedio.
I certificati potranno essere "qualificati" o "non qualificati" (qui è difficile immaginare una via di mezzo).
in ogni caso sarà opportuno evitare l'aggettivo "avanzato", che in italiano non traduce solo l'inglese advanced, ma indica anche qualcosa che si può buttare via senza rimorsi...

2. Gli aspetti penali. Il DPR 513, in mancanza di una delega specifica, non poteva introdurre disposizioni di natura penale. E' vero che in molti casi gli atti illeciti che possono essere compiuti con la firma digitale rientrano senza problemi nelle previsioni dell'attuale codice penale, ma occorre almeno una norma che punisca l'affidamento a una persona diversa, da parte del titolare, del dispositivo di firma. Deve essere chiaro che la natura giuridica della firma digitale esclude che un comportamento del genere possa configurare una sorta di rappresentanza, sia perché questa è prevista come causa di emissione di un certificato specifico per il rappresentante sia, e soprattutto, perché il titolare deve avere il pieno controllo del dispositivo, senza il quale non è possibile ascrivere con certezza la firma al soggetto che appare come firmatario (per l'uso abusivo, all'insaputa del titolare, del dispositivo di firma, si può configurare la sostituzione di persona, se ricorrono le condizioni previste dall'art. 494 c.p.).

Il discorso è in parte diverso per i reati che possono essere commessi dai certificatori. Qui sembra che possano essere applicate senza forzature le norme già presenti nel codice penale, e in particolare quelle sul crimine informatico introdotte dalla legge 54793. Queste, a loro volta, dovranno essere in buona parte riscritte, sia in funzione del progresso delle tecnologie sia per il recepimento della decisione-quadro della Commissione europea relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, ora allo stadio di proposta.

3. La validità nel tempo dei documenti informatici. Qui c'è una lacuna, o almeno una scarsa chiarezza della normativa attuale. Il DPR 445 stabilisce che "l'uso della firma apposta o associata mediante una chiave revocata, scaduta o sospesa equivale a mancata sottoscrizione" (art. 23, c. 5) ed è abbastanza facile individuare le conseguenze giuridiche di questa previsione. Ma l'art. 60 delle regole tecniche detta una serie di regole per prolungare la validità dei documenti informatici, dopo la scadenza del certificato, attraverso l'applicazione delle marche temporali. Dunque il documento informatico non vale più niente dopo la scadenza del certificato? Per la pubblica amministrazione esistono regole specifiche, in particolare per la conservazione dei documenti su supporti ottici, ma per il settore privato la "perdita di validità" di un documento, in assenza del prolungamento con le marche temporali, può essere un problema serio.

Non è immaginabile che il contenuto del documento informatico possa essere "annullato" dopo pochi anni di vita, mentre la firma autografa vale per sempre: è necessario stabilire almeno la persistenza del valore probatorio del documento, prevedendo anche la consultabilità dei certificati a tempo indeterminato, eventualmente con il loro riversamento, dopo la scadenza, in un archivio storico. La possibilità di "rottura" delle chiavi, trascorso un certo tempo dalla loro generazione, è un rischio concreto, ma dovrebbe essere provata o almeno valutata sulla base di indizi seri, con una specie di giudizio di verificazione. Ma qui entriamo nel complicato discorso degli aspetti processuali del documento informatico, che affronteremo quando saranno riviste le disposizioni del nuovo art. 10 del testo unico.

Gli aspetti processuali. Questo è un altro campo in cui il legislatore deve intervenire. Infatti, già le disposizioni originarie del DPR 513/97, riprese nel testo unico, lasciavano aperti molti dubbi sull'applicabilità degli istituti del disconoscimento e delle procedure di verificazione, nel passaggio dal documento tradizionale a quello informatico. Anche la querela di falso richiede almeno qualche precisazione per la sua applicazione alle nuove "scritture".

Gli aspetti operativi. Per concludere non si può trascurare un altra lacuna della normativa, venuta alla luce nel primo periodo di applicazione pratica della firma digitale. E' necessario che i certificatori "qualificati" siano obbligati a stipulare gli accordi di certificazione incrociata e a rendere interoperabili tutte le procedure, soprattutto per quanto riguarda le verifiche delle liste di sospensione e revoca e delle marche temporali. Peraltro non si riesce a capire come mai non lo abbiano già fatto spontaneamente e non si rendano conto che il caos attuale rallenta la diffusione dello strumento e blocca anche quel po' di mercato che potrebbe invece funzionare.

Per di più, alcuni operatori abbastanza disinvolti incominciano ad approfittare della confusione determinata dal decreto legislativo di recepimento: prima fanno grandi discorsi sulla firma digitale "a norma di legge" (italiana) e subito dopo cercano di vendere agli ignari acquirenti una serie di prodotti di firma "a norma europea". Con le conseguenze che è facile immaginare e, ancora una volta, nell'inerzia dei certificatori dell'unica firma sicura per l'ordinamento italiano.