Con l'approvazione preliminare dello schema del Codice
dell'amministrazione digitale si avvia alla conclusione un percorso normativo
che va avanti da quasi dodici anni, se vogliamo prendere come ragionevole punto
di partenza il decreto legislativo 39/93
"Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle
amministrazioni pubbliche".
Ora testo dovrà seguire il suo iter (Consiglio di Stato, Conferenza
Stato-regioni, commissioni parlamentari) e poi tornerà al Consiglio dei
ministri per la stesura e l'approvazione definitiva. Il tutto entro la scadenza
della delega, il 9 marzo 2005.Lo schema approvato dal Governo costituisce senza dubbio un punto fermo
nell'evoluzione della pubblica amministrazione (e non solo), perché racchiude
in una visione organica tutti gli aspetti dell'uso delle tecnologie nel settore
pubblico, aspetti fino a oggi dispersi in una miriade di provvedimenti di
differente rango normativo (firma digitale, protocollo e archiviazione
informatica, trasmissione telematica di documenti e via elencando). Ma è molto
più di un testo unico, perché contiene in diversi punti disposizioni
innovative di notevole rilievo.
L'aspetto più importante è nella definizione di precise
scadenze per l'informatizzazione delle procedure, operata con un provvedimento di
rango legislativo. Come ci insegna la recente esperienza del protocollo
informatico, non è detto che alle date stabilite tutti gli uffici siano "a
norma". Ma il solo fatto che ci sia un percorso definito per legge
significa che prima o poi la sospirata digitalizzazione ci sarà e potrà
dispiegare tutti i suoi effetti positivi per l'efficacia dell'azione
amministrativa e la soddisfazione dei cittadini.
Vediamo quindi con soddisfazione le disposizioni del Capo I, che sanciscono i principi
dell'informatizzazione della PA, come quelle del Capo III, che dettano le regole
per l'informatizzazione stessa, coordinando diversi settori prima disciplinati
da norme eterogenee.
Tra le norme capaci di dare un effettivo impulso all'innovazione vanno ricordare quelle sulle banche dati
pubbliche e l'accesso dei cittadini. E anche (udite, udite!) le disposizioni
sull'acquisizione del software e sul suo riuso da parte delle amministrazioni,
ora elevate a rango di norme di legge (art. 68 e seguenti): l'open source
organicamente inserito nello sviluppo dell'amministrazione digitale
Firma digitale: tutto in ordine, o quasi
Vediamo ora i punti più interessanti che riguardano la firma digitale. Prima
di tutto, come abbiamo anticipato in settembre, si fa chiarezza sull'efficacia
della firma qualificata e sugli aspetti
probatori del documento informatico (vedi Finalmente chiare le norme
sull'efficacia probatoria). Il secondo comma dell'art. 17 stabilisce infatti che Il
documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma
digitale soddisfa il requisito legale della forma scritta se formato nel
rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 72 che
garantiscano l'identificabilità dell'autore e l'integrità del
documento.
Si fa quindi piazza pulita delle regole, confuse e non coerenti con
l'ordinamento, introdotte con il recepimento della direttiva europea e si
ritorna alle (ovvie) disposizioni del DPR 513/97.
Per quanto riguarda l'efficacia probatoria, ecco la soluzione, chiara e
lineare, scelta dal legislatore:
a) il documento informatico con firma qualificata è equiparato al documento
tradizionale sottoscritto (art. 18, c. 2);
b) il documento informatico con firma "debole" è rimesso alla libera valutazione
del giudice (art. 18, c. 1), in accordo con la direttiva europea e con i
princìpi del processo civile;
c) il documento non firmato è equiparato alla riproduzione meccanica, con una piccola
integrazione all'art. 2172 c.c. (art. 20, c. 1).
Forse si sarebbe potuta adottare un approccio diverso (vedi le
osservazioni di Andrea Monti Valore probatorio: a volte la
firma non è necessaria), ma la giurisprudenza provvederà a colmare le
lacune.
La chiarezza di queste disposizioni renderà molto difficili interpretazioni
stravaganti come quelle che abbiamo visto nei mesi scorsi, che arrivavano ad
affermare l'efficacia di scrittura privata del messaggio di posta elettronica, il
più inaffidabile dei supporti.
Tutto bene, dunque?
Sarebbe troppo bello. Restano diverse inesattezze, contraddizioni, pesanti
eredità di errori passati, che per fortuna possono essere corrette nell' esame del testo che dovrà essere compiuto dalle commissioni
parlamentari.
Gli errori da correggere
Vediamo, in estrema sintesi, alcuni punti critici che saltano all'occhio a una prima lettura del testo.
1. La traduzione sbagliata. Art. 1, c. 1, lett. a): spunta una
definizione, quella di "autenticazione informatica", che non era
presente nella bozza diramata in luglio, dopo il lavoro di
"ripulitura" compiuto dall'ufficio legislativo del ministro Stanca. Un
colpaccio della burocrazia più pedante, che ha voluto "validare" una
definizione errata introdotta nel codice della privacy, invece di correggere lo
sbaglio iniziale.
Nel nuovo testo il termine "autenticazione"
(errata traduzione dell'inglese authentication) dà luogo a una
specie di filastrocca (...autenticazione informatica: la validazione
dell'identificazione informatica...). Una formula corretta potrebbe essere: "Validazione informatica: la
procedura tecnica che conferma l'identificazione informatica al fine di
garantire la sicurezza dell'accesso".
Ricordiamo ancora una volta che l'autenticazione, nel nostro ordinamento, è un istituto
riservato ai pubblici
ufficiali e non ha nulla a che fare con la authentication della lingua
inglese. Anche per questo il termine era stato espunto dalla prima versione del
testo, per evitare le "disarmonie" con l'ordinamento, vietate dalla
legge e dal buonsenso giuridico.
2. Un errore gravissimo, che è stato fonte di tanti equivoci, ricorre
nella definizione della firma elettronica (art. 1, c. 1, lett.t).
Anche qui, nel testo unico sulla documentazione amministrativa, c'era l'uso
errato della parola autenticazione. Ma il rimedio è peggiore del male: ora la firma elettronica diventa
l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite
associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di
identificazione informatica. Come tutti dovrebbero sapere, la firma non
qualificata serve sostanzialmente per la verifica dell'integrità del documento (data authentication) e non dell'identità dell'autore (entity
authentication - vedi La firma elettronica non
serve per l'identificazione di Roberto Manno): manca infatti una
certificazione affidabile dell'identità del soggetto titolare della coppia di
chiavi. Basta sostituire il termine "identificazione" con
"validazione" per rimettere le cose a posto. E, per maggiore
chiarezza, si dovrebbe scrivere "utilizzati come metodo di validazione dei
dati stessi".
3. Il fax, una contraddizione. Le critiche rivolte alle prime norme in
materia avevano convinto il Dipartimento per l'innovazione a eliminare, nella
bozza del codice diramata in luglio, il telefax tra i mezzi ammessi per la
trasmissione informatica dei documenti. Ma nella versione approvata la scorsa
settimana si legge all'art. 49, c. 1: I documenti trasmessi da chiunque
ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico,
ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il
requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da
quella del documento originale.
E' assurdo che un mezzo intrinsecamente insicuro come il fax possa essere
equiparato alla "forma scritta", come se fosse firmato manualmente o
digitalmente. E' intrinsecamente non "idoneo ad accertarne la fonte di
provenienza", perché falsificare il numero telefonico del mittente è
troppo facile. Per di più questa disposizione è contraddetta nella sostanza dal successivo
art. 66, che recita:
1. Le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni
per via telematica ai sensi dell'articolo 38 del decreto del presidente della
Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono valide:
a) se sottoscritte mediante la firma digitale, il cui certificato è rilasciato
da un certificatore accreditato;
b) ovvero, quando l'autore è identificato dal sistema informatico con l'uso
della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi, nei
limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai sensi della normativa
vigente;
c) ovvero quando l'autore è identificato dal sistema informatico con i diversi
strumenti di cui all'articolo 65, comma 2, nei limiti di quanto stabilito da
ciascuna amministrazione ai sensi della normativa vigente e fermo restando il
disposto dell'articolo 65, comma 3.
2. Le istanze e le dichiarazioni inviate secondo le modalità previste dal comma
1 sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma
autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento.
Questi due commi sembrano indicare con chiarezza l'intenzione del legislatore
di ammettere come validi solo i documenti che consentono l'identificazione
"forte" del mittente. Intenzione confermata dal comma successivo:
3. Dalla data di cui all'articolo 65, comma 3 non è più consentito l'invio
di istanze e dichiarazioni con le modalità di cui al comma 1, lettera c).
Però, e qui siamo alla confusione totale, il primo comma richiama anche l'art.
38, c. 2 del DPR445/00, che ammette il fax. E' necessario eliminare queste
contraddizioni e considerare il fax per quello che è un mezzo comodo, ma che
non offre alcuna sicurezza né sul contenuto né sulla provenienza del documento,
come la posta elettronica non certificata.
4. "Con chiarezza e senza ambiguità". L'art. 32, c. 2, dice
che .... I dispositivi sicuri e le procedure di cui al comma 1 devono
garantire l'integrità dei documenti a cui la firma si riferisce. I documenti
devono essere presentati al titolare, prima dell'apposizione della firma,
chiaramente e senza ambiguità.... Il testo dimentica i dispositivi e le
procedure per la verifica della firma, contemplati originariamente nelle regole
tecniche del '99.
Un "baco" di alcune attuali applicazioni per la firma
digitale consiste proprio nel fatto che non fanno vedere obbligatoriamente il
documento che viene verificato, con la possibilità di errori o imbrogli. Invece
di correggere le applicazioni, si trasferisce il "baco" alla legge.
Complimenti!
5. La certezza dell'identificazione. Abbiamo tante volte criticato la
leggerezza di qualche certificatore nella fondamentale fase di identificazione
del soggetto che chiede la certificazione delle chiavi. La vecchia formula
recitava (art. 29-bis, c. 2 del TUDA)
Il certificatore che rilascia, ai sensi dell'articolo 27, certificati
qualificati è tenuto inoltre a:
a) identificare con certezza la persona che fa richiesta della certificazione.
"Identificare con certezza", un'espressione presa dal linguaggio
notarile, indicava la particolare diligenza da impiegare nella verifica
dell'identità. Ora la regola cambia: il certificatore deve provvedere con
certezza alla identificazione della persona che fa richiesta della
certificazione (art. 29, c. 3).
C'è una bella differenza tra "identificare con certezza" e
"provvedere con certezza all'identificazione": è incredibile che sia
stata attenuata proprio la regola che costituisce il fondamento della sicurezza,
e quindi dell'efficacia giuridica, della firma qualificata.
6. E la validazione dei siti? Un dettaglio, se si vuole, ma
importante anche in linea di principio. Gli artt. 56 e 57 dettano norme di
grande importanza sui siti delle pubbliche amministrazioni e costituiscono uno
dei molti passaggi positivi nello schema del codice. Ma non c'è una previsione di certificazione dei siti, affinché
l'utente sia sicuro di non accedere a pagine-fantasma o a informazioni alterate
da qualche burlone informatico.
E per ora ci fermiamo qui, in attesa di tornare sull'argomento nei prossimi
numeri.
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