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Firma digitale

Il disconoscimento della firma tra "diritto" e "fatto"

di Manlio Cammarata - 02.12.04

 
In queste settimane al centro del nostro interesse c'è lo schema del codice dell'amministrazione digitale. E' naturale che sia così, dal momento che materia è una di quelle che InterLex ha affrontato con  maggiore interesse nel corso degli anni. Il dibattito si allarga e - fatto molto importante - sale il livello degli interventi. Questo è un segno che le nuove disposizioni meritano un'attenta considerazione e, nello stesso tempo, che siamo di fronte a questioni che stanno raggiungendo una discreta maturità sul piano dottrinale.
Parliamo di aspetti positivi e aspetti negativi (qualche errore sarà certamente corretto nella versione finale, vedi Amministrazioni digitali: i problemi del documento informatico).

Il quadro generale diventa più chiaro. Abbiamo già registrato interventi significativi, come le considerazioni di Andrea Monti (Valore probatorio: a volte la firma non è necessaria) e la lettura ragionata del testo da parte di Carmelo Giurdanella e Elio Guarnaccia (Amministrazione digitale: leggiamo il Codice - sul prossimo numero la seconda parte).
In questo affrontiamo due aspetti importanti: l'insieme delle disposizioni sulla documentazione (Amministrazione digitale: cosa resta della funzione documentaria di Maria Guercio) e il problema, molto complesso, dell'efficacia probatoria del documento con firma "forte" (E' utile la presunzione di utilizzo del dispositivo di firma di Luigi Neirotti).

Nell'intervento di Guercio emerge con forza il problema della distanza che separa le previsioni normative dalla realtà delle amministrazioni, in molti casi ancora molto lontane da una percezione definita dei problemi dell'innovazione digitale. Neirotti, invece, si limita a un'analisi strettamente giuridica, che merita una discussione approfondita non solo degli aspetti processuali, ma anche della situazione effettiva della diffusione della firma digitale.
Dobbiamo affrontare anche quest'ultimo punto, perché le norme devono tener conto della realtà sulla quale incidono e delle prospettive nel breve e medio termine. Insomma, le considerazioni "in diritto" e "in fatto" devono procedere insieme, altrimenti si finisce col discutere di pure astrazioni la cui applicazione ai fatti non può essere completamente rimessa all'opera dei giudici.

La nuova disposizione che chiude il secondo comma dell'art 18 "L'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria" costituisce quella che in termini tecnici si chiama "inversione dell'onere della prova": mentre nel caso di disconoscimento della sottoscrizione su un documento di carta spetta a chi lo produce in giudizio provare l'autenticità della scrittura, per il documento informatico con la nuova norma toccherebbe alla parte a cui è attribuito provare che la firma non è sua.

Ora, chi conosce come sono stati emessi i primi certificati di firma nel nostro Paese tende piuttosto a "presumere" che l'utilizzo dei dispositivi non  sia riconducibile al titolare, ma alla segretaria, a un assistente o piuttosto al commercialista (vedi Ha la firma digitale, ma non lo sa...). Quello della certezza dell'identificazione del titolare e della consegna del dispositivo è un problema aperto, che deve essere affrontato con decisione, e subito, perché è uno dei due pilastri sui quali è fondato tutto l'edificio del documento informatico (l'altro è l'affidabilità delle procedure di generazione e verifica della firma).

Lo schema del codice è tutt'altro che soddisfacente soprattutto sul primo punto. Infatti, se da una parte accenna a una maggiore responsabilizzazione dei certificatori (Il certificatore è responsabile dell'identificazione del soggetto che richiede il certificato qualificato di firma anche se tale attività è delegata a terzi - art. 29, c. 4), dall'altra si attenua il rigore dell'identificazione passando dal obbligo "notarile" di identificare con certezza il richiedente della precedente normativa all'obbligo di provvedere con certezza all'identificazione del comma 3 lett. a) dello stesso art. 29.

Anche la seconda disposizione del primo comma (Il titolare del certificato di firma è tenuto... a custodire e utilizzare il dispositivo di firma con la diligenza del buon padre di famiglia) appare troppo leggera. Infatti l'espressione "diligenza del buon padre di famiglia" indica la normale cura che chiunque dovrebbe porre nelle proprie attività, mentre in questo caso sarebbe necessaria la "speciale diligenza" che è richiesta per attività di particolare delicatezza.

Si può anzi rilevare un'incongruenza tra le due disposizioni del primo comma. Infatti l'obbligo di adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri richiede di per sé una "diligenza specialissima", visto che richiama l'art. 2050 del codice civile "Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose". E questo significa non solo l'inversione dell'onere della prova, ma anche l'impegno di fornire una difficilissima "prova negativa" (come può accadere per il disconoscimento della firma nella nuova disposizione che ne presume l'utilizzo da parte del titolare).

In conclusione, se si vuole discutere seriamente "in diritto" di questa presunzione, è necessario che essa trovi un riscontro "in fatto". E per ottenere questo risultato occorrono disposizioni molto stringenti sull'identificazione del titolare e sulla consegna e custodia del dispositivo.
Questo per l'oggi. Per il domani si annuncia una soluzione che consentirà di "presumere" senza problemi l'uso del dispositivo da parte del titolare: lo sblocco della procedura di firma attraverso il riconoscimento di un dato biometrico custodito nel dispositivo stesso. La tecnologia è pronta, la sua attuazione pratica non sembra molto vicina. Fino a quel momento si dovrà valutare molta prudenza qualsiasi "presunzione" che non trova riscontro nella realtà dei fatti.

 

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