Nel maggio del 1789 il Re di Francia Luigi XVI convocò gli Stati generali, l'assemblea dei rappresentanti dei tre ordini sociali
(o "stati" - clero, nobiltà e borghesia o terzo stato), che non si
riunivano dal 1614. Fu l'inizio della Rivoluzione francese.
Potrà sembrare esagerato il paragone tra quello storico evento e la riunione
che si è tenuta lunedì 17 ottobre scorso presso il Dipartimento
dell'innovazione. Ma, nel nostro piccolo, possiamo ben dire che l'iniziativa di
Enrico De Giovanni, capo dell'ufficio legislativo del ministro Stanca, ha
qualcosa di rivoluzionario. Se non altro perché la "rivoluzione"
progettata dall'AIPA tra il 1996 e il 1997 si era da tempo fermata e serviva una
spinta per rimettere sui binari giusti un'innovazione che aveva visto in nostro
Paese all'avanguardia nel mondo nell'accoglimento delle tecnologie
dell'informazione nell'ordinamento giuridico. Ma soprattutto perché ha imposto
un confronto aperto su una materia che negli ultimi anni era stata oggetto solo
di conciliaboli riservati, che producevano testi "secretati" fino alla
fine dell'iter legislativo.
Il tema della "giornata di studio" erano le modifiche al Codice
dell'amministrazione digitale. Una giornata lunga e densa di interventi di alto
livello (erano presenti praticamente tutti i più qualificati esperti italiani
della materia), che ha dato al legislatore indicazioni precise, che non potranno
essere ignorate nella stesura dei decreti "integrativi e correttivi"
previsti dalla legge-delega 229/03.
Non si è parlato solo di firma elettroniche. Un punto che ha richiamato
l'attenzione di tutti i partecipanti, per esempio, è stato l'art. 3:
"Diritto all'uso delle tecnologie", che sancisce che I cittadini e
le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie
telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni centrali e con
i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente
codice.
L'opinione prevalente è stata quella di considerare questa norma non come una
mera dichiarazione di principio, ma come l'enunciazione di un preciso diritto
dei cittadini, quindi "azionabile": chi non otterrà di poter usare i
mezzi telematici nel dialogo con le amministrazioni potrà rivolgersi a un
tribunale per obbligare l'ufficio recalcitrante ad adempiere.
Naturalmente, accettato il principio, sono stati messi in discussione i
dettagli: se l'obbligo non debba essere esteso alle amministrazioni regionali e
locali, se il giudice competente sia quello ordinario o quello amministrativo...
Dettagli, appunto, che saranno prima o poi chiariti. Quello che conta è che sia
stata raggiunta la consapevolezza del fatto che l'innovazione è
"obbligatoria" e che indietro non si può ritornare.
Ma veniamo alla vexata questio delle firme elettroniche. Sono stati
affrontati, da angolazioni diverse, tutti i problemi che emergono dall'attuale
testo del Codice: dalle definizioni alla classificazione dei diversi livelli
(segnatura, firma semplice, firma qualificata), agli effetti processuali, alle
disposizioni indispensabili per rafforzare la certezza legale dell'attribuzione
della firma qualificata (su quest'ultimo punto si vedano gli interventi nel
forum del decennale di InterLex Obbligo di uso
personale del dispositivo di firma e disconoscimento del documento informatico
di Luigi Neirotti e L'uso personale del dispositivo di firma: una proposta
"di sistema" di Manlio Cammarata e Enrico Maccarone).
Tutti gli interventi sono stati registrati e De Giovanni ha accuratamente
preso nota dei suggerimenti. Ora non resta che aspettare la trasposizione della
sintesi di tanti pareri in una bozza di articolato, che dovrà essere pubblicata
appena pronta, per completare la discussione e mettere in chiaro i punti
essenziali. Sui quali non si dovrà tornare indietro.
Perché ora ci sono tutti gli elementi per scrivere disposizioni chiare,
univoche, coerenti con il nostro ordinamento giuridico e con le disposizioni
comunitarie. Non si dovrà verificare che "manine" misteriose alterino
i punti essenziali di un testo, o che considerazioni politiche rendano
incompatibili tra loro norme che fanno parte di un sistema coordinato.
Un solo esempio: nella bozza che era stata diramata (in segreto...) nel
luglio dello scorso anno era stata opportunamente inserita la definizione di
"identificazione" informatica, poi sostituita dalla
"autenticazione", con i risultati deliranti che conosciamo (vedi Nel codice il computer fa concorrenza al notaio).
Ebbene, nella riunione del 17 ottobre si è appreso che la modifica è stata
imposta dal Ministero dell'interno, che evidentemente pretende il
"monopolio" dell'identificazione dei cittadini. E di conseguenza il
monopolio di una parola di uso comune nella lingua italiana...
Nei prossimi numeri pubblicheremo le proposte più importanti e terremo
aperto il dibattito, perché le norme sull'innovazione sono una cosa seria.
Troppo seria per non coinvolgere nella loro elaborazione tutti gli esperti dei
diversi settori.
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