Suscita un vespaio di polemiche l'annunciata app per il tracciamento dei
contatti, utile per limitare la diffusione del virus Covid 19. Il guaio è che,
come accade spesso in questi casi, il chiasso dei "contro" supera le
ragioni dei "pro", anche se è fondato su confuse ragioni ideologiche
o, quasi sempre, sulla non-concoscenza della materia in discussione.
Cerchiamo, come al solito, di dipanare la matassa, esaminando le informazioni
fino a oggi disponibili. E di mettere in luce i veri problemi che sembrano
affliggere questa soluzione "europea".
Partiamo da un'ipotesi, nei fatti non realizzabile, ma che chiarisce lo scopo
dell'operazione. Se ci fosse un sistema, affidabile al cento per cento, capace
di ricostruire senza errori tutti i contatti di una persona "positiva"
nelle due settimane precedenti il contagio, se tutti questi contatti si
sottoponessero al "tampone" e se si ricostruissero anche i contatti
dei contagiati dal primo paziente eccetera eccetera, la pandemia finirebbe in un
mese.
Però sappiamo tutti che la soluzione perfetta non esiste. Tanto per
incominciare, c'è una parte della popolazione che non ha un furbofono, o non lo
sa usare quanto basta. I primi dovrebbero essere pochi, pochissimi, i secondi
possono farsi aiutare. Comunque è un limite che non può essere ignorato.
Poi ci saranno i "difetti" del software, che genererà una certa
percentuale di falsi positivi e falsi negativi. I problemi più gravi saranno
corretti con le successive versioni (che potranno installarsi automaticamente).
Qualche "baco" persisterà, come in tutti i programmi che usiamo ogni
giorno senza curarci del problema.
Ci saranno data leak e data breach che metteranno a rischio i nostri dati
personali? Non si possono escludere, come in tutte le altre applicazioni.
Queste, grazie alla crittografia by design, dovrebbero essere
particolarmente protette. Ma la sicurezza al cento per cento non esiste, dicono
gli esperti.
A questo punto dobbiamo capire i problemi che potrebbero riguardare l'app Immuni,
dalle poche informazioni disponibili fino a questo momento.
Come sappiamo, Immuni è stata scelta fra più di trecento proposte con
un'ordinanza
del commissario straordinario Domenico Arcuri. Un provvedimento praticamente
senza motivazioni: si dice solo che l'app presentata da Bending Spoons SpA è stata scelta "per la conformità al modello europeo
delineato dal Consorzio PEPP-PT e per le garanzie che offre per il rispetto
della privacy".
Si tratta ora di capire "chi è" il Consorzio PEPP-PT e in che cosa
consista il "modello europeo". Che poi non è formalmente
"europeo", dal momento che nessun ente UE lo ha definito o
semplicemente suggerito.
Il Consorzio è stato costituito ad hoc tra la fine di marzo e i primi di
aprile, in Svizzera, ed è sponsorizzato da una lunga lista di aziende, tra le
quali c'è appunto la Bending Spoons. Sul sito della quale non ci sono
informazioni dettagliate sull'applicazione, tranne il fatto che si deve
scegliere tra un'impostazione "centralizzata" e un'impostazione
"distribuita" (decentralized).
La differenza non è banale. In estrema sintesi: nel primo caso le chiavi di
crittografia sarebbero generate e distribuite da una struttura centrale, nel
secondo sarebbero generate all'interno del dispositivo dell'utente e quindi
molto più sicure contro violazioni dei dati personali (per saperne di più si
veda l'articolo di Andrea Gelpi "Immuni", la soluzione proposta è a rischio privacy?).
Sembra che lo schema "centralizzato" sia caldeggiato dal governo
tedesco, che in questo modo avrebbe accesso a dati personali dei cittadini che
non potrebbe ottenere in altro modo.
La questione "Coronavirus e privacy" è cruciale. Basta riflettere
sul fatto che anche lo schema del duo Google-Apple a chiavi distribuite (vedi Contact tracing? «Allora lascio a casa il telefonino»)
potrebbe avere conseguenze nefaste su questo piano. Infatti la presenza del
"motore" nel sistema operativo dei telefonini darebbe ai suoi ideatori
un accesso diretto ai soli dati che ora non hanno: i contatti più stretti degli
utenti, ricavabili solo con l'analisi dei dati del Bluetooth.
Non è un caso se il problema è stato affrontato dal Comitato europeo per la
protezione dei dati (EDPB) con ben due documenti: una Dichiarazione sul
trattamento dei dati personali nel contesto dell’epidemia di COVID-19 il
19 marzo e una Lettera
della Presidente del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati alla
Commissione europea sul Progetto di linee-guida in materia di app per il
contrasto della pandemia dovuta al Covid-19 il 14 aprile.
La preoccupazione è evidente, i limiti posti sembrano stringenti. Un punto
appare irrinunciabile: "il codice sorgente dovrebbe essere reso pubblico
così da permettere la più ampia valutazione possibile da parte della comunità
scientifica". Ma forse non basta.
Ora ci potremmo trovare di fronte al noto ricatto "dati personali in
cambio di servizi" in una nuova, terribile versione "dati personali
contro difesa dalla pandemia". Il che potrebbe significare che il timore
già diffuso nei confronti della nuova "app Covid-19" si traduca nel
rifiuto di adottarla da parte di una larga parte dei cittadini. L'app sarebbe
quindi del tutto inutile, perché solo il suo impiego dalla maggioranza della
popolazione (gli esperti dicono almeno il 60 per cento) potrebbe renderla
efficace.
Post scriptum. Forse le preoccupazioni sugli effetti
che potrebbe avere il contrasto alla pandemia non sono infondate. A questo
proposito può essere interessante rileggere due articoli che avevo scritto dopo
l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001: Con la scusa di combattere il
terrorismo e
Per quale libertà si combatte questa
guerra?
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