A quattro giorni dall'applicabilità del Rregolamento europeo sul trattamento di
dati personali tutti sono in ritardo. I Titolari dei trattamenti che non hanno
pronte le procedure, il legislatore che ha lasciato trascorrere inutilmente due
anni.
Paolo Ricchiuto, nell'articolo GDPR: dal Garante nemmeno i chiarimenti di base
ha messo in luce due dei tanti problemi sollevati dai ritardi del Garante per
la protezione dei dati personali. Ma sono dettagli, importanti, che danno solo
un'idea parziale della situazione. Vediamo allora un breve riassunto, dal quale
si vede che non solo il Garante è in ritardo.
Il regolamento EU 679/2016 entrato in vigore il 25 maggio 2016 (due anni fa!)
all'art. 99 paragrafo 2, dice che
"Esso si applica a decorrere da 25 maggio 2018."
Vista la situazione (che pare non riguardi solo l'Italia, ma la maggior parte
dei Paesi UE), molti si aspettano una proroga. Ma di regola l'Unione non concede
proroghe; semmai attiva procedure d'infrazione a chi non rispetta la normativa o
non si adegua secondo i tempi previsti.
Il regolamento (GDPR) cambia il modo di porsi nei confronti dei trattamenti
di dati personali e richiede la modifica di alcune parti del "Codice
Privacy italiano". Da due anni stiamo tutti aspettando indicazioni su come
il Codice si armonizzerà con il GDPR.
Il nostro Parlamento il 25 ottobre 2017, con la legge numero 163, delega il Governo ad emanare,
entro 6 mesi uno o più decreti legislativi per l'armonizzazione. I sei mesi
scadono il 21 maggio 2018, cioè oggi.
Il 29 marzo InterLex pubblica uno schema del
decreto legislativo di armonizzazione che, come si può leggere in vari
interventi, è zeppo di problemi di natura giuridica.
Il 19 aprile da varie fonti su internet si parla di un fantomatico
provvedimento del Garante, che differirebbe i controlli o l'entrata in vigore
del GDPR. Il Garante si affretta a smentire la notizia: "Nessuna pronuncia
su differimento applicazione sanzioni".
Alla fine di aprile compare in televisione uno spot del Garante, che ricorda
che il GDPR entrerà definitivamente in vigore il 25 maggio.
Il 7 maggio ancora InterLex pubblica un secondo
schema, che risolve i problemi di incostituzionalità rilevati nel primo.
Questo schema prevede che gli allegati A5 e A7 (codici deontologici) decadano
se non saranno rivisti entro 6 mesi a partire dal 25 maggio, mentre per gli
altri vengono dati al Garante 90 giorni per la revisione. Anche le
autorizzazioni generali dovranno essere riviste entro 90 giorni a partire dal 25
maggio. Non vanno poi dimenticati i moltissimi provvedimenti del Garante che
continuano a restare in vigore se non in contrasto con il GDPR (ma potrebbero
sorgere molti dubbi sull'effettiva rispondenza al testo europeo).
Ai primi di maggio lo schema di decreto viene finalmente inviato alle Camere
per il "parere" delle Commissioni (provvisorie), a pochi giorni dalla
scadenza del termine (vedi Decreto privacy, possibili tre
mesi di proroga?).
Escluso che il provvedimento possa essere approvato ed emanato dal Governo
entro la giornata di oggi, siamo di fronte a una situazione a dir poco confusa.
In particolare, non vi è ancora traccia delle certificazioni previste dall'art 42 del GDPR, né dei codici di
condotta previsti dall'art. 40.
Non risulta chiaro come si dovrà procedere con i provvedimenti del Garante che
sono o in contrasto o non perfettamente allineati con il GDPR.
In conclusione mi domando se veramente saranno solo i cittadini o le aziende
colpevoli per i ritardi nell'applicazione del Regolamento e quindi i soli ad
essere eventualmente sanzionabili.
Mio padre, cresciuto politicamente alla scuola di De Gasperi, era solito dire
che lo Stato per primo dovrebbe dare il buon esempio. Mi pare che in questa
vicenda non sia stato proprio dato il buon esempio.
Aggiungo io che un vecchio adagio dice "chi sbaglia paga". Ma in
questo caso forse non vale.
|