L’iter per la approvazione del decreto di armonizzazione tra Codice privacy
e GDPR è quasi concluso. Le Commissioni parlamentari e il Garante hanno reso i
pareri. Ora la palla passa al Governo, mentre restano molte questioni aperte.
Dovremmo dire che ci siamo.
Seppure attraverso un percorso a dir poco accidentato, torna sul tavolo del
Consiglio dei Ministri lo Schema di
decreto legislativo per l’armonizzazione, corredato di tutti i pareri
previsti dalla legge-delega 163/17: quello
del Garante, reso il 22 aprile e quelli delle Commissioni speciali del
Senato e della
Camera, pubblicati il 22 scorso.
Sono state settimane dense di audizioni (anche da parte dei soggetti più
impensati), ed è tutto sommato piuttosto miracoloso che, in un panorama così
frastagliato, le Commissioni siano riuscite a condensare in due documenti
facilmente leggibili le proprie considerazioni, alla cui lettura potremo
dedicarci nei prossimi giorni.
E ora? Se si ritiene legittima la proroga di tre mesi del termine assegnato
al Governo per l’esercizio della delega (il che, a
parere di chi scrive, continua ad esser dato un po’ troppo per scontato),
il Consiglio dei Ministri ha tempo fino al 21 agosto per emanare il decreto,
ritrovandosi in pancia un testo già riscritto rispetto a quello approvato dal
precedente Governo il 21 aprile (visto che lo schema di decreto inviato alle
Camere, come noto, è caratterizzato da una silente inversione di rotta su due
scelte fondamentali, come la mancata abrogazione del Codice e il mantenimento
della sanzione penale prevista dall’art. 167).
Staremo a vedere se il Governo ci costringerà tutti a studiare sotto l’ombrellone,
o se vi sarà una accelerazione, mai tanto necessaria.
Nel frattempo, chiunque si stia misurando con l’applicazione pratica del GDPR,
incrocia continuamente problemi di eccezionale rilievo che, orfani di un
raccordo normativo, portano alla paralisi.
Un esempio: tante aziende, in sede di assunzione dei dipendenti, chiedono il
rilascio del certificato del casellario giudiziale. Nel regime del Codice privacy,
questa pratica poteva considerarsi legittima sulla base del combinato disposto
dell’art. 27 (che prevedeva, come presupposto di liceità del trattamento di
un dato giudiziario, la esistenza di una norma di legge, ovvero la
autorizzazione del Garante), e dell’autorizzazione generale n. 7, nella quale l’Autorità
aveva abilitato questo tipo di trattamenti, purché coperti da una sponda all’interno
del contratto collettivo (CCNL) applicabile.
La partita quindi – a parte casi specifici in cui si poteva contare su una
sponda normativa – si giocava nell'analisi dei CCNL di riferimento, e poteva
condurre a ritenere legittimo o meno il trattamento, a seconda se il CCNL stesso
contemplasse o meno l' acquisizione dal casellario.
Con l’avvento del GDPR, la situazione cambia radicalmente, atteso che a
norma dell’art. 10 solo una
norma di legge può abilitare al trattamento degli ex-dati giudiziari (oggi
identificati dal legislatore europeo come "dati relativi a condanne penali
e reati"). Non può quindi più essere il Garante, con una sua
autorizzazione, a legittimare il trattamento, e l’autorizzazione n. 7 dovrebbe
quindi considerarsi di fatto inservibile, e ciò anche a dispetto del
leggendario considerando 171,
che se da un lato, è vero, fa salve le autorizzazioni fino a quando le stesse
non vengono modificate, dall’altro certo non può consentire l'esistenza in
vita di un’autorizzazione come la n. 7, adottata sulla base di un substrato
normativo del tutto incompatibile con la nuova norma dell’art. 10 GDPR.
Risultato: chi vuole richiedere il casellario giudiziale in sede di
assunzione, oggi, non può far leva sull’autorizzazione n. 7 e quindi, anche
se esiste nel CCNL applicato a quel rapporto di lavoro una norma in tal senso,
la stessa non può più considerarsi sufficiente, e l’eventuale trattamento
del dato ex-giudiziario concreta un illecito.
Potremmo fare altre decine di esempi, per rafforzare un'unica, grande
domanda: fate presto! Il più presto possibile. La "certezza giuridica ed
operativa" prevista dal considerando
n. 6, sono giornalmente messe in discussione, e se è vero che il decreto di
armonizzazione non risolverà tutti i problemi (compreso, forse, quello qui
segnalato), almeno in tanti ambiti aiuterà.
* Avvocato
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