Nuove regole e vecchi
problemi
di Manlio Cammarata - 19.06.02
Sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea sono state pubblicate quattro
direttive sul mercato delle telecomunicazioni e una decisione sull'utilizzo
dello spettro radio; un'altra direttiva sulla privacy nei servizi è in
dirittura d'arrivo, è pronta una proposta di decisione-quadro per la lotta
alla criminalità informatica. Così va in pensione buona parte delle le
direttive precedenti, dalla 90/387/CE in
poi, compresa la 97/66/CE. Si delinea un
quadro giuridico profondamente rinnovato, che imporrà anche al legislatore
italiano di porre mano a delicate e complesse "ristrutturazioni"
dell'ordinamento vigente.
In breve sono questi i punti cardine della riforma: a) viene operata una
netta separazione tra le norme sulle infrastrutture e i servizi da una parte e
i contenuti dall'altra; b) le regole sulle infrastrutture e sui servizi
convergono in un unico quadro normativo, in cui l'aspetto più evidente è
l'estensione del regime delle autorizzazioni generali anche ai settori prima
regolati con licenze o concessioni; c) sono definiti i settori di competenza
delle autorità di regolamentazione e delle autorità antitrust (in Italia
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l'Autorità garante della
concorrenza e del mercato); d) sono introdotte nuove definizioni e nuove
regole per le società che detengono una posizione di dominio in "mercati
rilevati".
Le quattro direttive pubblicate costituiscono un "pacchetto"
coordinato. A una direttiva quadro (2002/21/CE)
fanno riferimento la 2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti di
comunicazione elettronica e alle risorse correlate e all'interconnessione
delle medesime (direttiva accesso), la 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i
servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), e
la 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti
degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica
(direttiva servizio universale). In questo modo, e con l'aggiunta della
decisione 676/2002/CE, relativa ad un quadro normativo per la
politica in materia di spettro radio nella Comunità europea (decisione spettro
radio), tutto il sistema è regolato in maniera coerente (almeno in teoria...)
e senza la sovrapposizione cronologica di disposizioni diverse, che ha
determinato non pochi problemi fino a oggi. Il tutto sarà completato con la
nuova direttiva, quasi pronta, sul trattamento dei dati personali e la
protezione della riservatezza nelle comunicazioni elettroniche, che
sostituirà la vecchia "direttiva ISDN". Saranno così risolte,
almeno in parte, le annose questioni sulle comunicazioni commerciali non
sollecitate, il mail grabbing e l'invio dei cookie.
Nulla viene innovato, fino a questo momento, per quanto riguarda i
contenuti e i servizi forniti attraverso le telecomunicazioni, e in
particolare il delicatissimo aspetto del controllo dei contenuti stessi. Anzi,
il "considerando" n. 7 della direttiva quadro fa salva per gli Stati
membri la possibilità di adottare disposizioni per "consentire la
ricerca, l'individuazione e il perseguimento dei reati, anche mediante la
definizione, da parte delle autorità nazionali di regolamentazione, di
obblighi specifici e proporzionati applicabili ai fornitori di servizi di
comunicazione elettronica".
Insomma, restano in vita le disposizioni della direttiva 2000/31/CE
in materia di responsabilità dei fornitori di servizi, riprese tali e quali
nella loro confusa formulazione dall'articolo 31 della legge
39/02 (si veda l'intervento di ALCEI Provider
e responsabilità nella legge comunitaria 2001).
E' strano come a molti sia sfuggito che le disposizioni in questione sono
del tutto incoerenti con il nostro ordinamento e persino al limite della
legittimità costituzionale, perché sembrano introdurre delle ipotesi di
responsabilità penale oggettiva, in contrasto con il principio che "la
responsabilità penale è personale". Per raggiungere lo scopo di
attribuire una colpa a chi colpa non può avere (il fornitore di servizi per i
contenuti) è stato inventato dal legislatore comunitario l'istituto del
"contenuto illecito", sconosciuto e difficilmente accettabile per il
nostro diritto (e non solo il nostro). Si aggiunga che il citato
"considerando" della direttiva quadro ipotizza che questi obblighi siano addirittura
imposti dalle autorità di regolamentazione, e non per legge. C'è qualcosa
che non va, perché sembra che si tratti di responsabilità di ordine penale,
anche perché quelle civili sono specificamente considerate a parte.
Il punto centrale è che nel nostro ordinamento non esiste un principio secondo il
quale una "cosa", materiale o immateriale, può essere classificata
come legittima o illegittima. Nella nostra civiltà giuridica le leggi regolano
i rapporti tra le persone, i cui comportamenti possono essere in accordo o in
contrasto con le norme di volta in volta applicabili, quindi leciti o illeciti. Per esempio, se in
questo articolo ci fossero notizie o commenti negativi su una persona, questa
persona potrebbe adire il giudice e intentare una causa per diffamazione. Il
giudice, accertata la sussistenza della diffamazione, dichiarerebbe
illegittimo il mio comportamento, non l'articolo in sé.
Invece, con l'acritica riproduzione del confusamente subdolo dettato
comunitario, il nostro legislatore ha suggerito l'introduzione di un nuovo
concetto giuridico, quello di "contenuto illecito", che può avere
conseguenze devastanti.
Infatti la norma in questione attribuisce a un comune cittadino, il
provider, il potere di decidere se un contenuto è illegittimo, aggirando la
competenza del giudice a decidere la liceità dei comportamenti. E' una
mostruosità giuridica, che scardina il principio della certezza del diritto.
Il governo dovrà porre la massima attenzione nel formulare la norma delegata,
perché c'è il rischio che essa provochi un enorme contenzioso, del quale
faranno le spese soprattutto i provider. Se non si porrà la dovuta attenzione
a non creare disarmonie con l'ordinamento attuale, i fornitori di servizi saranno da una parte
obbligati a censurare i contenuti e dall'altra a rispondere dei danni causati
agli autori dei contenuti stessi, nel caso in cui il giudice (a cui spetterebbe
comunque la decisione finale) non ravvisasse alcun fatto illecito nella
pubblicazione di quei contenuti.
La conseguenza ultima sarà una sorta di censura preventiva da parte dei
fornitori di servizi, che rifiuteranno di ospitare sui loro server contenuti
provenienti da fonti diverse da quelle "sicure", perché in
qualche modo
istituzionalizzate o dotate di una grande forza commerciale.
Le soluzioni ci sono, anche perché per recepire una direttiva non è
obbligatorio copiarla. Il primo passo avrebbe dovuto farlo il Parlamento con
una più accorta formulazione delle legge-delega, ora è il Governo che deve
rimediare, nei limiti del possibile, con il decreto delegato.
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