Le proposte di autoregolamentazione
in Italia: un confronto
di Cosimo Pasquini - 02.02.98
Premessa
Anche in Italia l'idea dell'adozione di una
autoregolamentazione sta sempre più affermandosi come la miglior soluzione per
la definizione di quelle regole che sono alla base del funzionamento della Rete,
come hanno da tempo affermato sia il Consiglio d'Europa con la Risoluzione
del 17 febbraio 1997, sia la Commissione
dell'Unione Europea con la Comunicazione
sulla protezione dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e
informativi.
Parlare di autoregolamentazione denota un giusto approccio alla corretta visione
delle problematiche che Internet e il suo utilizzo possono creare, ma qualsiasi
tentazione di voler andare oltre, cercando di regolamentare a livello nazionale
problemi che possono essere risolti solo attraverso un accordo internazionale,
è destinato a non avere successo. La normativa comunitaria individua, tra i
compiti cui ciascun paese deve adempiere, la necessità di una più stretta
collaborazione nella lotta contro crimini come la pornografia deviante, il
terrorismo e la criminalità organizzata; per le autorità di Bruxelles tutto
ciò presuppone la necessaria partecipazione degli operatori di Internet che,
insieme a tutte le altre parti - utenti, forze investigative, autorità
giudiziarie - possono dare un reale contributo per arginare certi fenomeni. Come
ho già ricordato nel mio intervento
al convegno "LA LEGGE E LA RETE"
dell'11 novembre 1997, il concetto di autoregolamentazione ha senso solo in
contrapposizione all'intervento diretto dei singoli paesi, ognuno con la propria
normativa, e soprattutto se strettamente connesso al concetto di
"internazionalità".
Dunque, autoregolamentazione come naturale sviluppo del sistema Internet, nato
senza padroni e dove le regole sono sempre state create all'interno della Rete
stessa; questa soluzione è l'unica possibile per realizzare una normativa
efficace.
Le due proposte
Qualsiasi codice di autoregolamentazione proposto
da organismi che si dicono rappresentativi di Internet in Italia, che abbia come
scopo quello di vincolare solo la parte "italiana" dei soggetti che
utilizzano la Rete, e non sia parte di un contesto quanto meno europeo, come
raccomandato dalla stessa Commissione, non ha alcuna utilità.
Attualmente in Italia sono due le proposte principali di autoregolamentazione
dell'utilizzo di Internet.
La prima
è opera un gruppo di lavoro formatosi sotto l'egida del Ministero delle poste e
telecomunicazioni, che vede come parti redattrici le maggiori aziende italiane
del settore (Telecom, Olivetti), l'AIIP (Associazione Italiana Internet
Providers) e l'ANEE (Associazione Italiana Editoria Elettronica) . La seconda
proposta (Carta
delle garanzie di Internet), è stata
sviluppata dal gruppo di studio di InterLex, il cui avanzamento dei lavori, a
differenza della prima, è oggetto di un forum on-line, dove ciascuno può
intervenire.
Entrambe le proposte hanno come scopo quello di diffondere una corretta cultura
delle responsabilità da parte dei soggetti attivi sulla Rete, al fine di
garantire uno sviluppo equilibrato di Internet nel rispetto delle libertà e dei
diritti degli utenti. Tuttavia le differenze ci sono e non sono solo di forma,
ma investono anche punti fondamentali, ove diverse visioni della stessa
problematica possono portare a risultati diametralmente opposti.
Da un'analisi comparata delle due proposte di autoregolamentazione possono
ricavarsi una serie di punti in comune che corrispondono principalmente alle
principali problematiche che dovrebbero essere oggetto di autoregolamentazione.
Il primo punto riguarda le definizioni e la spiegazione dei principali termini
tecnici, indispensabile per poter attribuire a ciascun soggetto diritti e doveri
precisi. Basti pensare alla definizione di fornitore di servizi in Internet, in
cui possono rientrare non soltanto i soggetti che offrono connettività alla
Rete (provider), ma anche quelli che più in generale offrono servizi
di supporto (come la realizzazione di siti web): a ciascun soggetto
infatti spettano obblighi sostanzialmente diversi.
Le differenze, si possono riscontrare già dalla definizione dei soggetti
vincolati dall'autoregolamentazione.
Mentre la proposta sponsorizzata dal Ministero delle comunicazioni prevede che
"sono vincolati dal codice solo i soggetti che lo sottoscrivano", la
"Carta" di InterLex individua un automatismo, prevedendo che siano
vincolati all'osservanza delle disposizioni i soggetti, fornitori di servizi
Internet, obbligati all'iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione
ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249, articolo 1, comma 6, lettera a) n.
5).
Quest'ultima soluzione individua con certezza i soggetti che devono essere
obbligati all'osservanza delle regole stabilite; questa previsione trova
analogie con altri codici deontologici, come quello degli avvocati o dei medici.
Entrambe le professioni, infatti, presuppongono l'iscrizione all'albo di
categoria, perché il soggetto sia vincolato dal codice di deontologia
professionale .
La bozza diffusa dal Ministero individua con certezza un'altra categoria di
soggetti, per i quali "stranamente", tramite una apposita clausola di
estensione, e al contrario degli operatori che sono liberi o meno di aderire
all'iniziativa, prevede l'applicazione obbligatoria delle disposizioni del
codice attraverso l'inserimento di un'apposita clausola in tutti i contratti di
fornitura di accesso a Internet e di hosting che verranno stipulati
dagli aderenti.
Questa operazione non appare giustificabile giacché, se l'autoregolamentazione
è vista come una alternativa alla regolamentazione dall'esterno della rete, in
questo caso non solo agli utenti non si evitano imposizioni, ma si arriva al
paradosso, poiché sarebbero obbligati a sottoscrivere clausole attuative dei
propri diritti. Ma in questo modo si ha una disparità di trattamento tra la
categoria degli operatori, che avrebbero la facoltà di aderire a loro
piacimento all'iniziativa, e gli utenti che usufruiscono del servizio offerto
dai primi, che non avrebbero alcuna possibilità di scelta.
In pratica, in questa situazione i soggetti obbligati si invertono, solo che nel
primo caso l'automatismo è basato esclusivamente sulle disposizioni della legge
31 luglio 1997 n. 249, articolo 1, comma 6, lettera a) n. 5), mentre nel secondo
può apparire come una vera e propria clausola vessatoria.
Il problema della riservatezza
Altro punto fondamentale, al centro del
dibattito, riguarda le disposizioni relative all'identificazione dell'utente
(abbonato o meno) e il suo diritto all'anonimato.
Sostanzialmente entrambe le proposte prevedono che il fornitore di accesso, al
momento della stipulazione di un contratto di abbonamento, debba richiedere un
documento di identità, i cui dati saranno mantenuti riservati, e rivelati solo
all'autorità giudiziaria in esecuzione di un provvedimento motivato a norma di
legge. Da precisare che la "Carta" di InterLex prevede esplicitamente
il rispetto delle disposizioni della legge 31 dicembre 1996 n. 675.
In realtà il problema dell'anonimato non appare risolvibile neanche attraverso
lo strumento della autoregolamentazione, poiché chi volesse usare la rete per
fini illeciti non avrebbe difficoltà a utilizzare chiavi di accesso di altri
utenti, e quindi non lasciare tracce, oltre a poter sempre usare postazioni
collegate ad internet con linea diretta, come ad esempio università,
biblioteche o Internet point.
Per quanto riguarda i cosiddetti LOG (liste delle operazioni compiute da un
utente, registrate con procedure automatiche), dalla "Carta delle garanzie
di Internet" è previsto all'art. 6 che "i soggetti vincolati
all'applicazione di questa Carta registrano con procedure automatiche i soli
dati delle attività degli utenti potenzialmente idonee a causare danni,
immettere contenuti critici o commettere atti illeciti, oltre ai dati
eventualmente elencati dai regolamenti in materia di sicurezza previsti
dall'articolo 2, comma 2 della legge 31 dicembre 1996 n. 675. I LOG sono
conservati per la durata minima di un anno, salvo diversi obblighi di legge o
regolamentari".
I LOG costituiscono un punto essenziale del rapporto tra utente-abbonato da una
parte e Internet Service provider dall'altra, in quanto il primo, dando
esecuzione al contratto, cioè fornendo l'accesso in rete all'utente, viene in
possesso di moltissimi dati relativi all'utilizzo della Rete da parte di ciascun
abbonato. E' irrinunciabile il diritto di ogni utente ad essere garantito da
possibili usi impropri di questi dati (la cui elaborazione senza il consenso
dell'interessato per fini diversi da quelli per i quali sono stati raccolti
costituirebbe una palese violazione della legge 675/96 sulla tutela dei dati
personali). Stupisce in questo senso la bozza ministeriale, che non solo non
accenna alle modalità di trattamento dei LOG, ma più in generale non fa alcun
riferimento alla legge 31 dicembre 1996 n. 675 sulla tutela della della
riservatezza.
I contenuti illegali e critici
La parte più delicata, quella sui contenuti, che
a seconda dei termini usati possono definirsi illeciti e nocivi o più in
generale "critici", è affrontata dai due progetti in maniera
sostanzialmente uguale per quanto riguarda i principi, ma con notevoli
differenze per quanto riguarda l'approfondimento del problema. Il primo punto da
analizzare è su chi ricada la responsabilità dei contenuti informativi
illeciti o critici. Bisogna cioè individuare con chiarezza, i soggetti che
possono immettere materiale in Rete. Su questo punto le due proposte sono
differenti; il la bozza diffusa dal ministero prevede al punto 4a che "il
fornitore di contenuti è responsabile per le informazioni che mette a
disposizione del pubblico", ma contrariamente alla Carta di InterLex, non
specifica la differenza che vi può essere tra fornitore di contenuti inteso in
senso ampio (società di servizi, gestori di database ecc.) e fornitore
d'accesso, hosting, housing e così via.
La differenza sta nel fatto che, mentre per quanto riguarda la prima categoria
di fornitori di contenuti appare logico prevedere che siano responsabili di
quello che hanno immesso in Rete, ciò non avviene per l'altra categoria, che
non solo immette essa stessa informazioni in rete, ma offre un servizio che ha
come finalità quello di far sì che anche altri soggetti possano fare
altrettanto. In altre parole, l'Internet access provider offre la
possibilità di immettere nella Rete informazioni o contenuti su cui non è
materialmente in grado di attuare qualsiasi controllo preventivo.
Per questo, specificatamente, la "Carta delle garanzie di Internet"
prevede che "i fornitori di accesso non sono responsabili dei contenuti
provenienti dall'esterno dei propri siti, o immessi direttamente dagli abbonati
o dagli utilizzatori e non sono tenuti a impedirne la visibilità, tranne che in
osservanza di un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria", mentre
la bozza ministeriale al punto 4a si limita ad affermare che nessun soggetto di
Internet deve ritenersi responsabile, salvo che non sia dimostrata la sua
partecipazione attiva all'elaborazione di un contenuto.
Ma il principio, oramai generalmente riconosciuto, della non responsabilità del
fornitore di accesso per i contenuti immessi da abbonati o da chi intrattiene un
rapporto contrattuale di hosting o di housing, non significa
immunità assoluta. Il provider dovrebbe sempre avere la certezza del nome del
soggetto che ha effettivamente immesso il materiale critico, in modo di fornirlo
all'autorità giudiziaria nel caso fosse rilevata la commissione di reati, ma
anche per tutelarsi sotto il profilo della responsabilità civile, dimostrando
di avere ottemperato a tutte le "condizioni minime" di controllo sugli
accessi.
Ma in realtà il problema non investe soltanto l'identificazione dei
responsabili dell'immissione di contenuti informativi illeciti o dannosi, ma
l'individuazione di chi debba decidere quale contenuto sia illecito o dannoso e
quale no, di chi debba poi esercitare il controllo. e con quali strumenti
Per quanto riguarda il problema della selezione dei contenuti, una prima
risposta si può ottenere subito: è chiaro che la definizione dei contenuti
illeciti, cioè illegali, deriva dalla stessa legge penale, che individua le
fattispecie previste come reato. Appare evidente che in nessun caso un qualsiasi
codice di autodisciplina degli operatori del settore può sostituirsi alla legge
e definire altri tipi di comportamento che meriterebbero di essere perseguiti
penalmente. Semmai qui il problema sta, come prevede la bozza ministeriale,
nell'obbligatorietà o meno della denuncia all'autorità preposta
all'intercettazione di materiale illegale presente in un server italiano. Se,
quindi, informazioni illecite, come quelle dal contenuto diffamatorio o
contrario al buon costume, non hanno bisogno di alcuna specifica individuazione
perché già previste dalla legge come reati , il problema si pone per le
informazioni critiche, la cui diffusione non è vietata dalla legge, ma il cui
contenuto potrebbe essere non adatto ai minori, o più in generale offensivo per
alcune categorie di soggetti adulti.
Il problema di tutelare prima di tutto i minori, deve essere tenuto in
considerazione in maniera differente da quello dei contenuti potenzialmente
offensivi di una parte di pubblico adulto. Su questo punto le due proposte
adottano soluzioni differenti.
La bozza ministeriale prevede, al punto 6, che ciascun fornitore di contenuto
classifichi il proprio materiale secondo uno standard scelto dal Comitato
Attuativo del Codice. In realtà l'applicazione della cosiddetta etichettatura
del materiale in rete non è così efficace come potrebbe a prima vista
sembrare, perché a uno standard scelto dal Comitato Attuativo del Codice
potrebbe corrisponderne un altro usato da fornitori che, come il codice stesso
prevede, in quanto non aderenti non sarebbero obbligati né a classificare il
loro materiale in rete, né tanto meno a seguire lo standard imposto dal Codice.
Oltretutto, non lasciare libera scelta nel valutare il proprio materiale, ma
condizionare l'immissione di informazioni ad una loro etichettatura, non può
che dar luogo ad una sorta di censura preventiva, perché qui non si tratta di
materiale illegale, quindi vietato dalla legge, ma di contenuti critici, la cui
circolazione in Internet deve prescindere da una valutazione a priori di
qualsiasi soggetto o standard classificatorio.
Correttamente, la "Carta" proposta da InterLex ha scelto la strada di
favorire il più possibile la selezione da parte dell' utente, promuovendo l'uso
di appositi software di filtraggio. In questo modo l'utente, oltre a essere
sensibilizzato e responsabilizzato, sarebbe in grado da solo e volontariamente
di decidere che tipo di "lista" scegliere, senza che nessun soggetto
esterno o interno alla Rete decida a priori sulla valutazione dei materiali
reperibili in Internet.
In questo modo sarebbe garantita la piena libertà di espressione e la libera
circolazione delle informazioni, e al fornitore d'accesso resterebbe il compito
del di informare gli abbonati dell'esistenza di appositi software di filtraggio
e fornire, su richiesta, la necessaria assistenza.
Per quanto riguarda gli organismi di attuazione e controllo ci sono notevoli
differenze tra le due proposte: ambedue le bozze prevedono due distinti
organismi, con la non trascurabile differenza che nella "Carta" di
InterLex sono eletti con procedure democratiche e non "autonominati",
come di fatto prevede la bozza ministeriale. Questa è la parte che dovrà
essere rivista con maggiore attenzione.
Conclusioni
La comparazione di quelle che senz'altro sono le
due proposte più importanti nell'ambito del problema dell'autoregolamentazione
degli operatori di Internet, non ha solo lo scopo di offrire possibili spunti
per quello che prima o poi sarà il codice di autoregolamentazione degli
Internet provider italiani, ma è soprattutto l'occasione per per rimarcare la
necessità di definire regole chiare e soprattutto applicabili.
Le fattispecie sopra analizzate, come appunto l'individuazione dei soggetti
vincolati, la responsabilità del provider, il problema dell'anonimato, i
contenuti illegali o critici e la loro selezione, regolate in maniera differente
dalle due proposte, comportano problematiche che vanno oltre i confini
nazionali.
Disciplinare e cercare di inquadrare i contenuti di Internet è comunque un
problema che non può trovare la soluzione in nessuna proposta isolata; troppo
evidente è la distanza che separa qualsiasi disciplina nazionale e la natura
transnazionale di Internet. Un fatto vietato in un paese potrebbe non esserlo in
un altro, e i paesi collegati a Internet sono più di 140; si capisce come sia
facile non tenere conto di codici, carte, proposte che si sforzino di cercare la
soluzione all'interno dei confini nazionali. Se qualcosa fosse vietato da una
futura normativa di autodisciplina, Internet darà sempre la possibilità di
aggirare il divieto e di ottenere lo stesso risultato in un paese diverso,
giacché in Internet di fatto non esistono confini e in molti casi non rileva il
luogo dal quale un soggetto si collega.
Un codice deontologico degli operatori in Internet non può non tenere conto di
questa prerogativa di Internet, anzi non ne può prescindere in nessun modo,
pena la sua inutilità.
Entrambe le proposte, che pur si candidano ad essere il presupposto per una
futura autoregolamentazione degli operatori, tendono quindi a incidere su
argomenti che per certi versi esulano dalla loro competenza. Non bisogna
dimenticare che lo scopo di tutte le proposte e quello di tutelare l'utente. Ma
tutelarlo da che cosa? Dai pericoli della rete o dai possibili abusi nel
rapporto contrattuale che intercorre tra operatori e clienti?
Nella parte, dedicata alle finalità del codice, la bozza diffusa dal Ministero
parla di "fornire agli utenti della rete strumenti informativi e tecnici
per utilizzare più consapevolmente servizi e contenuti", come se l'utente
non fosse in grado da solo di decidere come consultare e sfruttare la Rete e le
sue potenzialità. Ma tramite la clausola di estensione, più che fornire
vorrebbe vincolare qualsiasi abbonato che, è bene ricordarlo, non solo è
fruitore di informazioni, ma può lui stesso esserne fornitore Rete. E ciò deve
avvenire nella più completa libertà, e non secondo parametri stabiliti a
priori da un codice degli operatori.
Che dopo un codice di autodisciplina degli operatori ci voglia anche una carta
dei diritti dell'utente di Internet?
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