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 Telecomunicazioni

Urbane, interurbane, circuiti diretti: dov'è il freno allo sviluppo?
di Manlio Cammarata - 18.12.98

"Tut? Parliamone ancora un po', per favore", scrive Vittorio Zambardino nel supplemento alla Repubblica di giovedì scorso, 17 dicembre.
Sì, parliamone, e cerchiamo di mettere le cose in chiaro, ricordando che la polemica ha preso vigore in seguito alla modifica della proposta iniziale contenuta nel "collegato" alla legge finanziaria - poi sostanzialmente modificata - che prevedeva quattro ore al giorno di collegamento gratuito per le utenze domestiche.

Le obiezioni che si possono muovere al vecchio e al nuovo testo sono espresse anche nell'intervento del senatore Semenzato "Internet come servizio pubblico". Si possono discutere alcune affermazioni contenute nell'intervento, ma è meglio andare alla sostanza della campagna "NO TUT", cercando di fare un discorso serio e guardandosi dalla facile demagogia implicita nella rivendicazione di "Internet gratis".

A prima vista sembra che l'abolizione della TUT per la connessione all'internet possa avere effetti benefici sullo sviluppo della rete. Ovviamente, anche se nessuno lo dice, dovrebbero essere gratuiti anche i collegamenti che oggi sono in teleselezione. Ma proprio su questo punto si verifica il primo intoppo.
Il fatto è che la possibilità di chiamare in ambito urbano "senza scatti" è una caratteristica del mercato degli Stati Uniti, dove molti operatori offrono il servizio telefonico locale con il pagamento del solo canone di abbonamento. Quindi anche la connessione a un ISP locale non è soggetta a un addebito a tempo. Diverso è il caso della long distance, in genere offerta da un operatore diverso da quello locale, ma è difficile che un americano non abbia un buon provider in città, e quindi il problema della lunga distanza non si pone.

Dal punto di vista economico, per gli operatori di telecomunicazioni potrebbe addirittura essere più conveniente offrire il servizio di telefonia con una formula flat, cioè coprendo con il canone tutti i costi, piuttosto che con la formula "canone più scatti". Infatti, secondo molti esperti, il costo della registrazione e della fatturazione di tutte le chiamate con la tariffa a tempo è superiore a quello dell'esecuzione del collegamento (naturalmente se la tariffa è ragionevolmente bassa), sicché l'operatore guadagna di più se non fa pagare gli scatti! Ma se, come accade in Italia, la TUT è alta, il discorso cambia, perché l'introito della tariffa a tempo è una voce fondamentale del bilancio di Telecom Italia.
Di conseguenza l'abolizione degli scatti comporterebbe fatalmente l'aumento del canone, pena il dissesto del nostro principale operatore di telecomunicazioni. Inoltre si penalizzerebbe soprattutto chi telefona di meno, e cioè le fasce meno abbienti della popolazione. Il fatto che la TUT sia cara in relazione al reddito medio degli utenti del telefono è un altro discorso, che deve comunque essere affrontato (altro che aumenti, come quelli che ci aspettiamo da un giorno all'altro!).

La proposta che oggi viene da più parti avanzata riguarda invece l'abolizione della TUT solo per le connessioni a Internet, come "incentivo" all'uso della Rete. Ma si dovrebbe parlare di non abolizione della "tariffa urbana a tempo", ma di abolizione degli scatti, anche per i collegamenti in teleselezione: gli utenti più svantaggiati, in Italia, sono quelli che non hanno un provider efficiente nell'area telefonica in cui risiedono, ma non si possono permettere il collegamento in teleselezione a chi fornisce un servizio migliore. L'introduzione della "tariffa di prossimità" (vedi "Eliminare gli squilibri è la prima delle agevolazioni" sul numero scorso) risolverebbe il problema, di fatto se non in linea di principio.

Ma torniamo all'internet "senza scatti". Che cosa accadrebbe se la proposta fosse approvata, magari nella forma superficialmente ipotizzata dal disegno di legge in discussione?
La prima conseguenza sarebbe un sensibile allungamento dei tempi di connessione da parte degli abbonati. Chi oggi si collega per mezz'ora o un'ora al giorno potrebbe restare attaccato per due o tre ore, addirittura per l'intera giornata. Se consideriamo che oggi il tempo medio di collegamento di un utente italiano è inferiore a mezz'ora, le quattro ore previste dalla prima versione del disegno di legge farebbero aumentare fino a otto volte la media attuale.
Ora si deve considerare che ogni provider determina le dimensioni del suo sistema (linee entranti, numero di modem, circuito di interconnessione alla rete pubblica, router eccetera) sulla base del numero totale degli abbonati, di quanti di essi si collegano contemporaneamente nei periodi di picco e del tempo medio di collegamento. Con la dilatazione dei tempi conseguente alla mancanza della TUT, il provider dovrebbe aumentare di parecchie volte le risorse investite nel sistema e quindi i suoi costi sarebbero molto più elevati. Dunque dovrebbe aumentare il prezzo dell'abbonamento o applicare a sua volta una tariffa a tempo.
E con questo si tornerebbe al punto di partenza: il vantaggio dell'eliminazione degli scatti addebitati dall'operatore di telecomunicazioni sarebbe annullato dagli scatti del fornitore del servizio, o dall'aumento del canone di abbonamento.

Non dimentichiamo che in Italia il prezzo medio di un abbonamento via commutata si aggira intorno alle 300.000 lire/anno, mentre negli USA è più alto di circa il 25 per cento. Ma il provider americano paga l'interconnessione alla rete pubblica una modesta frazione dell'importo oggi pagato dal suo collega italiano. Soprattutto a causa di questa componente della struttura dei costi, il margine di guadagno di un provider italiano - quando c'è - non consente di sostenere un aumento dei tempi di connessione da parte degli abbonati senza scaricarne il maggior costo sugli abbonati stessi.

Pura aritmetica. Fare due conti e concludere che l'abolizione della tariffa a tempo comporterebbe l'aumento dei prezzi degli abbonamenti non significa far parte degli "insospettabili nemici dello sviluppo della Rete", come scrive Zambardino nell'articolo citato all'inizio. Significa solo non voler consegnare l'intero mercato italiano degli accessi all'internet nelle mani di Telecom Italia, con tutte le conseguenze negative che possono derivare dall'instaurazione di un nuovo monopolio di fatto.
D'accordo sul fatto che può essere una "grande castroneria" (cito sempre Zambardino) distinguere tra l'uso ludico e l'uso "serio" della Rete, ma lo è anche abbracciare proposte superficiali e demagogiche, che non tengono conto della reale situazione del mercato dell'internet in Italia.

Se si vuole incentivare l'uso della Rete attraverso la leva economica è necessario:
a) applicare una tariffa unica indipendentemente dalla distanza tra abbonato e provider:
b) stabilire, per questa tariffa, un livello sensibilmente più basso di quello dell'attuale TUT;
c) diminuire drasticamente il prezzo dei circuiti diretti, portandolo ai livelli degli altri paesi sviluppati.

Un'ultima osservazione: anche l'agevolazione per i collegamenti di lunga durata che dovrebbe essere determinata dall'Autorità per le garanzie, secondo la proposta contenuta nel collegato alla legge finanziaria, non soddisfa: resterebbero penalizzati tutti gli utenti, soprattutto professionali, che si collegano diverse volte nella giornata, per brevi periodi. A ben guardare, la proposta favorisce ancora una volta Telecom Italia, che continuerebbe a incassare scatti su scatti per i collegamenti brevi e vedrebbe aumentare i collegamenti di lunga durata.

Ma, come abbiamo detto più volte, le agevolazioni tariffarie non bastano. Occorre una politica complessiva fatta di alfabetizzazione telematica, di stimolo alle piccole e medie imprese e soprattutto di attenzione ai contenuti.
Anche una migliore qualità dei collegamenti, oggi spesso afflitti da lunghi tempi di attesa, potrebbe costituire un incentivo allo sviluppo. Ma questa passa anche e soprattutto attraverso la riduzione del costo dei circuiti diretti. Che non sarebbe un'agevolazione, ma il semplice adeguamento alle condizioni del mercato globale delle telecomunicazioni.