Abstract. Evitando il ricorso a uno scontato cahier de
doléances, l’articolo recupera i principi generali dell’azione
amministrativa per dimostrare – mediante argomentazioni giuridiche e
organizzative – quanto l’archivio sia uno strumento imprescindibile per il
raggiungimento di quei fini e, di conseguenza, quanto sia strategica la presenza
di un archivista professionista in organico.
1. La percezione dell’archivio tra luoghi comuni e
principi di efficacia, efficienza ed economicità
Chiunque abbia lavorato in archivio – non importa se nel corrente, nell’archivio
di deposito, nello storico o all’ufficio protocollo – ha certamente provato
anche sentimenti di sorpresa, di impotenza e di scoramento. Si tratta di
sensazioni provocate in primo luogo dalla bellezza inaspettata del lavorare in
archivio, ma poi dalla consapevolezza che il proprio lavoro, ossia l’applicazione
cosciente e sistematica dei principi archivistici, è certamente sottostimato da
parte di colleghi, dirigenti e politici.
Tuttavia, quest’intervento non vuole essere l’ennesimo e sterile cahier
de doléances. Tutt’altro. Desideriamo, infatti, porre l’accento su uno
degli aspetti meno considerati e inerente alla rilevanza economico-finanziaria
dell’archivio nelle organizzazioni pubbliche e private.
La spensierata leggerezza con cui negli enti pubblici – in misura minore in
quelli privati – attribuiscono competenze archivistiche a personale da
convertire a un ruolo molto delicato e professionalmente affascinante, sembra un
fenomeno sempre più diffuso.
La cultura del mero adempimento della segnatura di protocollo o dello
spostamento di qualche faldone in un archivio visto come un locale zeppo di
scaffalature, altro non è che lo specchio dell’approssimazione generale con
cui nella realtà, verrebbe da aggiungere "concreta" per rimarcare la
distanza dalla virtualità di regole e disposizioni interne, sono state trattate
le questioni della gestione documentale. Un’approssimazione figlia della
superficialità con la quale troppo spesso sono procrastinati gli adempimenti
normativi a essa collegati.
2. Arriva in sordina, ma diviene presto indispensabile per l’applicazione
di alcuni sani principi
Tra le professioni non ordinistiche, l’archivista è una figura poco
presente negli enti pubblici. La tenuta in ordine delle carte pare un’esigenza
poco sentita. La figura dell’archivista, inoltre, è percepita con diffidenza,
salvo poi apprezzarla e considerarla imprescindibile non appena si disvela la
sua utilità, di natura pratica e quotidiana, ma soprattutto
economico-finanziaria.
Per le amministrazioni pubbliche il concetto di economicità è molto
chiaro da oltre un quarto di secolo. La legge 241/1990, infatti, lo ha inserito
tra i principi generali dell’azione amministrativa ed è divenuto talmente
consolidato in giurisprudenza da configurare come illegittima qualsiasi
attività amministrativa anti-economica. Gli altri due principi fondamentali
posti a baluardo della corretta azione amministrativa e declinati nel nostro
ordinamento giuridico unitamente all’imparzialità, la trasparenza e la
pubblicità – sono l’efficacia e l’efficienza.
L’approccio archivistico alla gestione documentale, visto dalla prospettiva
del risparmio di tempo e di denaro nel cercare documenti stoccati in maniera
frettolosa e disordinata, è cosa tanto nota quanto sistematica. In questo
senso, il documento diviene un oggetto informativo non più isolato, ma
inscindibile dalla rete di relazioni che ne determinano il valore funzionale e
probatorio. In altre parole, viene posta attenzione alle modalità di gestione
ordinaria, alle prassi, alle soluzioni elaborate considerando centrale il
documento e la sua dimensione aggregata: il fascicolo. Inoltre, verrebbe da dire
per complementarietà, un approccio simile è per intrinseca natura trasversale
al ciclo di vita dell’archivio, dal corrente allo storico. In questo modo si
ottiene una visione "oltre" la gestione ordinaria, che configura la
memoria dell’ente.
Traducendo nella quotidianità questi principi, a cui gli archivisti sono
tradizionalmente fedeli, si ottiene un interessante elenco di argomentazioni
spendibili con i vertici politici, dirigenziali o con i colleghi per motivare la
necessità di avere e di mantenere i documenti in ordine grazie a un archivista
professionista in organico.
Ricordando le principali normative in materia, il DPR 445/2000, art. 61, e il
D.Lgs. 82/2005, art. 44, non si può pensare che una professionalità delicata e
complessa come quella dell’archivista possa essere generata in modo forzato
dalla riqualificazione, talvolta nemmeno formata, di un dipendente con comuni
conoscenze amministrative. È bene ricordare che risulta indispensabile un
percorso di formazione universitaria o delle Scuole di archivistica, paleografia
e diplomatica annesse agli Archivi di Stato. Il personale interno, individuato
dal top management come "Responsabile della gestione documentale" o
"Responsabile della conservazione" deve seguire una serrata formazione
professionale anche tramite corsi e"per-corsi" dedicati, organizzati
dalle associazioni di categoria o dagli attori istituzionali. Come per qualsiasi
professionalità, non ci si improvvisa archivisti dall’oggi al domani con
provvedimento dirigenziale: la formazione è una cosa troppo seria per essere
sopravvalutata da "superiori esigenze dell’ente".
3. Un archivista salva la vita
Innanzitutto, partendo dalla dimensione dell’archivio corrente, annoveriamo
un aumento della qualità del lavoro. Attraverso l’applicazione delle regole
dell’archivistica si uniformano le prassi di gestione documentale. Lo
strumento di lavoro "documento" per l’archivista ha un’identità
specifica e la sua gestione deve seguire delle regole precise e condivise dalla
creazione alla fascicolatura. Ciò comporta la conseguente possibilità per l’operatore
di attingere a informazioni e documenti di pratiche correnti e pregresse, anche
nel caso in cui chi cerca non sia l’autore o lo scrittore, con facilità e
immediatezza e nel rispetto del principio di efficienza.
Se si passa alla fase di deposito, parlare di vantaggio economico diventa
pressoché pleonastico. I documenti cartacei occupano spazio fisico e richiedono
locali dedicati, con un costo di allestimento e di manutenzione, quando
addirittura non si deve locare un immobile per contenerli1. In Italia, anche a
causa del digitale liberamente applicato, abbiamo prodotto quantità sempre
maggiori di carta, spesso in stampe inutili. Ebbene, la memoria selezionata è
un principio cardine dell’archivistica: non si conserva tutto a oltranza e in
modo confuso o accatastato, ma si effettua una selezione rigorosa. In altre
parole, si conserva solo ciò che giuridicamente, tecnicamente o storicamente
viene dichiarato meritevole di essere conservato.
Lo scarto, al pari dello sfoltimento in itinere, permette risparmi
finanziari sul fronte economico-patrimoniale, in applicazione del principio di
economicità.
Spesso i funzionari – in particolare quelli degli uffici tecnici – sono
riottosi a eliminare dai fascicoli le bozze di lavoro. E il dirigente,
pusillanime se non addirittura pavido, che giustifica con un’insussistente
"prudenza" la conservazione indiscriminata in luogo di quella
qualificata, può essere censurato dalla Corte dei Conti. Un archivio ordinato e
selezionato per la conservazione permanente salva la vita, grazie a un evidente
e sostanziale vantaggio economico2.
Questo discorso vale, anche se con un impatto economico minore, ma maggiore
in termine di chaos informativo, anche per gli archivi di deposito
digitali. Mantenere server traboccanti di documenti che hanno esaurito la
propria funzione amministrativa e non hanno alcun valore giuridico o storico, ha
un costo in termini di mantenimento di hardware, di software e di costi di
riconversione del personale.
4. Un archivista sa applicare i principi di trasparenza e di imparzialità
A proposito dell’ultima conseguenza descritta, è noto che l’aumento dell’entropia
documentale causa scarsa efficienza oltre che minore trasparenza3.
Di contro, un archivio ordinato è esso stesso sinonimo di trasparenza e
garanzia del bene della vita4.
Il principio di trasparenza, o forse meglio l’obiettivo di
trasparenza, su cui molto insiste il legislatore europeo, ben si coniuga con il
principio di imparzialità, cioè dell’archivio inteso come terza
parte neutrale e affidabile, garante addirittura, secondo una felice
espressione del governo degli Stati Uniti, della stessa democrazia5.
L’archivista rappresenta il professionista ideale per porre un argine a
questa forma di disordine documentale crescente, manifestatosi sia in ambito
cartaceo, sia in ambiente digitale, dove gli archivi risultano, nella maggior
parte dei casi, abbandonati nelle mani di operatori che tendono a ridurre il
documento al supporto che lo veicola6.
Strutturare e gestire il complesso dei documenti (intesi in senso
archivistico, e non giuridico) prodotti da un ente applicando la disciplina
archivistica significa garantire una maggior efficienza nel mantenimento e nel
recupero delle informazioni ai fini dell’evidenza giuridico-probatoria,
fiscale e di trasparenza. Essere in grado di esibire in tempi rapidi un
documento o l’insieme di informazioni veicolate da documenti, di fatto
disinnesca potenziali forme di contenzioso e consente di dimostrare la coerenza
del proprio operato in qualsiasi momento.
5. Il valore culturale senza retorica
Da ultimo, ed entrando nell’ultima fase di vita dell’archivio, di fronte
a un politico o a un dirigente si può citare la possibilità di utilizzare la
memoria dell’ente a fini di marketing. La storia di un prodotto o di un
marchio è sinonimo di qualità e di affidabilità, che tende ad affascinare il
potenziale consumatore. Ciò si traduce in una maggior commerciabilità del
brand e dei prodotti collegati.
Gli archivi soffrono di un eccesso di retorica culturale. Troppo spesso,
infatti, noi archivisti affrontiamo il management o la governance facendo leva
sull’innegabile valore culturale degli archivi. Si tratta di un errore
tattico. Un dirigente, invece, può ignorare l’archivio come bene culturale
semplicemente per una sensibilità che non ha, ma di certo non può giustificare
la propria ignoranza normativa sui principi di efficienza, trasparenza ed
economicità. Il resto viene da sé.
Non è un caso che la sciagura istituzionale si sia verificata dopo il
passaggio dell’amministrazione archivistica dal Ministero dell’interno
quello dei beni culturali. Nel 1974-1975 vi furono grande fermento e grandi
aspettative, poi naufragate quasi tutte proprio a causa della latenza percettiva
sui beni culturali (biblioteche, monumenti, paesaggio e archivi) in Italia.
Bisogna sapere sfruttare l’archivio anche come bene patrimoniale e volano
economico. Questo aspetto è noto da tempo alle imprese che in molti casi hanno
valorizzato i propri archivi, detti appunto archivi di impresa, non solo in nome
del valore culturale, ma anche del valore economico-finanziario, se mai abbia
senso scindere i due ambiti. Si pensi alla Fondazione Pirelli e al suo
bellissimo archivio fotografico, alla Fondazione Dalmine, oppure agli archivi
della moda, all’Archivio storico della Perugina, etc7.
Le motivazioni che abbiamo elencato esulano dal valore culturale dell’archivio,
che rimane intrinseco e imprescindibile fin dalla sua nascita, ma troppo spesso
caricato di retorica che non fa presa sui dirigenti o sui politici. Il valore
amministrativo gestito correttamente si traduce in un investimento strettamente
economico. Questa potenzialità si aggiunge alla dimensione culturale non
togliendole nulla, anzi completandola e conferendole un quid in più.
6. Conclusioni
Concludendo, la speranza che accompagna il gruppo di irriducibili archivisti
professionisti, usciti da un sistema di formazione irto di ostacoli che
scoraggia i meno motivati, oltre che tanti coscienziosi colleghi che
giornalmente saggiano l’importanza di sapere e di poter utilizzare al meglio i
documenti come strumenti di lavoro, è che si affrontino in modo sistematico e
sistemico i problemi legati alla gestione documentale, che si investa in queste
competenze dotando l’ente di personale adeguato, incentivando i comportamenti
virtuosi. Tutto ciò non in nome di principi normativi o vaghi doveri, ma
perché si lavora meglio e si risparmiano soldi pubblici.
In buona sostanza, l’archivista in organico è l’unica garanzia – reale
e concreta – dell’applicazione sostanziale dei principi di efficacia,
efficienza, economicità, imparzialità, pubblicità e trasparenza così come
declinati tra i principi generali dell’attività amministrativa dalla legge
241/1990 e dal D.Lgs. 33/2013. Vero è che l’archivista degli anni 2000 deve
avere un approccio digitale, aperto verso il mondo tecnologico e pronto ad
aprirsi verso il mondo digitale, non rimanendo rinchiuso nella pur affascinante
memoria analogica. Per questo, la formazione deve essere continua a fronte non
solo dell’evoluzione normativa, ma anche della rapidità dell’evoluzione
tecnologica, a fronte dei due più importanti concetti espressi dalla dottrina:
il vincolo archivistico e il principio di provenienza.
Da qui discende la necessità inderogabile di un archivista professionista in
organico per gli enti pubblici e per le imprese di medio-grandi dimensioni.
1. In merito si veda l’interessante
indagine condotta dalla Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla
gestione delle amministrazioni dello stato, Gli archivi di deposito delle
amministrazioni statali e la spending review, di cui alla Deliberazione 30
dicembre 2015, n. 17. Si veda G. Penzo Doria, Gli archivi di deposito e la spending review nella relazione
della Corte dei Conti, Forum PA, 17 febbraio 2016.
2. L’esperienza di chi scrive, maturata
durante interventi di selezione, è che la percentuale di documentazione a
conservazione illimitata si aggira dal 20% al 40% del totale di quella prodotta;
la documentazione che ha un periodo di conservazione lungo, ma non illimitato
(20-30 anni), è meno del 10%. Ciò significa che, approssimando, circa il 70%
della documentazione prodotta deve essere conservata per non più di 5-20 anni.
Trascorso questo, tutto sommato breve, lasso di tempo, la documentazione può
essere potenzialmente scartata, a condizione però di averla correttamente
individuata con appositi interventi di selezione e previa autorizzazione degli
organi di vigilanza (Soprintendenze) o di sorveglianza (Archivi di Stato). Per
un esempio, si veda http://www.unipd.it/archivio/progetti/cartesio/scarto1998/SCARTO.HTM
3. Nella teoria dell'informazione si indica
come entropia quanto è d'impedimento alla chiarezza e univocità del messaggio;
maggiore è l'entropia, minore è la quantità di informazione. Questo principio
è in effetti perfettamente applicabile anche al mondo della gestione
documentale.
4. G. Penzo Doria L’archivio come
"bene della vita", «Scrinia. Rivista di archivistica,
paleografia, diplomatica e scienze storiche», V/1-3 (2008), pp. 21-37,
scaricabile da http://www.procedamus.it/materiali.html.
5. Ibidem, pp. 27-28, in particolare
nota 13.
6. La saggezza popolare racchiude in un
detto il semplice principio per cui ogni mestiere richiede preparazione
qualificata: A ogni ofelè el so mestè - Ognuno faccia il proprio
mestiere.
7. Si veda il sito Museimpresa al link http://www.museimpresa.com/
(link attivo al 4 ottobre 2017).
* Archivista dell’Università degli studi dell’Insubria
** Direttore generale dell’Università
degli studi dell’Insubria
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