Il caso dell’Anagrafe Unica (l’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente -
ANPR) è uno degli esempi più vistosi che esprime in sé tutti i mali che
affliggono lo spinoso percorso di modernizzazione del Paese attraverso la
digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni.
Perché l’Italia non diventa digitale? E prima ancora, ma siamo sicuri che
l’Italia voglia veramente diventare digitale?
È quello che ha cercato di capire la Commissione Parlamentare d’Inchiesta
sul livello di Digitalizzazione e Innovazione delle Pubbliche Amministrazioni,
presieduta da Paolo Coppola (PD), i cui risultati sono stati oggetto, la scorsa
settimana, di un interessante confronto presieduto dal prof. Donato Limone
che si è tenuto presso il CNEL.
L’intervento di apertura del parlamentare del PD, all’evento promosso da Unitelma-Sapienza
e SNAD (Scuola Nazionale Amministrazione Digitale), è stato una
triste elencazione di occasioni a tutt’oggi mancate, con l’indice puntato su
precise circostanze, di cui una più pesante delle altre:
"…Si ha la sensazione – ha specificato l’on. Paolo Coppola
– che la digitalizzazione venga percepita come una potente arma contro la
corruzione e come tale venga osteggiata da forti settori della stessa dirigenza
della Pubblica Amministrazione".
Inevitabile che uno degli argomenti toccati dal confronto presso il CNEL
fosse quello dell’Anagrafe Unica, meglio conosciuta come Anagrafe
Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), da tutti considerata
come il tassello imprescindibile per l’integrazione dei sistemi informativi
pubblici e la semplificazione dei processi amministrativi, il punto di passaggio
obbligato per favorire e sostenere il processo di digitalizzazione della PA e
pertanto il miglioramento dei servizi a cittadini, imprese e pubbliche
amministrazioni, riducendone i costi. Insomma la "madre di tutte le
battaglie", senza la quale si potranno solo effettuare digitalizzazioni
a macchia di leopardo e pertanto del tutto inutili, oltre che dispendiose.
Primo incarico per la realizzazione dell’ANPR a Sogei, possente
in-house sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
responsabile delle operazioni e del disegno unitario.
Un progetto importante che deve coinvolgere gli oltre 8.000 Comuni italiani,
ciascuno dei quali dispone di un proprio database che non comunica con gli
altri, perché sino ad ora ha prevalso la cultura dei cento campanili e
inevitabilmente l’interesse a gestire in proprio gare pubbliche per la
distribuzione di risorse indirizzate alla realizzazione di strumenti informatici
spesso obsoleti e realizzati una sola volta da società fornitrici che lo hanno
venduto tante volte come se fosse un pezzo unico (fatte salve le marginali
personalizzazioni eventualmente richieste).
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la incomunicabilità dei sistemi da
un Comune all’altro e tra il Comune e gli altri enti pubblici del proprio
territorio, con almeno l’1% della popolazione (almeno 600.000 persone) marcato
da dati incongruenti da un’amministrazione pubblica all’altra.
Da qui l’esigenza di creare un’unica banca dati nazionale nella quale
far confluire i dati anagrafici di tutti i residenti in Italia e degli italiani
residenti all’estero (registrati all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero
– AIRE).
Secondo la legge istitutiva del progetto, la migrazione dei dati da tutti i
Comuni italiani alla nuova banca dati unica dell’ANPR avrebbe dovuto
completarsi entro la fine del 2016, ma a quella data un solo Comune italiano era
entrato in ANPR, quello di Bagnacavallo in provincia di Ravenna (17.000
abitanti).
Le ragioni del ritardo, ora possiamo dirlo, vanno ricondotte anche (e forse
in misura determinante) alle resistenze degli apparati degli enti locali, come
ampiamente registrato e denunciato nel corso dei lavori della Commissione
Parlamentare. Verrebbe voglia di chiedersi quali misure abbia preso di fronte a
tali resistenze il Ministero dell’Interno o quali azioni abbia promosso
ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani). Le ragioni, si sono
sperticati in tanti a dire, dipendono anche dalla scarsa competenza digitale dei
dipendenti, dalla scarsa alfabetizzazione ed altre amenità del genere.
Non uno che abbia puntato il dito sulla inequivocabile mancanza di volontà
della maggior parte dei dirigenti della PA, sul deficit di decisioni capaci di
imporre nuove procedure dall’alto, sull’ atavica manchevolezza della classe
politica e delle sue classi dirigenti nell’assumersi ogni responsabilità sui
processi di trasformazione di cui dovrebbe detenere inevitabilmente il timone.
Ora la direzione del progetto ANPR è passata (dallo scorso gennaio) sotto la
guida del Team per la Trasformazione Digitale guidato dal Commissario
Straordinario al Digitale Diego Piacentini.
Il Team dichiara sul suo sito i 10 Progetti su
cui lavora e il primo di essi è proprio l’ANPR.
Nell’ultimo aggiornamento pubblicato il 31
luglio scorso, Il Team parla di 10 Comuni attivi in ANPR, 720
Comuni in fase di pre-subentro e 2.000 Comuni che hanno iniziato a
fare test di correttezza. Ad oggi, secondo gli ultimi dati dell’Agid,
ci sono 30 Comuni subentrati, 955 in pre-subentro e in totale la popolazione
presente in Anpr è di 614mila persone.
Nulla si sa sulle date di presumibile completamento delle operazioni.
La struttura di Piacentini invoca la necessità di "…impegno, molta
determinazione ma, soprattutto, la crescita di una comunità di persone che
accetti il cambiamento culturale che una nuova visione di progetto aperto
comporta".
E se il cambiamento non viene accettato?
In quel caso Piacentini ci dirà che lui ce l’ha messa tutta ma non è
stato supportato dai dipendenti comunali?
Suvvia, cambiamo paradigma, senza ricadere nelle soluzioni all’italienne,
in cui la colpa di una mancata realizzazione è sempre degli altri.
Piacentini è Commissario Straordinario del Digitale, ha poteri enormi.
Parla in nome e per conto del Presidente del Consiglio sulle materie di propria
competenza.
Può decidere, imporre e sanzionare chi non dovesse eseguire gli ordini.
Si assuma le sue responsabilità e lo faccia presto.
Il suo mandato scadrà tra appena 10 mesi e più che di lasciti esteriori, il
suo operato deve lasciare sul campo realizzazioni concrete e processi compiuti.
Da quando è lì avrà capito che ogni operazione avviata, se sospesa e non
completata, non vedrà mai la luce.
Ma c’è un altro problema, ben più rilevante.
Proprio nello stesso post, il Team di Piacentini specifica:
"…ANPR da solo non può risolvere il problema del cittadino a cui
troppo spesso viene richiesto di fornire gli stessi dati a diverse
Amministrazioni Pubbliche (…) ANPR è una piattaforma abilitante che facilita
la semplificazione dei processi, e soltanto se le Amministrazioni cambiano
questi processi se ne potranno vedere i benefici...".
Un po’ come dire: noi cercheremo di fare ANPR, ma se non accadrà nulla
di nuovo la colpa non sarà nostra, ma dei Comuni che non hanno semplificato i
processi.
Ancora una volta la colpa è degli altri.
Per la verità avevamo capito, sin dal momento della sua nomina, che l’incarico
di Piacentini comprendesse la semplificazione amministrativa.
Evidentemente ci eravamo sbagliati.
Il suo ruolo si ferma quindi all’allestimento di soluzioni informatiche.
Ecco perché ha fatto un Team di "smanettoni digitali"
e non di esperti di semplificazione amministrativa.
Non è un caso se proprio nella descrizione della missione della sua
struttura, il Commissario Straordinario Piacentini specifica con chiarezza gli
obiettivi:
"…Rendere i servizi pubblici per i cittadini e aziende accessibili
nel modo più semplice possibile, innanzitutto tramite dispositivi mobili
(approccio "mobile first"), con architetture sicure, scalabili,
altamente affidabili e basate su interfacce applicative (API) chiaramente
definite…"
Sostanzialmente una ottimizzazione del Front Office: una facilitazione
di dialogo tra cittadino e PA.
Ma questo obiettivo non sarà mai reso efficace, come ben sanno gli esperti
del settore, se non si semplificano le procedure interne (come ridurre, ad
esempio, la produzione di un determinato certificato comunale da 21 passaggi a
3?), obiettivo neanche preso in considerazione da Piacentini.
È vero, si parla di:
"…supportare le pubbliche amministrazioni centrali e locali nel
prendere decisioni migliori e il più possibile basate sui dati, grazie all’adozione
delle più moderne metodologie di analisi e sintesi dei dati su larga scala,
quali Big Data e Machine Learning…"
ma sono affermazioni del tutto prive di significato se applicate ad un’amministrazione
Comunale che per produrre quel certificato impiega ancora 21 passaggi anziché
3.
Insomma Piacentini si rivela per quello che è: un uomo di tecnologia messo
al posto sbagliato. Ma la tecnologia si compra, è un oggetto di bancarella
tecnologica, e si usano gli uomini di tecnologia solo per la scelta, l’acquisto
e l’adozione delle soluzioni migliori.
Se possiamo esprimere invece un punto di vista del tutto personale, noi
abbiamo invece necessità di capire che fine farà il progetto ANPR di cui
Piacentini ha preso la guida.
Egli ha tutti i poteri per imporre marce forzate ai suoi uomini e chiamare
alle sue responsabilità funzionali il Ministero dell’Interno come soggetto
cui fanno capo gli obiettivi strategici del progetto.
Eserciti questi poteri ora, prima della fine del suo mandato (naturale o
anticipato), si assuma egli stesso le prime responsabilità di ciò che guida:
eserciti appieno il suo ruolo di Commissario Straordinario sull’intero
processo di digitalizzazione del Paese a nome della Presidenza del Consiglio.
Le due componenti sin qui tracciate (le resistenze dei Comuni e le
insufficienze dell’azione del Commissario Straordinario Piacentini) sono due
facce della stessa medaglia.
Tra qualche mese, come ricordato, Piacentini andrà via e noi ci ritroveremo
a resettare nuovamente il campo delle operazioni con grande soddisfazione dei
nemici della digitalizzazione, che lavorano perché questi azzeramenti si
verifichino ad ogni occasione di soluzioni delle continuità precedenti: una
fine di legislatura, la nomina di un Commissario Straordinario o la fine del suo
mandato per scadenza naturale o per decisione di chiusura anticipata.
Ma torniamo alla relazione finale della Commissione Parlamentare.
Per capire le ragioni dell’impasse di un progetto che ha preso le mosse nel
2012 (Legge 279 del 18 ottobre) e che da allora ha visto la stipula di 8-9
contratti fra Ministero dell’Interno e Sogei per la realizzazione del sistema
(per un valore complessivo di circa 20 milioni di euro anche se non si conosce
il dettaglio), bisogna scavare in profondità sul terreno delle volontà
politiche e delle responsabilità funzionali
Riproporre ancora oggi, nel 2017 e quasi 2018, che gli ostacoli alla
digitalizzazione della PA siano la scarsa competenza del personale, l’esigenza
di alfabetizzazione digitale negli uffici, è un grave elemento distorsivo. Mina
alla base la comprensione dei problemi e dei nodi che impediscono la
modernizzazione digitale del Paese. Non sono questi i problemi ostativi.
La digitalizzazione delle PA è minata, osteggiata e combattuta con baionetta
alla mano da un esercito di dirigenti delle PA centrali e locali che in molti
casi non vogliono perdere i privilegi (fonte primaria di ogni corruzione) che l’arbitrarietà
delle procedure analogiche e cartacee gli garantisce.
Ad essi si affiancano gli interessi della criminalità organizzata, che
controlla i territori e pezzi di PA, che finanzia le proprie attività anche
attraverso le infiltrazioni nelle gare pubbliche e che non ha alcun interesse a
vedere tali pratiche sottoposte a elementi di trasparenza, ottimizzazione,
tracciabilità delle operazioni realizzative di ogni assegnazione pubblica. Da
questo punto di vista, i Comuni rischiano di essere ostaggio di forze esterne
alle amministrazioni locali (quando queste forze non possano contare già su
propri rappresentanti nelle amministrazioni o su personale accondiscendente).
Nel capitolo conclusivo dei lavori della Commissione si legge che: "…la
scelta di Sogei è stata dettata dal fatto che già aveva sviluppato e gestiva l’anagrafe
tributaria e quindi il legislatore ha ritenuto opportuno che potesse sviluppare
e gestire anche l’anagrafe della popolazione residente (ANPR n.d.r.),
sottovalutando pesantemente la differenza tra i due tipi di anagrafi e i
processi a loro collegati…).
La Commissione, non manca poi di segnalare come dalle audizioni sia emerso
che: "…i ritardi dovuti all’attesa dei decreti attuativi, l’allungamento
dei tempi è stato imputabile anche al tentativo insufficiente di venire
incontro alle necessità dei Comuni, portando una strategia di digitalizzazione
Top-down in cui la diffusione del software dal centro alla periferia avviene per
forza di legge e non perché chi deve adottare la soluzione ne riconosca un
beneficio…".
Ci pare, francamente, una lettura parziale, imprecisa e fuorviante del
problema.
Nel corso dell’audizione dello scorso 21 febbraio presso la Commissione
Parlamentare, l’allora Amministratore delegato di Sogei, Cristiano Cannarsa,
dichiarò che:
"…Dal punto di vista informatico di Sogei, il progetto ANPR è
completato e da novembre 2015 è operativo nel Comune di Bagnacavallo. Il
collaudo del progetto c’è stato nel 2016, il progetto per noi è operativo…".
D’altra parte la possibilità di un Comune di entrare nel sistema
definitivamente, anche di un solo Comune, indica che il sistema aveva all’epoca
già tutte le funzionalità che lo facevano considerare come
"tecnicamente" portato a compimento.
Da canto suo Il Commissario Straordinario per il Digitale Diego Piacentini
aveva già dichiarato che dal suo punto di vista:
"…il progetto sarà completo solo quando tutti i comuni italiani
saranno migrati nel sistema".
e ragioni che hanno facilitato l’evasione dei Comuni nei confronti del
progetto ANPR?
In primis, gli inevitabili contrasti tra Sogei e Assosoftware, l’associazione
dei fornitori di sistemi informatici, che hanno visto nell’ANPR una
piattaforma insidiosa di restringimento del loro mercato. E poi, la necessità
di attendere ben due Dpcm per rendere operativo il progetto, e nel frattempo il
cambio al vertice di Agid (l’esperto Agostino Ragosa, la meteora
Alessandra Poggiani e infine il pensoso Antonio Samaritani),
struttura che si è rivelata come del tutto inutile, il che ha rallentato tutto,
anche se le specifiche tecniche erano pronte già nel 2014.
Ma in corso di audizione Cannarsa, specificò anche che il problema di ANPR e
dei suoi ritardi:
"…non è informatico, per progetti strategici come questo serve
un sistema legislativo più snello e i Comuni devono rinunciare alle singole
anagrafi…", in nome di un’anagrafe unica che garantisca la
certezza dell’identità digitale conditio sine qua non per lo sviluppo
di tutti i servizi online della PA
Un ottimo punto di vista: e allora, se il sistema funziona e i Comuni non
aderiscono cosa si fa?
Dobbiamo evitare le imposizioni Top-down, come dice il presidente della
Commissione Parlamentare Paolo Coppola o dobbiamo evitare che l’idea della moral
suasion consenta ai Comuni il fuggi-fuggi dal progetto ANPR?
Vogliamo imporre ai Comuni un cambiamento che indichi loro come risparmiare e
ottimizzare le funzioni e le procedure delle anagrafi o vogliamo che la
condizione di difficoltà delle casse dei Comuni diventi la foglia di fico
dietro cui nascondere l’aspirazione che il modello analogico-cartaceo (che
assicura tanta corruzione e tanta opacità sulle assegnazioni di denaro per
opere pubbliche) possa continuare a persistere, perché ogni giorno strappato è
un giorno guadagnato?
Ecco perché abbiamo bisogno di continuità.
Abbiamo bisogno che le operazioni di digitalizzazione del Paese siano nelle
stesse mani fino al compimento delle operazioni, sotto la guida ferma e
inamovibile delle sue istituzioni.
Abbiamo bisogno che si ridia ruolo a Sogei, che deve essere
considerata come un immenso patrimonio del sistema-Paese, quale è, un soggetto
con le mani sicure e lontane dagli interessi dei giganti del web che sperano di
mettere le loro mani sui dati di 60 milioni di italiani.
Abbiamo bisogno che il Ministero dell’Interno faccia il suo lavoro di
controllore del progetto e di garante non solo delle operazioni tecniche (delle
quali deve rispondere Sogei), ma della compiuta applicazione di tutte le fasi
esecutive del progetto ANPR, imponendo ai Comuni l’adeguamento per legge.
Ben prima dell’audizione in Commissione Parlamentare di Cannarsa, il
Commissario Straordinario al Digitale Diego Piacentini aveva dichiarato
nel gennaio scorso, assumendo la guida di ANPR:
"…che il progetto ripartirà da 7 comuni ovvero Torino, Milano,
Venezia, Firenze, Roma, Bari, Palermo...".
Dopo 11 mesi ancora non abbiamo visto nulla di quanto promesso e tra appena
10 mesi, salvo malaugurati imprevisti di percorso, l’incarico di Diego
Piacentini arriverà a scadenza ed egli tornerà alle sue attività di
vicepresidente di Amazon, multinazionale del web e numero 1 al mondo sul
mercato del Cloud Computing, di cui è incumbent anche sul mercato
nazionale.
* Direttore di Key4biz - Articolo pubblicato
il 12 dicembre 2017
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