Nell’articolo apparso recentemente sul vecchio CAD (sì, caro
lettore, vecchio come vedremo tra poco), a firma di due tra i principali autori,
compaiono tre errori nei primi tre paragrafi. Alcuni di metodo, non solo
tecnici. Confido nella preparazione riconosciuta degli autori per porvi rimedio.
Il primo: "Saremo aperti e trasparenti". Trasparenza, sostantivo di
cui molti si appropriano, significa rendere disponibile dati, informazioni e
documenti. Lo stabilisce, appunto, la legge. Ora, esiste la descrizione dei
contenuti, ma non esistono i contenuti, né il documento principale che li
rappresenta. Ciò significa che, in primo luogo, soltanto chi ha il testo
definitivo come uscito dal Consiglio dei ministri può commentarlo. Ciò
impedisce nell’opacità di prenderne piena contezza a chiunque interessato. La
trasparenza, giuridicamente, è ben altro.
Il secondo: gioco di squadra tra giuristi e informatici. Si tratta di un
errore molto importante negli effetti, nella convinzione che l’amministrazione
digitale italiana abbia bisogno solo di due famiglie professionali. Si parla di
archivi, di conservazione e di protocollo, ma non sono stati coinvolti gli
archivisti. Si parla di documenti e di firme, ma non sono stati coinvolti i
diplomatisti. Si parla di organizzazione, ma non si sono coinvolti gli
scienziati del management. E, infine, la stessa norma del 2016 aveva
correttamente introdotto anche i professionisti dell’informatica giuridica,
cosa molto diversa dagli informatici e dai giuristi. Ma com’è possibile?
Lieto di essere sonoramente smentito.
Il terzo: il CAD è e rimane il caro e vecchio D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
Qui dichiaratamente si interviene, su delega parlamentare, solo sul D.Lgs.
179/2016. In pratica, si modifica e si integra un provvedimento di modifiche e
integrazioni, che ormai non si contano più. Se questo è un Codice!
Infine, una nota positiva. Risultano apprezzabili gli sforzi verso la
semplificazione e verso l’attuazione del principio comunitario della
neutralità tecnologica. Tuttavia, prima di commentare un commento, mi riservo
di leggere il testo definitivo nella certezza cristallina che non ci sia
qualcuno che lo sta ancora riconfezionando dopo l’approvazione del Consiglio
dei ministri. Vorrei, infatti, proseguire questo articolo per raggiungere almeno
le usuali due/tre cartelle, ma sarebbe un commento al commento, per cui mi
fermo, per il momento, qui.
* Direttore generale dell'Università degli
Studi dell'Insubria
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