In questo articolo vorrei esaminare le
problematiche connesse all’utilizzazione dei documenti informatici, cercando
sia di chiarire cosa essi siano per il diritto sostanziale, ma soprattutto
evidenziando come poi quanto si può ricavare dal diritto sostanziale debba poi
essere integrato con le regole del processo, segnatamente di quello civile, e
ancora più specificatamente del c.d. "processo civile telematico",
ossia del p.c.t.
Nella premessa che ormai tutti dovrebbero aver compreso che i
documenti informatici sono gli "originali", e conseguentemente in
linea di massima occorre produrre tali documenti e non la riproduzione dei
medesimi (leggi: stampa in pdf di tali documenti, per esempio email sia
"normali" sia di p.e.c.), per i non addetti ai lavori riassumo
brevemente come funziona il p.c.t.
Supponiamo di essere dalla parte di chi inizi un giudizio,
per cui si notifica la citazione, e poi s’iscrive a ruolo la causa, inviando
con appositi software l’atto di citazione firmato digitalmente, la procura
alle liti firmata anch’essa digitalmente, ed i documenti che si intenda
produrre.
Dopo di che la controparte si deve costituire, ossia deve far
conoscere la propria visione della questione giuridica posta dall’attore,
depositando quella che si chiama memoria di costituzione, firmata digitalmente,
la procura alle liti firmata anch’essa digitalmente, ed i documenti che
intenda produrre.
Alla 1^ udienza in genere il Tribunale assegna i c.d.
"termini ex art.183 VI comma":
[VI]. Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti
termini perentori:
1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di
memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle
eccezioni e delle conclusioni già proposte;
2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle
domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le
eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per
l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;
3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole
indicazioni di prova contraria.
Queste memorie in realtà costituiscono il "cuore"
delle contrapposte argomentazioni, in quanto all’esito di tali termini, come
recita il successivo comma VII:
[VII]. Salva l'applicazione dell'articolo 187, il giudice
provvede sulle richieste istruttorie fissando l'udienza di cui all'articolo 184
per l'assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Se
provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza, questa deve essere
pronunciata entro trenta giorni.
Conseguentemente le parti devono essere molto attente nel
decidere cosa depositare ulteriormente e quali richieste istruttorie effettuare.
Per esempio nel caso in cui la parte convenuta nelle memorie
183 n.2 non abbia articolato prove a sostegno della propria tesi, ovvero le
abbia articolate non correttamente, come verrà appresso spiegato, potrà
incorrere in seri rischi.
Partiamo dal principio che il c.p.c. (codice di procedura
civile) prevede sia delle espresse modalità di introdurre nel giudizio i fatti
della vita, tanto è vero che le prove sono specifiche e normate analiticamente,
nonché una espressa modalità di dedurre la prova per testimoni.
Se la parte convenuta non avesse seguito tale modalità, sia
in quanto non avesse dedotto specifici capitoli di prova, né ha
tantomeno inserito in essi la formula dubitativa richiesta dalla più recente
giurisprudenza (vedi Tribunale di Fermo testo ordinanza 3 dicembre 2015],
tali capitoli di prova risultano inammissibili.
Inoltre i capitoli di prova articolati dalla parte convenuta
[laddove si possa ritenere che possano essere ammissibili] sarebbero inoltre
inammissibili ex art.244 c.p.c., in quanto tenderebbero a fornire attraverso
la prova per testi una rappresentazione della realtà che è preclusa al
soggetto che si sia visto disconoscere i documenti prodotti: infatti
le email [peraltro neppure prodotte nel formato nativo, ossia nel formato .eml]
prodotte dalla convenuta sarebbero state puntualmente disconosciute dall’attore.
In questo, se si fosse trattato di un documento
"cartaceo", la parte convenuta avrebbe potuto richiedere l’istanza
di verificazione della scrittura privata (ex c.p.c 216), ma in questo caso,
poiché si sta parlando di documenti informatici, e della loro corretta
produzione in giudizio, ne discende quanto segue:
- Dovrebbe essere ormai assodato che una cosa sia il disconoscimento di un
documento informatico, sottoscritto con firma forte o debole, ed altra cosa
sia il mezzo attraverso il quale, nel processo civile, si possa pervenire
alla autenticità di tale documento.
- in una recente sentenza [TAR Napoli, sez. I, ordinanza n. 581/17],
giustamente il Giudice osservava che non fosse sufficiente l’inserimento
nel fascicolo informatico della sola scansione per immagini della ricevuta
di avvenuta consegna ai fini della prova in giudizio della notifica del
ricorso a mezzo PEC. Tra l’altro è appena il caso di
ricordare che la famosa p.e.c. NON E’ sottoscritta dal titolare della
casella di posta, ma dal gestore del servizio, ed infatti dovrebbe essere
utilizzata solamente per inviare degli allegati, come una raccomandata a.r.
digitale, tanto è vero che l’invio a mezzo p.e.c. sostituisce l’apposizione
della marca temporale su un documento, necessaria per renderlo opponibile ai
terzi.
- ora, una volta effettuato il disconoscimento [che tra parentesi è inutile
in caso di firma digitale, in quanto in questo caso il processo di
verificazione della scrittura privata darebbe sempre esito positivo] si pone
il problema di quale mezzo si possa utilizzare per far "valere"
tali email/documenti informatici
- se parliamo di email sottoscritte con firma debole, non è tecnicamente
possibile procedere con l'istanza di verificazione proprio perché non sono
documenti sottoscritti con qualcosa che sia assimilabile alla firma
autografa; inoltre, l'istanza di verificazione è normata dal c.p.c., ed è
evidente come sia rimasta parecchio indietro rispetto all'avanzare della
tecnologia (vedi quanto appresso precisato in ordine al Regolamento Europeo
c.d. "Eidas").
- rimane quindi come UNICO rimedio sempre esperibile CONTRO qualunque tipo
di documento, sia esso anche un atto pubblico, la c.d. querela di falso in
sede civile, che ha le sue regole e le sue formalità.
- non volendosi avventurare nella querela di falso [oggettivamente pesante
da utilizzare, che ha regole sue proprie], specialmente se parliamo di
email sottoscritte (?) con firma debole, ritengo che l'unico altro mezzo
sia la richiesta di una CTU, che accerti determinate cose [come tra l'altro
una recentissima sentenza del TAR che, giustamente, ritiene che si debba
depositare in giudizio l'originale informatico della p.e.c, e non una sua
riproduzione grafica];
- ovviamente, non è ammissibile la prova per testi su tali email, in quanto
- come è noto - è vietata la prova per testimoni sul contenuto di un atto
scritto [ANCHE le email sottoscritte con firma elettronica debole possono
essere considerate "atto scritto" (ma non sottoscritto)].
- Poi, per esempio, potrebbe accadere che le presunte email inviate dalla
convenuta non siano mai state indirizzate a chi avesse poteri
decisionali nell’ambito dell’attore, ma solamente ad una impiegata della
medesima, la quale – ovviamente – non poteva certo interloquire con la
convenuta in nome e per conto della società [ulteriore elemento da
considerare prima del giudizio, ovviamente].
Tutto quanto sopra esposto discende semplicemente dall’art.21
del D.Lgs n.82/2005:
« Documento
informatico sottoscritto con firma elettronica. Art. 21.
1. Il documento informatico, cui è apposta una firma
elettronica, soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano
probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue
caratteristiche oggettive di qualità , sicurezza, integrità e
immodificabilità .
2. Il documento informatico sottoscritto con firma
elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle
regole tecniche di cui all'articolo 20, comma 3, ha altresì l'efficacia
prevista dall'articolo 2702 del codice civile. L'utilizzo del dispositivo di
firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare,
salvo che questi dia prova contraria. Restano ferme le disposizioni
concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la
normativa anche regolamentare in materia di processo telematico »
Attenzione: si parla di forma scritta, non di
forma "sottoscritta", e la differenza non è – ovviamente
– di poco conto; infatti, nel mentre nel mondo della "carta" l’attribuzione
del documento a chi lo avesse redatto poteva avvenire con ‘apposizione della
sottoscrizione autografa" (come metodo principale) oppure – se redatto
integramente a mano ma non sottoscritto – attraverso una perizia grafologica
(con tutte le problematiche del caso), nel modo digitale le articolazioni sono
di gran lunga maggiori, anche se alla fine si riducono, nella sostanza e nel
giudizio, lo stesso a pochi punti.
Ricordiamo anche che nel codice civile i documenti
"scritti" sono di due specie, quelli riconducibili all’art.2702
c.c., e quelli riconducibili all’art.2712 (oltre naturalmente all’atto
pubblico ed alla scrittura privata autenticata, che in questa sede non
esaminerò in quanto contemplano la partecipazione alla formazione dell’atto
anche di una terza parte qualificata, segnatamente un pubblico ufficiale).
Si dovrebbe parlare più correttamente di un documento, che
nascendo "informatico" deve trovare un suo "omologo" nel
mondo "cartaceo" [ed infatti non a caso si parla sempre di assimilazione
alle sottoscrizioni autografe, mai di sottoscrizioni autografe tout- court],
di documento "stampato", che a determinate condizioni può essere
liberamente valutato dal Giudice.
Il Giudice che però deve sempre e comunque seguire quanto
previsto dal c.p.c., dai poteri e dagli oneri imposti alle parti per quanto
concerne le produzioni in giudizio; ed infatti: le copie fotografiche di
documenti scritti hanno la stessa efficacia probatoria delle copie autentiche, a
condizione, tuttavia, che la loro conformità all'originale venga attestata da
un pubblico ufficiale oppure non sia espressamente disconosciuta.
Al disconoscimento delle scritture private prodotte in copie
fotografiche o fotostatiche la giurisprudenza applica la disciplina di cui agli
artt. 214 e 215 c.p.c., sia nell'ipotesi in cui il disconoscimento investa la
sottoscrizione o il contenuto della scrittura privata, sia nell'ipotesi in cui
si disconosca la conformità della copia all'originale.
La parte interessata ad avvalersi di una scrittura prodotta
in copia fotostatica la cui sottoscrizione sia stata disconosciuta dalla
controparte è, invece, tenuta a produrre l'originale [in questo caso il
documento informatico in originale] ed a chiederne la verificazione se quella
abbia insistito nel disconoscimento; ma di tutto questo qualora non vi sia
traccia nelle richieste istruttorie di parte convenuta, e tutto comunque a
prescindere dalla circostanza che non essendovi sottoscrizione, vi sarebbe ben
poco da verificare!
Inoltre, occorre rammentare che la materia è ora regolata
dal Regolamento (Ue) N. 910/2014 Del Parlamento Europeo E Del Consiglio Del 23
Luglio 2014, c.d. "EIDAS", che è andato parzialmente ad abrogare
alcune norme del D.Lgs.82/2005 in quanto incompatibili con le
normative europee.
In particolare all’art.3. nn. 1, 10, 11, 12, 13
1) identificazione elettronica», il processo per cui si fa
uso di dati di identificazione personale in forma elettronica che rappresentano
un’unica persona fisica o giuridica, o un’unica persona fisica che
rappresenta una persona giuridica;
10) «firma elettronica», dati in forma elettronica,
acclusi oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici e
utilizzati dal firmatario per firmare;
11) «firma elettronica avanzata», una firma elettronica che
soddisfi i requisiti di cui all’articolo 26;
12) «firma elettronica qualificata», una firma elettronica
avanzata creata da un dispositivo per la creazione di una firma elettronica
qualificata e basata su un certificato qualificato per firme elettroniche
13 ) «dati per la creazione di una firma elettronica», i
dati unici utilizzati dal firmatario per creare una firma elettronica;
Vediamo cosa dicono i successivi articoli 25 e 26:
Ar.25 Effetti giuridici delle firme elettroniche
1. A una firma elettronica non possono essere negati gli
effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per
il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti
per firme elettroniche qualificate.
2. Una firma elettronica qualificata ha effetti
giuridici equivalenti a quelli di una firma autografa.
3. Una firma elettronica qualificata basata su un certificato
qualificato rilasciato in uno Stato membro è riconosciuta quale firma
elettronica qualificata in tutti gli altri Stati membri.
Articolo 26 . Requisiti di una firma elettronica avanzata
Una firma elettronica avanzata soddisfa i seguenti requisiti:
a) è connessa unicamente al firmatario;
b) è idonea a identificare il firmatario;
c) è creata mediante dati per la creazione di una firma
elettronica che il firmatario può, con un elevato livello di sicurezza,
utilizzare sotto il proprio esclusivo controllo; e
d) è collegata ai dati sottoscritti in modo da consentire l’identificazione
di ogni successiva modifica di tali dati.
Appare subito evidente come la descrizione dei requisiti
della firma elettronica avanzata corrispondano a quella che nel diritto interno
e nel D.Lgs n.82/2005 si chiama firma digitale; ed occorre precisare ancora che
l’unica tra le "firme" elettroniche che possa assurgere ad essere
assimilata alla sottoscrizione autografa sono solamente la firma
elettronica qualificata oppure la firma c.d. digitale.
Tanto è vero che la qualificazione giuridica della firma
elettronica c.d. "semplice o debole" nulla ha a che fare con qualunque
tipo di "sottoscrizione", come precedentemente evidenziato dal punto
(10) dell’art.3 del citato regolamento UE; e comunque si tratta sempre di
collegare informaticamente un qualcosa (certificato, applicazione, od altro) che
consenta di attribuire quel documento (nel caso specifico determinate email) a
chi le abbia spedite, e l’accoppiata "user id" e
"password" non può essere considerata "firma" perché,
secondo il regolamento, tali elementi ricadono nell’ambito di applicazione sia
del n.(1) dell’art.3, sia del n.(5) del Regolamento Ue (EIDAS).
Conseguentemente, la parte convenuta nel caso innanzi
preso come esempio sarebbe decaduta da qualunque istanza istruttoria per poter
"validare" i documenti dalla medesima prodotti, stante il tempestivo
disconoscimento dei medesimi da parte dell’attore, con tutte le conseguenze
del caso.
Tirando le somme di questa brevissima analisi, ribadisco che
occorre conoscere molto bene sia la normativa sostanziale che concerne i
documenti informatici, ma sicuramente ancora meglio (è sempre opportuno
premunirsi in caso di contestazioni) conoscere la normativa processuale.
* Avvocato, I.C.T., data protection
& intellectual property specialist Manager consulting & Advisor Services
|