Opt-in, ovvero la ricerca del
contatto diretto
di Andrea Monti - 06.09.01
L'assetto normativo italiano del trattamento dei dati personali richiede -
salve alcune eccezioni contenute nell'art.12
della legge 675/96 - il preventivo consenso dell'interessato. In altri
termini, questo significa che senza il placet del "profilando"
non dovrebbe essere possibile fare alcunchè su quei dati (nemmeno
raccoglierli). Questa impostazione può essere sintetizzata con le parole "opt-in".
L'opt-in non è tuttavia un criterio assoluto, come dimostrano alcune direttive
comunitarie ( 97/7/CE sui contratti a distanza
e 2000/31/CE sul commercio elettronico) che a
certe condizioni consentono il trattamento dei dati se l'interessato non si è
dichiarato esplicitamente contrario. Questo approccio prende il nome di "opt-out".
Fra i due estremi, l'Unione europea si è mostrata molto più incline verso
l'opt-in che verso l'opt-out, almeno fino ad ora. Lo scorso 11
luglio, infatti - si legge nel comunicato dell'AIDiM
(Associazione Italiana Direct Marketing) - il Comitato per le libertà e i
diritti dei cittadini, giustizia e affari interni, del Parlamento europeo ha
approvato un rapporto sulla proposta per la direttiva europea sulla
comunicazione elettronica e la riservatezza dei ati. Il rapporto si esprime a
favore di un sistema di opt-out per la messaggistica elettronica (e-mail,
SMS, etc.).
E' ancora presto per parlare di "cambio di rotta" - specie perché
in precedenza altri importanti comitati avevano ribadito l'opportunità di non
discostarsi dall'opt-in - ma sicuramente è necessario cominciare a porsi
dei problemi di coordinamento normativo, considerato che le tecniche di direct
marketing e di analisi dei dati sono per loro natura "trasversali".
Basta pensare alla complessa problematica della raccolta e gestione del consenso
dell'interessato. Che sulla base delle "eccezioni" previste dalla
normativa opt-out non sarebbe necessario, ma che diventa obbligatorio quando i
trattamenti escono dai limiti nei quali potevano essere concretizzati
"all'insaputa" del "profilando".
Al di là degli aspetti tecnico-giuridici, tuttavia, il dibattito sulla
disciplina del trattamento dei dati personali è fortemente permeato dalle
necessità delle imprese la cui attività è basata sul trattamento dei dati per
gli scopi più diversi. Che spesso vedono in una regolamentazione più
protettiva per l'utente null'altro se non ostacoli e pastoie burocratiche.
Alcuni autorevoli commentatori giungono addirittura ad affermare "che se in
passato fosse stata limitata sulla base del consenso preventivo la possibilità
di promuovere la vendita di nuovi prodotti, lo sviluppo economico ed il
progresso tecnologico sarebbero stati assai più lenti. Vedi Scusi,
ma lei è "optinista" o "optautista? di Marco Maglio).
Rivendicando poi l'autonomia della "comunicazione commerciale" (buona
e desiderabile) dallo spam (cattivo e da rifiutare) con cui la prima
nulla avrebbe a che vedere.
E' vero, le grandi aziende (ma quelle "grandi" sul serio e non
tanto per gli aspetti "dimensionali") tengono ben distinto lo spam
- che non praticano - dalla comunicazione commerciale "seria". Ma
è anche vero che esiste da sempre - e non accenna certo a contrarsi - un
fiorente mercato (più o meno) nero di liste (piene di "rumore" e di
errori) vendute sottobanco, nemmeno stessimo parlando dell'ultima droga
sintetica uscita sul mercato. Di primo acchito sembrerebbe che la notevole
quantità dell'offerta di informazioni sottintenda una domanda ancora più
consistente. In realtà la strabordante offerta di liste non rispecchia
l'esistenza di una altrettanto consistente "domanda" da parte delle
aziende. Che nella maggioranza dei casi non basano le proprie strategie
principali sull'uso di liste e sullo spam. E in altri non hanno nemmeno
idea di come utilizzarle. Si potrebbe quasi arrivare a dire che il cliente di un
venditore di liste è... un altro venditore di liste!
In una radicalizzazione semplificatrice del ragionamento si potrebbe dire che
in realtà, con buona pace delle affermazioni di principio contenute già nei
manuali di direct marketing di trent'anni fa e delle dichiarazioni di facciata,
l'unica cosa che conta è raggiungere quante più persone possibile con una
percentuale di revenue la più elevata possibile. Se per raggiungere
questo risultato serve spammare l'universo... bene, che lo si faccia.
E' evidente che un tema così complesso non può sciogliersi in estremismi o
arroccamenti. Certo, è, tuttavia, che il nodo irrisolto del trattamento dei
dati personali è - ancora una volta - culturale prima che giuridico o
economico.
Bisogna distinguere innanzi tutto quello che - nei fatti - è
"commercio" di dati da quanto invece appartiene alla pura prestazione
di un servizio che non richiede profilazioni esasperate (e malfunzionanti) ma
semplicemente una quantità minima di informazioni fornite direttamente dalla
persona interessata ad un certo prodotto (illuminanti i ragionamenti di
Giancarlo Livraghi su queste pagine e su gandalf.it,
indipendentemente ripresi da Seth Godin nel suo interessante Permission
Marketing).
In questo quadro concettuale, la prospettiva dell'opt-out è fondamentalmente
ispirata alla comunicazione passiva e monodirezionale, quella dell'opt-in alla
ricerca del contatto con le persone. E in una reale forma di comunicazione
elettronica interattiva, che vede nell'internet un vero e proprio cardine,
quella richiesta di consenso che viene percepita da qualcuno come
"pastoia" si trasforma in potente strumento di relazione diretto a
creare valore (che non necessariamente significa "transazione
commerciale").
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