Scusi, ma lei è "optinista"
o "optautista"?
di Marco Maglio* - 26.07.01
Pare che nel nostro Bel Paese, dopo le laceranti divisioni tra chi è di
Destra e chi è di Sinistra, tra chi parteggia per Bartali e chi per Coppi e chi
ama il Nord e chi sostiene il Sud, un altro dualismo si stia facendo strada con
prorompente vitalità. Infatti, nei dialoghi tra chi si occupa di privacy e
dintorni, risuona ormai sempre più frequentemente la domanda : "scusi, ma
lei è per l'opt in o per l'opt out"?
Non amo le contrapposizioni; preferisco il dialogo e la ricerca dei punti di
contatto, anche perché penso che in ultima analisi solo ascoltando,
comprendendo e rispettando le ragioni di tutti sia possibile capire i fatti
della vita. In ogni caso proprio non sopporto di appartenere ad uno
schieramento: non amo il coro perché mi piace, se lo voglio, essere libero di
stonare.
Quindi non appartengo al gruppo che definisco degli optautisiti (optoutisti
per gli anglografi) cioè di coloro che ritengono che la possibilità di
comunicare con potenziali lettori o clienti non debba essere preclusa fino a
quando l'interessato non abbia espressamente detto che non vuole ricevere quel
tipo di informazioni.
Anche a me le invadenze dei "professionisti della comunicazione"
non piacciono e mi dà fastidio ricevere messaggi che non ho richiesto (almeno
fino a quando non scopro, grazie a qualcuna di queste offerte, quello di cui
avevo bisogno: capita, magari raramente, ma capita ed io cerco di tenere viva la
mia curiosità intellettuale e la mia fiducia verso il prossimo).
Peraltro anche lo schieramento di quelli che chiamo gli optinisti, cioè
di coloro che invece ritengono che l'invio di messaggi indirizzati possa
essere legittimo solo se colui al quale ci si rivolge ha dato il suo preventivo
consenso espresso, non risolve le mie difficoltà di appartenenza: credo che
questo approccio al problema della privacy limiti fortemente la libertà di
comunicazione, riduca gli spazi per lo sviluppo della personalità di ognuno di
noi e solo apparentemente garantisca la protezione dei dati personali.
Credo poi che se in passato fosse stata limitata sulla base del consenso
preventivo la possibilità di promuovere la vendita di nuovi prodotti, lo
sviluppo economico ed il progresso tecnologico sarebbero stati assai più lenti.
Anche a me piace pensare ad un mondo in cui i miglioramenti della qualità di
vita arrivano in modo disinteressato grazie alla creazione di qualche geniale
filantropo; ma mi dicono che invece la gran parte delle innovazioni sono il
frutto di un calcolo interessato fatto da parte di chi cerca di tratte vantaggio
economico dal suo ingegno.
Così ad esempio credo che il signor Biro inventò la penna che porta il suo
nome con l'intenzione di commercializzarla, offrendola a chi non poteva
chiedergliela perché nemmeno sapeva che esistesse. Insomma nel sistema
economico virtuoso, quello che tende alla crescita ed allo sviluppo sostenibile,
l'Offerta precede sempre la Domanda. Forse su questo dovremmo riflettere visto
che, piaccia o no, proprio l'Offerta è uno dei motori che muovono l'esistenza
e fanno progredire l'uomo.
Stiamo parlando di privacy, d'accordo: ma non dimentichiamoci i
fondamentali.
Per tutti questi motivi invece di una dichiarazione di appartenenza ad uno
schieramento (optinista o optautista?) preferisco esprimere una
preoccupazione: credo che il consenso preventivo ed informato, vero baluardo
difensivo di quel diritto di autodeterminazione, che chiamiamo ormai
convenzionalmente privacy, rischi di rimanere ingabbiato entro gli angusti
confini della terra dell'opt in e dell'opt out. Temo che lungo
questa strada il consenso diventerà simile a quei Totem impagliati che ricordo
di aver visto nel Museo Nazionale di Antropologia di Città Del Messico: un
Totem, un tempo temuto e rispettato, ma carico solo dell'energia che gli
veniva trasmessa da chi lo venerava ed oggi è assolutamente inerte, un oggetto
da esposizione.
Così non vorrei sacrificare al mito del consenso preventivo, informato e
documentato per iscritto l'intera esistenza della privacy nel mio Paese. Credo
che per garantire la riservatezza dei dati personali ci si debba sforzare di
essere più fantasiosi e meno statici, modellando davvero le strategie di difesa
sulle multiformi aggressioni, reali o potenziali, che "i grandi
comunicatori" mettono in atto.
Credo che il consenso preventivo sia uno strumento essenziale in alcuni casi
(per esempio quando muta sostanzialmente la finalità di trattamento rispetto a
quella per la quale il dato personale era stato raccolto); in altre situazioni
invece il consenso preventivo non serve a nulla ed anzi diventa una beffa il
chiederlo, il conservarlo e l'esibirlo a richiesta dell'interessato (ai
sensi dell'articolo 13 della cosiddetta
legge sulla privacy): il consenso può essere comprato, a basso costo, alla
faccia della consapevolezza e della dignità delle persone; ed anzi sarà molto
facile comprare per poco il consenso preventivo ed informato di chi è più
debole ed indifeso, sia economicamente sia culturalmente: la partecipazione ai
concorsi a premi, i gadget, i buoni omaggio e i carnet di sconti
esprimono, con le suadenti note del marketing, questo processo di
"acquisto" del consenso.
Proprio per questo credo che la vera partita della tutela della riservatezza,
almeno nel settore della comunicazione commerciale, si giochi non tanto sul
terreno scivoloso del consenso (sia esso raccolto con tecniche opt-in o opt-out,
poco cambia nell'economia di questo ragionamento) ma su quello assai più
solido dell'informativa.
Perché se l'interessato sa, davvero, che qualcun altro raccoglie informazioni
su di lui, per quale scopo e con quale finalità ad ha ben chiaro a chi deve
rivolgersi per esercitare i suoi diritti potrà effettivamente , come è stato
ben detto "essere garante di se stesso".
Se invece ci si concentrerà solo sul modo in cui il consenso viene raccolto e
non ci si preoccupa del livello di informazione dal quale il consenso nasce
credo che la privacy resterà un diritto vuoto.
Quindi , chiedo scusa a tutti e spero di non deludere nessuno ma io a questo
dibattito tra out in ed out out preferirei proprio non
partecipare: non sono interessato a questo tipo di discussioni estetiche sulle
forme del consenso: mi occupo della natura delle cose. Vorrei che si parlasse di
infomativa, di effettività dei diritti promessi dalla legge n. 675 e di
strategia integrata (basata sulla legge, sull'autodisciplina, sulle tecnologie
e sui sistemi di cancellazione centralizzata come il www.cancellami.it
proposto dall'AIDiM) per la difesa vera della privacy.
C'è poi un problema di coerenza normativa che l'Unione europea ha ben
presente e che ha recentemente riaffermato, riequilibrando la bilancia che si
era spostata a favore dell'opt in, come ho ricordato nel comunicato
stampa pubblicato dal numero scorso di InterLex: chi voglia dedicare due minuti
del suo tempo per rendersene conto, potrebbe rileggersi l'articolo
10 (limiti all'impiego di talune tecniche di comunicazione a distanza) della
direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997 riguardante la protezione dei consumatori
in materia di contratti a distanza e l'articolo
7 (comunicazione commerciale non sollecitata) della direttiva 2000/31/CE
dell'8 giugno 2000, la cosiddetta "direttiva sul commercio
elettronico". Basterebbe questo piccolo sforzo per rendersi conto che,
stando alle direttive comunitarie:
- il consenso preventivo del consumatore è richiesto per i messaggi inviati
attraverso un sistema automatizzato di chiamata senza intervento di un operatore
e per i fax;
- le tecniche di comunicazione a distanza diverse da queste, qualora
consentano una comunicazione individuale cioè personalizzata, possono essere
impiegate solo se il consumatore non si dichiara esplicitamente contrario;
- coloro che inviano per posta elettronica comunicazioni commerciali non
sollecitate sono tenuti a consultare regolarmente e rispettare i registri
negativi in cui possono iscriversi le persone fisiche che non desiderano
ricevere tali comunicazioni commerciali (ancora una volta www.cancellami.it).
Insomma non mi sembra che ci sia una assoluta ed incondizionata affermazione
di favore per l'opt in. Peraltro è anche vero che in Italia, il
Garante, operando in un sistema che ha adottato in modo chiaro il meccanismo
dell'opt-in, ha opportunamente riequilibrato la situazione, facilitando l'utilizzo
dei pubblici elenchi (penso agli elenchi telefonici, ai registri anagrafici ed
alle liste elettorali) per finalità di comunicazione commerciale. In Germania,
ad esempio le scelte dell'Autorità di garanzia sono state molto più
restrittive, ma non credo si sia innalzata la soglia di protezione della
privacy.
Ma ripeto non è questo il vero problema, a mio avviso. Chiederei quindi,
sommessamente ma fermamente, con la stessa mite fierezza dello scrivano Bartleby
(il personaggio creato da Herman Melville), di non essere iscritto d'ufficio
al partito degli optouttisti per il solo fatto di occuparmi di
rappresentare anche le ragioni del direct marketing: come direbbe
Bartleby "Preferirei di no"; preferirei che anche su questo potesse
impostarsi un dialogo aperto che miri a cogliere l'essenza delle cose, avendo
ben chiara la natura dei fatti che si devono regolare e stabilire meccanismi di
protezione efficaci, fuori dai pregiudizi, dalle dietrologie e dalle ragioni
delle lobbies..
Quanto al Galateo invertito dello spam builder
che Andrea Monti con una bella immagine evoca nel suo commento del numero scorso
di InterLex, che ho apprezzato e analizzato con interesse, mi viene in mente una
cosa: un principio fondamentale che Monsignor Della Casa indicava come un
precetto era quello per cui "le azioni si devono fare non a proprio
arbitrio ma per il piacere di coloro coi quali si è in compagnia". Credo
che questo sia il fondamento sul quale oggi come in futuro si deve fondare la
corretta comunicazione interattiva, che non può esistere se si suscita fastidio
nel proprio interlocutore. Nessuna inversione di regole, quindi, per quello che
mi risulta. Anzi.
Questo per sottolineare che lo spamming con la comunicazione
commerciale indirizzata e con il direct marketing non ha proprio niente a
che spartire. Purtroppo spesso si verifica questa spiacevole e grossolana
sovrapposizione (è il caso ad esempio del doppio intervento di Andrea Putignani
ospitato da Interlex ed intitolato Consenso, informativa
e direct marketing, studio assai informato ma sorprendentemente dedicato, a
dispetto del titolo, a tutto fuorché al direct marketing, ancora una
volta confuso con lo spamming).
Ma questo è un altro discorso che un giorno o l'altro varrà la pena di
iniziare seriamente. E senza pregiudizi.
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